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Associazione professionale riconosciuta dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy
quale organo di riferimento per il cittadino secondo quanto disciplinato dalla legge 4/2013.
L’associazione rientra fra quelle che rilasciano l'attestato di qualità dei servizi e invita i propri soci ad utilizzare in tal modo il riferimento all’iscrizione.




COMUNICAZIONI
PER GLI ASSOCIATI

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Il giorno
15 febbraio 2024
è indetta una
Assemblea
Ordinaria dei Soci


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Problematiche
degli Iscritti

GLI ASSOCIATI CHE
AVESSERO PROBLEMATICHE RIGUARDANTI LA LORO ISCRIZIONE DOVRANNO COMUNICARE SOLO ED ESCLUSIVAMENTE CON LA SEGRETERIA UTILIZZANDO L'INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA

segreteria@espertiarte.it

TUTTE LE COMUNICAZIONI VERBALI O CON ALTRI MEZZI DIGITALI NON SARANNO PRESE IN CONSIDERAZIONE DALLA SEGRETERIA E NON AVRANNO SEGUITO.

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NUOVE ISCRIZIONI PER L'ANNO 2024

I candidati che desiderassero inviare
la loro domanda di
iscrizione
all'Unione Europea
Esperti d'Arte,
sono invitati a riempire ed inviare la domanda compilata in tutte le sue sezioni entro e non oltre il 31 maggio 2024
all'indirizzo segreteria@espertiarte.it


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Invitiamo tutti i candidati a leggere attentamente la sezione riguardante la partecipazione all'associazione
cliccando qui.

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Invitiamo tutti gli associati a prendere visione della nuova informativa sul trattamento
dei dati personali cliccando su questo testo

inoltre

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ARCHITETTURE
MISTERIOSE
IN ITALIA

di
Stefano Liberati e
Walter Ceccarelli

Il tema dell’architettura misteriosa in Italia nell’antichità costituisce ancora oggi per gli studiosi fonte di interrogativi che spesso non trovano una risposta convincente. Il presente saggio ha richiesto due anni di ricerche e di studio sulle architetture che presentano elementi strutturali, storici o estetici che l’archeologia non ha ancora esaminato o non ha saputo spiegare. Molte delle strutture analizzate, soprattutto quelle rupestri, sono poco conosciute poiché in numerosi casi difficilmente raggiungibili o site in proprietà private. I curatori dell’opera hanno girato l’Italia alla ricerca di queste costruzioni, spesso nascoste in folte vegetazioni, selezionando le trentasette più interessanti dal punto di vista del loro aspetto architettonico o della loro funzione spesso enigmatica. Sono stati consultati archivi e biblioteche alla ricerca di notizie storiche su molte architetture sulle quali non esistono riferimenti bibliografici o letterari. Argomenti sui quali la comunità scientifica non ha ancora fornito pareri convincenti. In questo volume il lettore non si deve aspettare risposte, ma solo un resoconto delle ipotesi più o meno valide, più o meno credibili che fino ad oggi sono state date dagli studiosi.




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STORIA DELLE SALE CINEMATOGRAFICHE
IN ITALIA


di
Loretta Eller

A fronte della copiosa bibliografia sulla storia del cinema, sono pochissimi i saggi pubblicati sulla storia delle sale cinematografiche, anche perché  non è facile ricostruirne una cronologia esatta per mancanza di fonti attendibili. In un momento storico in cui la memoria delle sale cinematografiche sta scomparendo, questo libro intende ripercorrere l’evoluzione delle antiche e vecchie sale da proiezione italiane, con particolare riguardo a quelle non più esistenti poiché  demolite o trasformate in altre attività. Oltre alla ricostruzione storica non viene trascurata quella formale, caratterizzata da una vasta varietà di stili e tipologie architettoniche, dal Neoclassico al Liberty, dal Déco al Razionalismo, dove i grandi nomi dell’architettura italiana hanno dato alla luce veri e propri capolavori. Sono state censite 64  sale cinematografiche che hanno coperto il territorio nazionale in oltre 50 anni, dai primi capannoni ambulanti all’avvento della televisione negli anni Cinquanta che determinò  un notevole calo di spettatori. La scelta di quelle esaminate  è  stata vincolata soprattutto dal reperimento di fonti attendibili e di materiale illustrativo d’epoca, difficile da rintracciare. Per completare il panorama storico sono stati anche inseriti alcuni capitoli su quello che contemporaneamente accadeva nel resto del mondo. Questo volume non vuole essere un ritorno nostalgico al passato, al come eravamo, a come si viveva la sala cinematografica,  ma intende contribuire a sostenere il cinema come patrimonio culturale da salvaguardare. Una ricca iconografia di oltre 200 immagini completa il volume.


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GENESI

Dipinti di
Natalia Mancini

a cura di Beatrice Luzi

In Occidente, culla dell’arte figurativa, la tendenza all’astrazione è figlia della progressiva semplificazione del vocabolario decorativo (in primis nell’arredo e nel design) e di un afflato culturale intriso di quel simbolismo di fine Ottocento che prelude agli esiti espressivi delle avanguardie storiche. Con ricadute profonde nel pensiero artistico e nella teoria estetica, la via dell’astrattismo è l’estrema conseguenza dell’emancipazione dalla resa mimetica del mondo circostante e focalizza l’attenzione sul valore autonomo dei mezzi stessi del fare arte e sulle infinite possibilità della rappresentazione. In pittura, questa necessità espressiva si è manifestata attraverso due grandi tendenze: una prima forma di astrattismo è mossa da istanze spiccatamente intellettuali e pratica un rigore euclideo, ascetico o concreto-costruttivista; la seconda, di natura decisamente espressionista, interpreta la tela come un “campo energetico” in cui linee, forme e colori comunicano un’urgenza che è prima di tutto psichica ed emotiva. Il linguaggio pittorico di Natalia Mancini rientra a pieno in questa poetica del sentire. L’eco magica della natura e i virtuosi accostamenti di colore sono le peculiarità distintive che accompagnano la produzione dell’autrice lungo un percorso che dalla memoria visiva del dato naturale giunge a concepire calde e ariose galassie cromatiche. Le prime, energiche composizioni ricordano strutture di filamenti cellulari, vasi sanguigni pulsanti in lotta titanica tra passione e armonia. Queste strutture visive, intricate come una fitta vegetazione da cui filtra la luce solo attraverso brevi pertugi, tendono progressivamente a espandersi e a rarefarsi. Nelle tele degli ultimi anni il conflitto dionisiaco pare attenuarsi: la composizione si verticalizza, il tratto è più fluido, le linee diventano volumi e il colore si fa atmosferico e intriso di luce. Osservare le tele di Natalia Mancini, oggi come ieri, provoca una sensazione di trepidazione gioiosa. Lo slancio vitale non comune di cui esse sono portatrici esprime, a livello formale ed emotivo, quella forza generatrice che solo l’arte, al pari della natura, sa rendere manifesta.



Con il patrocinio

del Ministero degli Affari Esteri



Giuseppe Verdi
nel mondo



L’Unione Europea Esperti d’Arte, in collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna,
sta presentando in tour mondiale una mostra antologica di antiche partiture originali di Giuseppe Verdi in occasione
del Bicentenario della Nascita del Maestro.
Nella foto: Inaugurazione della mostra a Muscat (Oman) alla presenza del nostro presidente Stefano Liberati, dell’Ambasciatore italiano in Oman Paola Amadei e di Nasser Hamed Al Taee, Advisor to the Board of Directors del Royal Opera House.
Le sedi fino ad oggi che hanno accolto la mostra sono:
San Paolo (Brasile) Teatro Municipal
Bahia Blanca (Argentina) Sede consolare
Lima (Perù) Galleria Mario Sironi - Istituto Italiano di Cultura
Città del Messico (Messico) Palacio de Bellas Artes
Tirana (Albania) Teatro dell'Opera e del Balletto
Addis Ababa (Etiopia) Yared School of Music  
Muscat (Oman) Royal Opera House
Manila (Filippine) Yucengco Museum  
Tallin (Estonia) Ambasciata italiana
Koper (Slovenia) Pokrajinski Muzej
Montreal (Canada) Istituto italiano di Cultura
Canton (Cina) Opera House
Pechino (Cina) Teatro Nazionale
L’Avana (Cuba) Convento di San Francesco




Pubblicazione realizzata con il contributo del MiBAC, direzione Generale per le Biblioteche, gli Istituti Culturali e
il Diritto d'Autore
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DARIO F. MARLETTO
Foderatura a colla di pasta fredda
Nardini Editore , Firenze

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grafica cinese
LA GRAFICA CINESE
a cura di Stefano Liberati.
Palombi Editori.


Con il patrocinio
dell'Uffico Culturale della Repubblica Popolare Cinese in Italia
e la collaborazione de
I Mercanti dell’Arte
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orlando furioso

di prossima pubblicazione
LE EDIZIONI ILLUSTRATE DELL'ORLANDO FURIOSO

a cura di :
STEFANO LIBERATI
E
ANNA MARIA VOLTAN
con la consulenza bibliografica di
BARBARA JATTA


Pubblicazione realizzata con il contributo del
MINISTERO per i BENI
e le ATTIVITA' CULTURALI Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali
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Mostra e Catalogo

Italo CALVINO

ITALO CALVINO
L'alchimia dell'immaginario

Il Liceo Artistico Statale “Carlo Giulio Argan” di Roma ha celebrato il grande scrittore Italo Calvino nel centenario della nascita (Cuba, 15 ottobre 1923) con una grande mostra collettiva dal titolo Italo Calvino, l’alchimia dell’immaginario che è stata ospitata nel suggestivo scenario dell’Orto Botanico di Roma, situato alle pendici del Gianicolo, nell’antico parco di villa Corsini, un tempo residenza di Cristina di Svezia. 
L’evento ha celebrato quindi un testimone significativo della nostra recente epoca evidenziando le molteplici relazioni disciplinari intessute nell’arco della sua esistenza, interessi culturali e intellettuali, sviluppati poi nella sua produzione letteraria. Non vi è ambito creativo o strumento espressivo, che Calvino non abbia sondato, consapevolmente o meno, ispirando molti altri scrittori, pensatori e artisti.
Come testimonia il titolo della rassegna, Italo Calvino, l’alchimia dell’immaginario, questa prende spunto dalla vocazione chimerica e dalla molteplicità degli interessi dello scrittore, integrata da un corrisposto amore da parte dell’intero universo della sperimentazione artistica: dalla Pittura alla Scultura, dall’Architettura al Design, dal Teatro alla Musica, dall’Arte dei Giardini al Cinema ripercorrendo la sua vicenda di intellettuale italiano apprezzato universalmente.
Gli studenti del Liceo Artistico Argan oltre ad alcuni ritratti dell’intellettuale, hanno realizzato diverse opere che hanno preso spunto dai romanzi più famosi di Calvino. Le opere esposte, realizzate singolarmente o in collaborazione, sono state realizzate in piena libertà stilistica e tecnica (ad olio, tempera, acquerello, inchiostro, matita, ecc.) a cui si alternano sculture in terracotta, ceramica, legno, oggetti di design, progetti architettonici, composizioni che fanno ricorso a tecniche diverse, come la computer grafica e la fotografia.
In particolare, si configurano come una vera e propria novità, le opere del progetto Guarda ciò che non si vede: un percorso immersivo in alcune delle città descritte da Calvino nel libro Le città invisibili, che coinvolgono il visitatore grazie all’utilizzo della realtà aumentata che amplifica la lettura visuale, anche grazie all’uso del cellulare.  Le mostre esperienziali sono una delle nuove frontiere dell’arte e l’utilizzo dell’AR è un potente strumento per amplificare la creatività. Ma le opere in mostra sono oltre cinquanta e spaziano dalla pittura alla scultura fino alla grafica, installazioni e video.  I romanzi di Calvino come Il Barone rampante, Marcovaldo, Il Sentiero dei nidi di ragno, Le Cosmicomiche, ancora oggi fanno viaggiare la fantasia e le opere della mostra Italo Calvino, l’alchimia dell’immaginario ne sono la prova.
Straordinari risultano i due Progetti audiovisivi Filosofia della bellezza attraverso musica, arte e movimento nell’opera di Italo Calvino e L’eleganza sfuggente della luna di Palomar.
Come in altre mostre realizzate dal Liceo Argan, anche questa Italo Calvino l’alchimia dell’immaginario, ideata da Nicola Armignacca e curata da Roberto Luciani e Graziella Pulce (Timia edizioni), ha avuto il Patrocinio dell’Unione Europea Esperti d’Arte e dell’Istituto Restauro Roma.

Roberto Luciani

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Mostra

DONGHI

ANTONIO DONGHI
La magia del silenzio

Palazzo Merulana
Roma

9 febbraio - 26 maggio 2024

I locali che fino ad una ventina d’anni fa ospitarono l’Ufficio d’Igiene, dopo gli opportuni restauri e le necessarie ristrutturazioni, trasformati in accoglienti e vasti ambienti museali, offrono al visitatore una ghiotta panoramica sull’arte visiva del Novecento italiano, nell’ampio salone posto al secondo piano e nelle salette adiacenti. Raggiungendo il terzo piano, di repente ci si trova faccia a faccia con l’affascinante e suggestiva arte pittorica del grande Maestro Antonio Donghi.
Trentacinque magnifiche opere, delle quali diciotto provenienti dalla collezione UniCredit, le restanti dalla collezione Cerasi e da altre collezioni private catturano la nostra attenzione. Non ci si abitua alla lettura delle opere di Donghi e dopo averle lette e rilette si vorrebbe fare ancora un giro delle sale.
La risposta emotiva alla vista delle opere di Donghi è sempre di godimento estetico discreto, si rimane con un desiderio inappagato residuale di sospensione spazio/temporale…  È il piccolo/grande mistero del suo specialissimo realismo magico che scopriamo nello sguardo dei “Piccoli saltimbanchi”
o in quello del “Cacciatore” e nell’affettuosa prossimità del suo cane.

Qualcosa in alcune composizioni rimanda per arcane analogie alle dechirichiane atmosfere delle “Piazze d’Italia”, o agli “Intellettuali sulla spiaggia” di De Pisis. Ma anche alla “Venere Anadiomene” di Carlo Carrà. Fra compagni di strada, pur nelle differenti poetiche, si finisce per convenire tacitamente una qualche forma di codice comune che riesce a far vibrare le corde profonde dello spirito umano. Così per la metafisica, come per il realismo magico di Antonio Donghi.
Una splendida mostra, mirabilmente curata da Fabio Benzi, da non perdere.

Matteo Maglia

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Presentazione

CANALETTO

CANALETTO
Ingresso del Canal Grande verso Est

BIBLIOTECA VALLICELLIANA
via della Chiesa Nuova - Roma

7 marzo 2024 - ore 17.00


Il nostro associato Roberto Parenza Angeli è lieto di annunciare la presentazione del volume Canaletto. Ingresso del Canal Grande verso Est. Dipinto inedito dalla collezione barone Northwick, opera che offre una nuova prospettiva sull’attività del celebre artista veneziano partendo dal ritrovamento, studio e restauro di un suo dipinto inedito. La presentazione avrà luogo il giorno 7 marzo 2024 presso il Salone Borromini della prestigiosa Biblioteca Vallicelliana di Roma, Piazza della Chiesa Nuova 18, alle ore 17.00.
Durante l’evento avremo il privilegio di ascoltare gli interventi di Anna Lo Bianco e Fabrizio Lemme e quelli degli autori del volume: Mauro Coen, Claudio Falcucci, Belinda Granata, Massimo Pirondini, Pier Ludovico Puddu, Rita Randolfi e Flavia Scarperia. Con il loro lavoro accurato e appassionato, gli autori ci condurranno attraverso un viaggio affascinante nel contesto storico, culturale e artistico in cui visse e operò Canaletto.
La presentazione sarà moderata da Pietro Di Loreto, direttore di About Art, che garantirà una discussione stimolante e approfondita sulle tematiche trattate nel volume.

 

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Mostra

VIRGILIO RETROSI

VIRGILIO RETROSI
Artista e artigiano

MUSEI DI VILLA TORLONIA
Casina delle Civette - Dipendenza
Roma

25 novembre 2023 - 2 giugno 2024


Dal 24 novembre 2023 al 2 giugno 2024, la Dipendenza
della Casina delle Civette di Villa Torlonia ospita la mostra “Nel segno di Cambellotti. Virgilio
Retrosi artista e artigiano” a cura di Gloria Raimondi e Gaia Dammacco promossa e
realizzata da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura-Sovrintendenza Capitolina ai
Beni Culturali.
Nell’ambito delle iniziative della Sovrintendenza Capitolina volte alla valorizzazione
del ricco patrimonio delle sue collezioni, il progetto espositivo, dedicato a Virgilio Retrosi
(Roma 1892-1975), artista presente nelle collezioni del Museo di Roma con i 14 piatti da
parata dedicati ai Rioni storici di Roma, intende presentare al grande pubblico la figura di
un artista che ha dedicato la sua vita alle arti applicate.
Amico e allievo di Duilio Cambellotti, Virgilio Retrosi esordì nel 1911 come ceramista
esponendo alla Mostra dell’Agro Romano curata dallo stesso Cambellotti nell’ambito
dell’Esposizione internazionale per le celebrazioni dell’unificazione del Regno d’Italia e la
proclamazione di Roma capitale.
L’attività dell’artista nel settore della ceramica si sviluppò attraverso la collaborazione
con il maestro e con i suoi allievi, tra i quali ricordiamo Roberto Rosati e Romeo Berardi.
Nel 1926 alla mostra annuale degli Amatori e Cultori d'Arte, Retrosi espone la serie
dei piatti con i 14 Rioni, acquistati nello stesso anno dal Comune di Roma per le proprie
collezioni.
Contemporaneamente all’attività di ceramista e decoratore, Retrosi si dedica alla
grafica applicata insegnando alla Scuola Preparatoria delle Arti Ornamentali di Roma,
realizzando bozzetti per francobolli, manifesti e cartoline e avviando una proficua
collaborazione con l’ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo), impegno che lo assorbì
totalmente come grafico e fotografo dalla metà degli anni Trenta agli anni Sessanta.
Nella mostra alla Dipendenza della Casina delle Civette sono esposi oggetti in
ceramica e numerosi disegni, bozzetti e opere grafiche che testimoniano la sua vicinanza al
linguaggio del maestro evidenziando, insieme ai forti legami con la tradizione, anche il suo
contributo innovativo nei diversi ambiti delle arti applicate.
La mostra propone anche un ricco nucleo di opere inedite appartenenti a collezioni
private che permetterà di confrontare gli elaborati progettuali con alcune delle opere
realizzate.
I bozzetti di manifesti, le locandine e le copertine testimoniano la versatilità, la
fantasia e la particolare qualità grafica del suo segno.
Nel corso della mostra, per le scuole e le famiglie, sono in programma laboratori
didattici dedicati alla fase preparatoria finalizzata alla realizzazione dei manufatti in ceramica
con approfondimenti sulle diverse tecniche utilizzate: grafite e pastelli colorati, inchiostro di
china, acquerello e tempera.
Il catalogo della mostra, a cura della Sovrintendenza Capitolina con testi di Gaia
Dammacco, Gloria Raimondi e Francesco Tetro è edito da Gangemi. L’organizzazione e i
servizi museali sono a cura di Zètema Progetto Cultura.

 

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Mostra



Walter Ceccarelli

RELEASER ART
Palazzo del Podestà
Città di Castello

18 marzo - 2 aprile 2023
10.00 - 13.00 | 16.00 - 19.30


Sabato 18 marzo alle 18 presso lo spazio espositivo del Palazzo del Podestà a Città di Castello si inaugura la mostra RELEASER ART dell'artista romano Walter Ceccarelli.
Ceccarelli è architetto, pittore, storico dell’arte, cineasta e ornitologo. Fra i suoi molteplici interessi un posto particolare lo occupa la ricerca e lo studio di opere d’arte e di architetture dai contenuti oscuri.
È stato l’organizzatore, il direttore e il supervisore artistico della I e II Rassegna Internazionale di Arte Animalista, promossa dalla Comunità europea nell’ambito del programma “Cultura 2000”.
È tra i firmatari del Manifesto dell’Arte Animalista. È teorizzatore e sperimentatore della Releaser Art, e dal 2020 collabora con la casa editrice LuoghInteriori di Città di Castello che ha realizzato il catalogo della mostra.
A inaugurare l'esposizione sarà l'Assessore alla Cultura del Comune di Città di Castello Michela Botteghi.
"La RELEASER ART" spiega l'organizzatore della mostra Antonio Vella "è l’arte di chi libera la creatività dai patterns geneticamente codificati. Con il termine releaser si indica chi libera, chi rilascia. In etologia i releasers sono patterns geneticamente codificati.
La Releaser Art coglie l’arte nella capacità della natura di modificare o annullare i patterns geneticamente codificati per creare nuove o incognite immagini di sé.
Nella Releaser Art, a causa della luce, del movimento, della variabilità della forma, i patterns si modificano o si annullano impedendo nei casi estremi di identificare la fonte emittente, creando così una nuova immagine della realtà, non già astratta, ma incognita".
La mostra, organizzata dalla Associazione Culturale Tracciati Virtuali resterà aperta tutti i giorni dal 18 marzo 2023 al 2 aprile 2023.

 

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Recensione


Veronica Ceccarelli

IL POPOLO PIUMATO
i Kayapò, gli ultimi guerrieri dell'Amazzonia

LuoghInteriori Ed., 2022

L’autrice di questa pubblicazione ha conseguito, presso l’Università “La Sapienza” di Roma, una laurea, con il massimo dei voti, in Discipline Demo-Etno-Antropologiche, con una specializzazione in “civiltà indigene d’America”. L’interesse per la ricerca antropologica si è rafforzata negli anni con numerosi, avvincenti seminari monografici, tenuti dall’autrice sulle culture e sulle società dei nativi del Nord e del Sud America.
Veronica Ceccarelli nella prefazione del suo saggio scrive: «Questo libro è una dichiarazione d’amore e, come tutte le confessioni sentimentali, nasce da una grande passione. La mia è una passione profonda, sincera, indiscutibile, irreversibile, verso una disciplina che ha segnato e cambiato profondamente la mia vita e il suo significato: l’antropologia».
Il valore autoriale di questo libro nasce dallo studio approfondito degli splendidi ornamenti corporali delle popolazioni native dell’Amazzonia brasiliana e si concentra poi su uno studio monografico: il significato socio-culturale dell’ornamentazione corporale e plumaria di una specifica etnia, i Kayapò. Il lettore scoprirà  la cultura di questo magnifico popolo indigeno che, durante i rituali, utilizza penne e piume colorate per ornare l’intera superficie del corpo, trasformandosi in uomini-uccello.
La scrittrice dedica questo libro a Raoni Metuktire, un grande leader del popolo kayapò. Nel 1973 il regista belga Jean Pierre Dutilleux, affascinato dalla fiera personalità di Raoni, progetta un documentario su questo grande capo. Nel 1977 il film-documentario viene accolto al Festival del Cinema di Cannes con grande successo della critica, successo duplicato per la versione in inglese:il narratore è Marlon Brando. Raoni, ormai noto, porterà il suo messaggio contro la deforestazione che minaccia tutti i popoli della terra. Nel 1993, con l’aiuto di Dutillieux, Sting e la Rainforest Foundation, Raoni otterrà la creazione di una delle aree di foresta pluviale protette, più vasta del mondo, nel territorio dei Kaiapò.
Magnifiche, esplicative immagini a colori accompagnano un testo appassionante.

Di Loretta Eller

La presentazione del libro è programmata per il 30 settembre 2022, ore 18:00, presso il Museo d’arte cinese ed etnografica di Parma.

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Recensione


Annica Cerino

TERAPIA DI GRUPPO
e a mediazione artistica


Annica Cerino, pubblica il volume Terapia di Gruppo e a mediazione artistica dopo aver dato alle stampe due importanti libri, Massaggio Bioenergetico Emozionale e Praticare il Perdono, e dopo aver curato l’edizione italiana de La Connessione Creativa di Natalie Rogers, scrivendone anche la prefazione, edito da Armando Edizioni.

Una lunga e significativa carriera di studiosa e professionale che l’ha portata ad occuparsi di corporeità come luogo di conoscenza e di ascolto di sé attraverso la Bioenergetica integrata alla Psicologia Umanistica e agli strumenti propri dell’Arte Terapia.

Nei suoi colloqui individuali e negli incontri di gruppo la comunicazione, il dialogo e la condivisione sono mediati dal linguaggio immediato del corpo e dagli strumenti artistici come ricerca e consapevolezza dei messaggi inconsci. Promuove la conoscenza della diversità culturale attraverso un progetto che la vede autrice e creatrice di una ricerca continua, nonché di un percorso di Arte Terapia Transculturale.

Di Roberto Luciani
(Link all'articolo completo cliccando sull'immagine di copertina)

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Mostra



PASOLINI
tra arte e poetiche

8.06.2022 - 10.06.2022

Impact Hub
via Palermo 41 - Roma


Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922, enfant prodige alla continua ricerca sperimentale, molto presto diventa una eminente personalità in diversi campi del sapere e varie forme d’arte.
Conosciuto soprattutto come regista, Pasolini è stato poeta, scrittore, sceneggiatore, traduttore, pittore, critico letterario e cinematografico, insegnante scolastico, modello fotografico e molto altro, ricevendo spesso accuse di vilipendio alla religione, oscenità, omosessualità, oltre a numerose querele.



Nel 1955 Pasolini pubblica il romanzo Ragazzi di vita che ottenne un immediato successo ma fu stroncato dalla critica che lo accusò di pornografia e prostituzione omosessuale maschile. A luglio di quell’anno si tenne a Milano il processo che terminerà con una sentenza di assoluzione con "formula piena", grazie anche alle testimonianze di Pietro Bianchi e Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere carico di valori religiosi "perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati" e non contenente oscenità perché "i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l'autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà", e di Giuseppe Ungaretti, che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso affermando che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo era “la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni”.



La sola raccolta poetica che ottenne consensi fu probabilmente Le ceneri di Gramsci del 1957, vincitrice del Premio Viareggio, e il film il Vangelo secondo Matteo del 1964, ritenuto dai critici una delle migliori trasposizioni della vita di Gesù, utile per comprendere la psiche di Pasolini, che in uno dei Diari riportò: “Nelle mie fantasie affiorava espressamente il desiderio di imitare Gesù”.
In questo film la madre del regista, Susanna Colussi (1891-1981), interpreterà l’anziana Maria che va a piangere sotto la croce il figlio. Il regista fece interpretare alla madre anche il ruolo della serva Emilia nel film Teorema dedicandogli la struggente poesia Supplica alla madre, presente nella raccolta Poesia in forma di rosa del 1964.
La Mostra Pasolini, tra Arte e Poetiche alla Galleria Impact hub di Roma
Il Liceo “Giulio Carlo Argan”, tra i maggiori licei artistici dell’Urbe con circa mille allievi, è collocato nel quartiere Cinecittà annoverando due sedi poco distanti dalla Basilica di San Giovanni Bosco e dal Parco degli Acquedotti.
L’impegno tangibile dell’Istituto si evidenzia, ogni anno scolastico con la realizzazione di alcune mostre collettive, esponendo opere d’arte realizzate dagli allievi, in prestigiosi siti privati e istituzionali, con la curatela di noti Critici d’arte e la stampa di cataloghi d’arte editi da case editrici del settore.



Questi ultimi anni le mostre hanno trattato temi attuali, come Arte Alimentazione e Salute (Gipsoteca della Città Universitaria, 2018); Metamorfosi 2000 anni di Ovidio (Complesso monumentale di Santa Maria dell’Orto, 2019); Mosca- Roma: Riflessi, per il settore di competenza (Mosca-Ambasciata d’Italia in Russia, Ekaterinburg, San Pietroburgo-Accademia delle Belle Arti, Roma-Centro Russo di scienza e cultura, 2020-2021); Leonardo e l’eclettismo (Medina Roma Art Gallery, 2021), Dante il visionario e il mito (Fondazione Pastificio Cerere, 2022). Gli eventi vengono recensiti e le opere pubblicate in magazine online e riviste cartacee.
Nell’anno in cui si rievoca la nascita di Pier Paolo Pasolini e a conclusione dell’anno scolastico 2021- 2022, il Dirigente Scolastico Nicola Armignaccaha individuato il tema della mostra, Pasolini, tra Arte e Poetiche,allestita allaGalleria Impact hub di Roma.
Per i giovani artisti del Liceo l’impegno poteva sembrare proibitivo, analizzare la figura di un intellettuale come Pasolini, appare impresa quasi impossibile, essendo uomo dalle mille sfaccettature il cui impegno artistico convulso in più campi del sapere esprime il personale proposito di rimanere svincolato da ogni tipo di definizione.
Per comprendere quanto il tema sia stato coinvolgente e sviluppato dagli allievi e dall’Istituto riporto alcuni dati. Il Comitato scientifico è composto da ben 28 Docenti che hanno seguito con alta professionalità circa 150 allievi che hanno prodotto un numero altissimo di opere singole o collettive. Come facilmente intuibile, non sono questi i numeri di una mostra scolastica, bensì di mostre istituzionali internazionali ideate e realizzate con cospicui finanziamenti.
Gli alunni hanno svolto attività di progettazione e realizzazione di manufatti artistici, ma anche di video, ricerche sul territorio dei luoghi pasoliniani, dei murales che raffigurano Pasolini, dei dipinti realizzati da Pasolini, approfondimenti letterari e poetici, foto, installazioni come quella molto significativa progettata dal Prof. Antonio Solarino, Pasolini tra arte e vita, che ha coinvolto gli allievi di un’intera classe. Ognuno di loro ha realizzato un fotogramma di una lunga pellicola cinematografica srotolata sulle pareti e a terra.
Rilevante la ricercaavviata dalla Prof.ssa Alessandra Petrone volta ad esaminare l’intimo rapporto tra il cinema di Pasolini e l’arte rinascimentale conosciuta dal regista attraverso Roberto Longhi suo professore all’Università di Bologna.
Ne La ricotta, episodio del film RoGoPaG (1963, Il titolo è una sigla che identifica i registi dei quattro segmenti: Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti), che costò a Pasolini quattro mesi di carcere con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”, due dipinti cinquecenteschi, le Deposizioni di Rosso e Pontormo, ricostruiti con dovizia di particolari, se da una parte fungono da contrappunto per evidenziare la perdita dei valori nel contemporaneo, dall’altra, con le loro pose complesse, innaturali, artificiose, si scollano dalla vita reale, cruda e impietosa, ponendo in risalto la misera condizione della gente semplice, povera e affamata, perennemente immolata.
I giovani artisti si sono soffermati molto sui luoghi pasoliniani dellacittà d’adozione, Roma, dove vivrà il secondo tempo della sua esistenza: dopo il “paradiso” di Casarsa, è nella Capitale che Pasolini vivrà appieno le borgatee il sottoproletariato.

Le opere esposte, realizzate singolarmente o in collaborazione, sono state realizzate in piena libertà stilistica e tecnica, in svariati materiali, associando multiformi espressività tradizionali e contemporanee, mediante stimoli visivi provenienti in particolare dalla carriera magmatica e multiforme svoltasi tra il 1942 (Poesie a Casarsa in dialetto friulano) e il 2 novembre 1975, giorno dell’uccisione violenta all’Idroscalo di Ostia di Pier Paolo Pasolini.

Di Roberto Luciani

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Libro



La Gloria delle Perline.

The Glory of Beads.
The Rise and Fall of the Società Veneziana per l’Industria delle Conterie.

L'autrice statunitense, Nicole Anderson, del Michigan, in questo volume ben strutturato, condivide la sua passione per la storia sulla produzione delle perline delle Conterie, la Societa’ Veneziana per l’Industria delle Conterie, fondata nel 1898 a Murano.
L’introduzione porta il lettore attraverso gli alti e bassi dell’autrice nel condurre la propria ricerca come straniera in Italia e come il libro sia nato, in una sorta di lezione di vita ispiratrice.
Anderson registra fedelmente sia il lato umano che l'alternarsi dei successi e delle disgrazie nell’industria delle perline del vetro di Murano e di Venezia e riesce ad intrecciare molti piccoli ma toccanti elementi nella narrazione, come le richieste di permessi di lavoro per i bambini provenienti dalle famiglie indigenti.
Il libro e’ riccamente documentato con fotografie dalla fine del 1800 fino alla metà del 1900, degli operai, delle attrezzature utilizzate nell’industria del vetro delle perline ed anche degli oggetti realizzati, come le “frange” utilizzate nei suoi vari impieghi, da ornamenti per l’abbigliamento femminile a ornamenti per lampadari.
I primi cinque capitoli forniscono informazioni di base sulla storia di Murano, la lavorazione del vetro e la produzione di perline.
I capitoli dal 6 al 10, sono più specifici inerenti la produzione e l’uso finale delle perle di Conterie, oltre a un glossario di termini.
In sintesi, questo libro e’ una fonte di informazioni, con sfumature agrodolci sulla vita dell'epoca, oltre che ad analizzare lo sviluppo tecnologico della produzione delle perline delle Conterie, contribuendo a diffondere conoscenza e apprezzamento per tutti quegli oggetti che sono stati realizzati o decorati con le perline.
Il libro è ben accreditato e presente presso i Bookshop del Museo del Vetro di Murano, delle Stanze del Vetro di Venezia oltre che al Corning Museum Of Glass di New York."

Di Elisabetta Ravaioli

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Mostra



Tapio Wirkkalla e
Toni Zuccheri
alla Venini

21.11.2021 - 13.03.2022

Tapio Wirkkala giunge a Murano nel 1965 chiamato da Ludovico De Santillana, nuovo direttore e genero di Paolo Venini a cui è succeduto dopo la sua morte.
Tapio Wirkkala rimarrà profondamente colpito dalla laguna di Venezia grazie alla sua origine Lappone, Finlandese perché ritroverà qui gli stessi elementi naturali dell'acqua.
Formato professionalmente dalla precedente esperienza presso la vetreria Karhula Littala con la quale ha espresso la propria arte in uno spesso cristallo trasparente, ha anche studiato design dal designer del creatore della bottiglia della Coca Cola.
Nonostante non comprenda la lingua italiana e non voglia parlare in finlandese, a Murano troverà empatia con i maestri vetrai isolani. In una magica atmosfera, tutti radunati attorno a sé disegnava con il gesso ciò che voleva realizzare sul pavimento o sul muro, instaurando così una comunicazione senza barriere linguistiche dove il disegno diventa un motore di comunicazione. Si reca in fornace assieme ai maestri vetrai, alle 5 del mattino per seguire personalmente la produzione, mangia e beve con loro ciò che le mogli dei maestri vetrai hanno cucinato e condivide l’atmosfera dell’isola.
Tapio Virkkala che non conosce il vetro sottile e colorato rimane affascinato dalle tecniche di lavorazione muranesi in cui si prediligono il vetro soffiato e il vetro colorato.
Nascerà così una fusione di due diverse tecniche di lavorazione e possiamo vedere la creazione di un vetro a Filigrana, tipico Muranese, abbinato a un vetro cristallino di origine Nordica che ne appesantisce le forme.
Le serie esposte alla mostra sono: Ai lieti calici, Meduse, Lapponi, Bamboo, A Profilo Concavo, Gondolieri, Bolle, Pianissimo, Coreani, Silma, Macchie, Piatti, Coppe, Filigrane di Tapio, Pavoni, Tableware.

La seconda parte della mostra è dedicata a “Toni Zuccheri alla Venini”.
Toni Zuccheri è giunto alla Venini nel 1961 ancora studente universitario, per realizzare un "Bestiario" in vetro che Paolo Venini aveva pensato di realizzare nel 1959 avvalendosi del padre di Toni, Luigi Zuccheri.
La prematura morte di Paolo Venini interruppe il progetto che sarà ripreso dal genero Ludovico De Santillana nel 1961, succeduto al suocero.

L'invito a disegnare il "Bestiario" fu nuovamente proposto a Luigi Zuccheri, famoso disegnatore di animali, che declinò l'invito in favore del figlio Toni, sia per motivi di salute che ritenendolo più adatto per l'incarico.
Con l'appoggio di De Santillana e Ginette Gignous, vedova di Paolo Venini, Toni poteva muoversi in fornace con grande libertà e prese sempre più confidenza con il vetro.
Ne nacque una collaborazione che diede vita a una serie di bellissime opere tra cui quelle in mostra: Crepuscoli, Tronchi, Ninfee, Scolpiti, Giade, Grovigli, Membrane. Dal Bestiario degli anni 1960s l'Upupa che ha una struttura in bronzo a cera persa e il corpo e la testa in vetro nero e rosso.
Dal Bestiario degli anni 1980s La Fenice.

Toni Zuccheri ha avuto due grandi amori nella propria vita, il vetro e sua moglie.
Pensava che fosse una illusione che il vetro potesse essere plasmato dall’artista perché una materia alchemica. Questo lo ha spinto a provare e a ricercare per vedere fino a che punto il vetro poteva arrivare e dargli.
Nella giovinezza ha sperimentato la superficie del vetro, quindi le linee, le forme e i colori.
Nella maturità il vetro diventa meno trasparente, e in una sorta di simbiosi fisica anche il suo vetro diventa più materico, opaco ed estremamente in movimento.
Adorava lavorare su commissione. Quando gli veniva commissionato un animale, lo studiava dal vivo, lo disegnava, costruiva lo scheletro poi andava in vetreria per farsi soffiare le piume e poi tornava a casa e lo completava. Costruiva la testa dell’animale in modo che fosse movibile.
Nell’anzianità non riuscirà più ad andare in fornace e ha lasciato che la natura creasse il vetro, come lo chiamava lui, il “vetro delle origini”. Faceva bruciare in una vecchia stufa pezzi di vetro, foglie, sassi, legni e nella combustione lenta quando il fuoco era spento, ne uscivano massi informi e intravedeva in esso la “Bestia” intrappolata. Così sono nate le famose Gazze ladre, le Beccacce e i Martin pescatori.

Di Elisabetta Ravaioli

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Nota critica



Francesco Vanni
La poetica del non-finito

Alcuni pochi grandi maestri di epoca rinascimentale e tardorinascimentale si sono ispirati al non-finito: Donatello forse ne è il primo sostenitore nelle sue splendide sculture, Leonardo ne ragiona diffusamente nel suo Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, e lo pratica nei suoi magnifici disegni, Michelangelo lo esalta nei suoi capolavori marmorei. Pochissimi fra quei pochi sono riusciti nell’intento di lasciare siffatta testimonianza del non-finito nella non facile tecnica del disegno a penna d’oca. Francesco Vanni (Siena, 1563 - 1610) è uno dei più rari nel coniugare con levità magistrale la lezione michelangiolesca con una reinterpretazione del portato manierista, approdando infine con distacco alle rivoluzionarie piagge del Merisi. Di recente, ci siamo imbattuti in un magnifico disegno di Francesco Vanni, verosimilmente un bozzetto, proveniente da una collezione privata romana. Raffigura San Francesco d’Assisi penitente, nel suo saio, in meditazione, con Vanitas, abbracciato al Crocefisso e col Rosario in mano. Il corpo di Cristo è appena delineato, pur essendo già evidente una frazione di tratteggio del chiaroscuro. Così anche parte del volto e le mani e le gambe del Patrono d’Italia. In alto a dx si ravvisa una figura angelica librata in aria, appena abbozzata nel delineato. Si tratta di un’opera del tardo Cinquecento, della giovane maturità del Maestro senese e precisamente di un disegno a penna, ad inchiostro di galla, su carta a mano vergellata, firmato dal Vanni in basso a sinistra. Vanni ci fa avvertire la compiutezza dell’opera grafica proprio nell’assenza del disegno finito, nella leggerezza estrema dei tratti di penna appena accennati, che diviene leggiadria, lasciandoci intuire il chiaroscuro ed il delineato là dove non v’è altro che un accenno d’inchiostro di galla, del sospetto di un’ombra. Ed è facile, persin ovvio, rendersi conto che il San Francesco, se rendesse esplicito ciò che è implicito, ciò che è allusione, perderebbe irrimediabilmente l’ineffabile sua armonia, l’incomparabile levità, il suo fascino suggestivo. È magnifico così, fra il detto e il quasi detto

Di Matteo Maglia

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Presentazione libro



La Divina Commedia
La fortuna del poema dantesco nelle edizioni illustrate

Mercoledì 19 gennaio 2022 - ore 17.00
Società Dante Alighieri
Palazzo Firenze, Sala del Primaticcio
Piazza Firenze 2, Roma

In oltre cinque secoli di edizioni la Divina Commedia di Dante Alighieri ha mobilitato centinaia di artisti che si sono cimentati nell’assolvere al delicato, quanto impegnativo compito di dare corpo, forma e vita alla moltitudine di personaggi, mostri, diavoli, angeli che affollano i 14.233 versi del corpus poetico della Commedia dantesca. Non solo, ma anche tutte le descrizioni dei luoghi, delle atmosfere, delle suggestioni, dei colori che Dante descrive dettagliatamente dovevano essere riconoscibili in una rappresentazione visuale. Ogni artista che ha profuso la sua arte e il suo ingegno in questa impresa doveva cogliere nel suo animo il pensiero di Dante per poi sublimarlo in qualcosa che avrebbe dovuto accompagnare il lettore in una realtà distopica. Un luogo non-luogo, qualcosa che non esiste, ma che diventa luogo-ideale nel senso di idealizzato, dove nessuno vive, ma che  attraverso l’immaginazione riporta al nostro mondo per aiutarci a riflettere sul presente. Ecco allora che l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso danteschi diventano mondi di un altro mondo, dove dal buio si approda alla luce, alle stelle. E il Sommo Poeta proprio con la parola STELLE chiude ciascuna delle tre cantiche: “E quindi uscimmo a riveder le stelle  /  Puro e disposto a salire le stelle / L’Amore che move il sole e l’altre stelle”.
Sono molti gli artisti che sono riusciti a cogliere e visualizzare  le infinite sfaccettature del viaggio dantesco nel profondo delle viscere della Terra. Impossibile citarli tutti, vincoli editoriali hanno imposto una scelta, ma in tutti è possibile rintracciare il filo conduttore di una storia dell’arte illustrativa. Dalla prima edizione illustrata della Divina Commedia del 1481 ad opera di Botticelli sono passati oltre cinque secoli e ancora oggi artisti di ogni genere, orientamento e scuola si dedicano ogni anno a rinnovare la loro visione di una storia incredibilmente “moderna”.
A fronte della copiosa saggistica su Dante e sulla Divina Commedia, sono molto pochi i testi che hanno approfondito il tema dell’iconografia dantesca e degli illustratori del Poema, a parte alcuni cataloghi di mostre o monografie sui singoli artisti e saggi sui libri miniati. Lo studio della trasposizione grafica dell’opera omnia di Dante non è ancora stato del tutto sviluppato.
Questo volume mette a confronto 65 edizioni italiane della Divina Commedia dalla prima illustrata su disegni di Botticelli del 1481, fino alle ultime pubblicazioni degli artisti contemporanei.
Un ricco apparato iconografico di oltre 400 immagini con un approfondito corredo critico fanno di questo saggio una inesauribile fonte di notizie su artisti mai esaminati in altri testi e su numerose illustrazioni dantesche inedite.

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Mostra



Pino Cannatà
Veleggiando

VIA DEL CORSO 528, ROMA
19 SETTEMBRE - 3 OTTOBRE 2021

Inaugurazione 19 settembre ore 17:00
Apertura
09:30-12:30 | 14:00-20:00

Il 19 settembre a Roma in Via del Corso 528, si svolgerà l’inaugurazione della Mostra delle opere del Pittore Navigatore Pino Cannatà, artista molto conosciuto e legato a Civitavecchia, dal titolo “Veleggiando” in presenza di una delegazione della Marina Militare Italiana e patrocinata dalla Fondazione Philippe Cousteau.
Curatrice della mostra è l’Art Director Francesca Attolini.

La prestigiosa location vede tornare per il terzo anno questa nuova esposizione personale del pittore navigatore e dell’energia del mare Cannatà, dopo il successo degli anni precedenti. In questa nuova versione dal titolo Veleggiando, Cannatà utilizza come supporto per dipingere le vele della sua imbarcazione Sayonara, ne fissa il respiro del vento, a volte Placido e silenzioso, a volte burrascoso mescolando luce e materia cattura la bellezza e l’energia del mare nelle sue più mutevoli visioni, regalandoci cattedrali d’acqua mozzafiato.
L’esposizione sarà inoltre accompagnata dall’originale presentazione delle Vele in bottiglia, dipinti su vela posti in bottiglie di vetro affidate al mare durante la navigazione. Attraverso la sua performance Cannatà studia ed osserva le correnti marine, sensibilizza il recupero degli oggetti in mare e dona ad esso ancora una volta, la possibilità di veicolare l’arte nel mondo. Oggi Cannata ci propone attraverso la sua Arte di affiancarlo ai suoi grandi obbiettivi di interesse ecologico e sociale in un epoca in cui si preannunciano catastrofi ecologiche egli intende esprimere quanto sempre maggiore importanza assuma il ruolo dellarte come strumento per la salvaguardia dell’ambiente.

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Mostra



Walter Ceccarelli
Releaser Art

MUSEO CIVICO DI SAN FRANCESCO
Montone (PG)
4/26 SETTEMBRE 2021

Inaugurazione 4 settembre ore 18:00
Aperture venerdì, sabato e domenica
10:30-13:00 | 16:00-18:30
Domenica 12 settembre chiuso.

La Releaser Art nasce dall’estensione poetica all’intero mondo naturale e umano del concetto etologico di releaser. I releasers sono tutte quelle forme, colori, suoni, odori, comportamenti innati, palesemente visibili, udibili, odorabili, il cui scopo è indurre un individuo, il ricevente, a comportarsi in modo da soddisfare le aspettative di un altro individuo, l’emittente.
In qualità di pittore i releasers di cui mi occupo sono quelli visivi. Le suggestioni releasers sfuggono all’obiettivo della macchina fotografica; per testimoniare le suggestioni releasers c’è la Releaser Art. Portare alla luce queste suggestioni è quello che mi sono proposto di fare con la Releaser Art.
Il termine “releaser” che ho scelto per definire questa mia ricerca artistica l’ho preso dal libro Social behaviour di Niko Tinbergen
L’effetto percettivo indotto nell’uomo dai releasers visivi potrebbe spiegare alcuni aspetti riguardanti l’origine delle rappresentazioni del mondo ultraterreno. Le immagini delle divinità sono anche il risultato della propulsione ai releasers visivi radicata nell’uomo, impulso che lo spinge a creare vistosità in grado di suggestionare il prossimo al fine di controllarne le reazioni.
La Releaser Art si propone come reinvenzione del naturalismo. Si inserisce nel quadro pluralista delle tendenze contemporanee in qualità di arte naturalista progressiva. Tecnicamente si basa sull’utilizzo degli strumenti tradizionali della cultura storico artistica.

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Presentazione



ANDREA FRATTIN

Vetro di Murano
magia e emozione

PALAZZO DA MULA
Murano (VE)
8 SETTEMBRE 2021 - ore 10:30
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Andrea Frattin è maestro vetraio nato e cresciuto a Murano da una famiglia con tradizioni di maestri vetrai.

E’ anche presidente dell’Associazione “Amici dell’Artigianalità Vetraria Muranese” che si occupa di promuovere l’artigianalità dell’arte del vetro di Murano nel mondo.

Per questo scopo, ha scritto il libro intitolato “VETRO DI MURANO - Magia ed Emozione” patrocinato dalla Venice Glass Week, dal 4 al 12 settembre, e chesarà ufficialmente presentato l’8 settembre 2021 presso il Palazzo Da Mula a Murano.
Il libro inizia dall’autobiografia dell’autore per spaziare agli strumenti di lavorazione che utilizza il maestro vetraio, alle più rinomate vetrerie che hanno contribuito alla storia dell’arte del vetro di Murano come Umberto Bellotto, Vittorio Zecchin, Archimede Seguso, ecc, in un coinvolgente racconto.
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Dietro ad ogni singolo oggetto creato da un mastro vetraio di Murano non vi sono solo l’abilità manuale dell’artista e l’estro creativo ma vi è soprattutto una storia. In primis quella del suo artigiano, che con pazienza, concentrazione, fatica, tempo ed esperienza, riesce a forgiare la massa liquida incandescente, plasmandola in un’opera d’arte esclusiva. Quella del luogo, la “fornasa” in cui l’oggetto iniziando dalla “stanza dei veleni”, dove si realizza la “partia” o composizione, prende vita, perché l’arte vetraria di Murano ha origini millenarie e viene tramandata di padre in figlio, di generazione in generazione. Inoltre, quella dell’oggetto stesso che, con particolare riferimento alle creazioni più antiche, rare e pregiate, ha anch’esso una propria vita passata. Tutte queste storie si intrecciano e contribuiscono a determinare l’unicità dell’opera in vetro di Murano. Mi chiamo Andrea e sono la persona che con umiltà ha pensato di iniziare questo progetto denominato Murano Glass and Venetian Curiosity. In un certo senso posso affermare che il vetro è entrato a far parte di me fin dalla tenera età, magari presente anche nel dna familiare. Sono nato e cresciuto a Murano, questa piccola isola della laguna veneta ormai da tutto il mondo conosciuta per la lavorazione artigianale del vetro soffiato e non. Un’isola nella quale si respira un’atmosfera da mille e una notte sin dal primo momento in cui ti accoglie, una specie di aurea magica che ti accompagna passo passo. La mia non è una famiglia antica di maestri vetrai ma mio padre è stato tra i grandi maestri che hanno dato lustro a quest’arte, ed è colui che mi ha trasmesso la passione e tutt’oggi mi consiglia. Non c’è materiale che può, dal mio punto di vista essere più affascinante del vetro, sia per chi lo guarda dall’esterno, che spesso rimane senza parole, ma soprattutto per il maestro vetraio, che lo può plasmare e modificare con le proprie mani inalandovi un soffio di vita e realizzando forme artistiche senza tempo. La storia del vetro è molto antica e variegata, quest’arte è sopravvissuta al susseguirsi delle epoche storiche, e allo stesso tempo incredibilmente moderno. Quando si parla di vetro, si parla di poesia, sembra che questo materiale sia ricoperto da un alone di magia e mistero perché può essere solido ma nel contempo far apparire una sua fragilità, ricco di sfaccettature Andrea Frattin all’età di 18 anni mentre “marmorizza” un vaso in vetro. e di contrasti, quasi un simbolo della nostra società e del nostro tempo.

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Mostra



Nonterritorial ‘Climate Exchange’/ Parte I: Xls

Nel contesto della mostra Climate Exchange, che affronta il tema del cambiamento climatico da diverse angolazioni, presenteremo al pubblico la Autonomous Frame. L’Autonomous Frame può considerarsi come una declinazione, un dialetto della Cinematic Preview, a sua volta format
espositivo sperimentale, linguaggio creato da Nonterritorial con l’intento di fare della documentazione dell’opera d’arte una vera e propria esperienza estetica. L’idea è che debba esserci, nella fruizione contemporanea e digitale dell’opera d’arte, spazio per la contemplazione, per la ruminazione e per la concentrazione estetica, gravemente
danneggiate dal proliferare della cultura appiattita e distrattiva dello schermo.
La mostra si compone di 14 opere che saranno esposte nelle vetrine sotto il colonnato della Galleria Alberto Sordi, a Piazza Colonna, Roma.
Sarà proiettata la serie combinata di ‘Xls’ e ‘Climate Exchange’. Le immagini sono legate e si susseguono in un flusso regolare ma mai prevedibile. Il flusso non vuole trasmettere una narrazione, ma un ritmo, uno stato d’animo, un paesaggio aperto, dove non si trovano indicazioni, ma in cui è possibile trovare coordinate, e in cui è anche concesso, se non auspicabile, un momento di smarrimento. L’idea è quella di un trasmettitore. L’opera è un segnale, e la Cinematic Preview il mezzo di trasmissione.

La mostra si terrà tra il 21 e il 28 maggio, fronte strada, e non sarà ammesso l’accesso al pubblico.

Per maggiori informazioni sulla mostra e sulla Cinematic Preview, visitare il sito:
http://www.nonterritorial.art

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Compleanni



Buon compleanno
VINCENT!

Buon compleanno Vincent van Gogh, è ricorso ieri 30 marzo. Un grande abbraccio alla memoria dell’artista forse più infelice, più fragile, più geniale, meno compreso, più generoso, più carico d’amore che purtroppo non riuscì a dispensare personalmente ma solo attraverso le sue magnifiche opere d’arte così ricolme di pathos e di luce e di dolore umano profondo e insostenibile. Un abbraccio anche alla memoria del fratello Theo che gli sopravvisse brevemente, col quale Vincent intrattenne un carteggio pieno d’amore e dolore e un abbraccio all’infelice e tanto amata cugina Kee.

Buon compleanno Vincent... this world was never meant for one as beautiful as you...

Matteo Maglia

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Mostre



DEPERO
Futurism & Advertising

a cura di
Stefania Minutaglio
Daniele Belardo

co-curatrice
Maria Zarebczan


6 marzo - 23 aprile 2021

11 Galleria d'arte [HH]

Via Giulia 103/A
Roma, IT


Mai come nel Futurismo la combinazione di arti e pubblicità ha avuto una produzione così redditizia e innovativa. Dalla grafica al packaging, dal personal branding al product marketing, la visione moderna dei futuristi ha rivoluzionato per sempre la comunicazione.

Comunicato stampa
"L'arte del futuro sarà un'arte potentemente pubblicitaria".

Così scriveva nei primi anni '30 Fortunato Depero, l'artista futurista che più di ogni altro contribuirà all'evoluzione della pubblicità in Italia. La sua storica collaborazione con Davide Campari ne fece un vero e proprio simbolo della nuova cultura industriale.
Pittore, scultore, scenografo, costumista e grafico, Depero rimodellò il concetto di scrittura e illustrazione con l'obiettivo di ottenere il più forte impatto visivo e creare manifesti e cartelloni che polarizzassero immediatamente l'attenzione.
La rivoluzione pubblicitaria di Depero plasmò le collaborazioni con importanti aziende italiane come Magnesia e Acqua San Pellegrino, il liquore Strega, la farmaceutica Schering, e soprattutto con Campari, per la quale disegnò anche l'iconica bottiglia a forma di calice rovesciato nel 1932, confermandosi un precursore del marketing di prodotto e del branding come li conosciamo oggi.

Depero ha rivisto e rimodellato i canoni del manifesto, puntando sull'immediatezza visiva, sull'essenzialità delle forme e sulla forza del carattere tipografico. Il suo stile grintoso, aggressivo ed esplosivo, caratterizzato da audaci combinazioni coloristiche di colori spot, lo rende ancora oggi una fonte di ispirazione per i designer contemporanei.

In collaborazione con:
GALLERIA MATTEOTTI, Torino IT.

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Libri



L’informale alle Quadriennali romane del dopoguerra.
Un'indagine sul linguaggio della critica

di

Beatrice Luzi


Che cos’è l’informale? E quali caratteristiche definiscono le sue molteplici manifestazioni nell’arte del dopoguerra? Il volume analizza, da un punto di vista squisitamente lessicale, il concetto di “informale” e i tempi e i modi del suo impiego nel linguaggio della critica, in occasione delle rassegne Quadriennali tenutesi a Roma tra il 1948 e il 1960. Attraverso fonti testuali in gran parte inedite, questa indagine mira a enucleare le diverse istanze presenti nella produzione artistica dell’epoca e il loro riflesso nel linguaggio adottato dagli artisti e dalla critica italiana in seno al complesso paradigma estetico dell’informale.

 

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Libri



Antichi borghi italiani

di

Loretta Eller


Le generazioni precedenti alla nostra, specialmente quelle che sono vissute ed hanno operato nella prima parte del Novecento, hanno fatto in modo di far arrivare fino ai nostri giorni piccoli insediamenti urbani e rurali ricchi di storia. Questi luoghi sono comunemente conosciuti come borghi. La testimonianza più diretta e genuina degli antichi borghi italiani, in gran parte scomparsi, è documentata dalle cartoline dell’epoca. Piccoli lacerti di cartoncino che sono arrivati fino ai giorni nostri mantenendo intatto il loro sapore di semplice e sincero valore storico di cultura e di memoria, che possiamo oggi riscoprire ed apprezzare attraverso le antiche cartoline illustrate. Le cartoline postali, oggi poco o per nulla utilizzate dalle nuove generazioni, hanno rappresentato, per oltre un secolo, l’unico mezzo di comunicazione per persone tra loro lontane che desideravano condividere luoghi, fatti, persone, eventi folkloristici o storici, oltre alle bellezze di un’Italia ancora tutta da scoprire. A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la cartolina illustrata divenne un fenomeno planetario, paragonabile all’odierno internet, attraverso il quale milioni di persone si scambiavano messaggi da una parte all’altra del mondo. Questa pubblicazione riporta l’orologio indietro di cento anni, per riscoprire come eravamo, cosa succedeva e come vivevano i nostri avi. Non vuole essere un’operazione nostalgica, ma uno sprone a vivere nei nostri giorni con uno sguardo amorevole e rispettoso verso quello che ci viene dal passato, verso tutto quello che di buono è stato fatto dai nostri predecessori e che non si legge nei libri di storia.

 

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Recensioni

Elena Mutinelli




Bellezza, Forza e Levità
la grazia di scolpire in Elena Mutinelli

di Matteo Maglia

A certe condizioni spirituali, chi è prediletto dalla Musa ed ha percepito la
vocazione a far vivere gli universi misterici racchiusi nel profondo del marmo statuario
di Carrara, coglie imperiosamente il sentire più alto della poetica cara a Michelangelo
allorché, dalle viscere del blocco di marmo che ha scelto di fare suo, sente palpitare la
scultura finita e perfetta che vi è imprigionata e non esita a rispondere al richiamo
dell’opera che preme per essere data alla Luce.
Quello è un momento iniziatico, un momento votato all’eterno, in quanto tale
irreversibile, che permette allo spirito dell’Artista, pervaso di energie sottili, di
innalzarsi alle più elevate fonti d’ispirazione.
Così è per Elena Mutinelli, nata a Milano il 4 luglio 1967, che sin da fanciulla,
grazie anche all’esempio di uno zio scultore, Silvio Monfrini, autore fra l’altro del
monumento a Francesco Baracca nella omonima piazza in Milano (1931), ha avvertito
precocemente il richiamo dell’arte di Fidia, Prassitele, Skopas, Lisippo…
… l’opera vive e viene percepita se nell’animo di chi la osserva esiste già…
Elena Mutinelli

Si tratta di un postulato euristico, che rivela le solide fondazioni culturali e
spirituali su cui poggia la luminosa e numinosa arte della Mutinelli, e palesa percorsi
di meditazione introspettiva che vanno ben oltre l’estetica crociana e quella gentiliana,
per raggiungere le intuizioni junghiane, con riguardo particolare alla dottrina
archetipica ed alla teoria dell’Ombra - per certi versi persino più attraente e pregnante
della teoria delle ombre in geometria descrittiva, disegno e pittura - come esposta
nell’opera Simboli della trasformazione, e quelle heideggeriane in Sein und Zeit, con
riferimento al paradigma dell’esser-ci come essere gettato, con riguardo alla
dimensione animica dell’artista nel sublime accostarsi religiosamente al blocco
impugnando un grosso scalpello a punta, la subbia, per una prima sgrossatura…
toccherà poi allo scalpello a taglio, la gradina, abbozzare le prime forme sotto
l’impulso di mazze e mazzuoli, con un battere sapientemente calibrato allo scopo da
raggiungere, che è già chiaro e nitido nello spirito dell’artista che scolpisce.
Al lavoro della gradina si accompagna un’orchestrazione di strumenti più minuti
quali gli unghietti, le puntine e i trapani…
Girovagando poi fra le argille ben modellate a mostrar ritratti ora pensosi ora
bellicosi ora ridenti, e fra i marmi statuari fieri nella loro levità graziosa ed estrema, li
immaginiamo estratti così come li vediamo dal cuore battente del blocco di marmo,
pieni di gratitudine verso la mano sapiente della scultrice, dall’antica ed attualissima
maieutica, che ne li ha liberati, partorendoli con amore uno per uno, in momenti
variamente ispirati.In siffatto contesto non può sfuggirci l’aria di libertà e serena letizia che vi aleggia intorno, pur talora entro predicati di tensione estrema come nel caso delle mani,
tema ricorrente nel ricco ed articolato lessico che origina dalla poetica di Elena
Mutinelli.


Si avverte subito l’approfondita sua conoscenza dell’anatomia umana. Passione
e destrezza che narrano di anni di studio e ricerca e paziente apprendistato. Anni di
attenta disamina dei grandi maestri del nostro Rinascimento, soffermandosi su certi
aspetti della poetica del non finito.
Sin da ragazza Elena Mutinelli frequenta lo studio milanese dello scultore catanese Gino Cosentino, allievo di Arturo Martini, che le trasmette la passione per il marmo, per poi laurearsi brillantemente in scultura all’Accademia di Brera, nel 1990.
Il corpo umano, con uno studio accurato dell’anatomia, è l’oggetto principale
della ricerca di Elena Mutinelli. Un’attenzione particolare l’artista rivolge alle mani,
rappresentandole ora a sorreggere una Vanitas, ora un’altra mano cui si avvinghiano
strettamente nell’atto solidale del soccorrere, ora una fune che rimanda al tema
dell’ascesa simbolicamente spirituale.
Se da una parte Elena Mutinelli racconta la forza e la bellezza della forma umana,
talora nella sua drammaticità e nel dolore, è pur tuttavia agevole scorgere in diverse
sue opere alcune sottolineature del tema intensamente umano dell’amore come
passione e che si evidenzia maggiormente in alcune sculture come Zeus e Pandora,
ove il mito è decisamente ribaltato, trasformando il Vaso di Pandora da luogo di
nequizie, come vorrebbe il mito, in Afrodite callipigia, luogo di delizie per il re degli
dèi.

 

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Mostra

Dominique Agius



"Vanitas"
and the Masters of 'Chiaroscuro'

a cura di MAria Zarebczan

05 Settembre | 24 Ottobre 2020
11 [HH] Art Gallery | Via Giulia 103/A, Roma


“Vanitas” nasce dal desiderio di coniugare la passione di Dominique Agius per la fotografia con la sua profonda ammirazione per i maestri classici della pittura. La mostra è un omaggio a Caravaggio e De La Tour, gli artisti che più di ogni altro hanno segnato una nuova era nell'arte. Questi indiscussi maestri del chiaroscuro non solo hanno saputo rappresentare la potenza della luce, ma hanno anche padroneggiato la prospettiva e la composizione come mai prima d'ora. 
La loro profonda scienza della prospettiva e dell'illuminazione , del suo impatto drammatico nel mettere in evidenza il modellato e i volumi, non è altro che una visione fotografica in anticipo sui tempi.


Dominique Agius insegna all'Università Internazionale di Monaco dal 2014. E' inoltre docente alla Scuola di Belle Arti di Mentone e presso la prestigiosa Università di Sciences Po sempre a Mentone, in Francia.
Le sue opere sono molto spesso esposte in Francia e all'estero. 
Dominique è anche Ambassador per la Francia dei brand Phottix e Samyang.

 

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Pubblicazioni


Per non dimenticare
100 anni di catastrofi in Italia
rievocate attraverso le cartoline d’epoca


di

Stefano Liberati



Edizioni LuoghInteriori


L’evento pandemico che dall’inizio del 2020 sta sconvolgendo il mondo intero ha riportato alla memoria le grandi catastrofi che hanno colpito l’Italia nel corso dei precedenti secoli. In questo libro sono documentate 60 sciagure vissute dal popolo italiano dal 1840 al 1940, ricostruite attraverso le cartoline e le cronache riportate sui giornali dell’epoca. La cartolina, prima dell’avvento della televisione, era l’unico mezzo di comunicazione visiva che garantiva la condivisione e la conoscenza di eventi, luoghi e informazioni fra persone lontane. C’erano i giornali che riportavano le notizie, ma l’alto grado analfabetismo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento,  non permetteva la conoscenza, se non orale, di eventi lontani. In un’Italia devastata da terremoti, eruzioni, nubifragi e due guerre mondiali, venivano spedite ogni anno milioni di cartoline, spesso fatte scrivere dagli scrivani pubblici, per inviare saluti, auguri, ma anche per far conoscere ad amici e parenti lontani notizie dei propri cari. Questa non vuole essere un’operazione rievocativa, ma uno sprone a conservare nella memoria un passato triste e luttuoso, per rileggerlo nei nostri giorni con uno sguardo amorevole e rispettoso. Di alcuni eventi esposti in questo libro, a parte labili memorie difficilmente recuperabili dal punto di vista iconografico, non c’è più traccia. Non sarebbe stato possibile ricostruirli, anche visivamente, se non fossero esistite le cartoline. È attraverso le cartoline che si è conservata la memoria, piccoli lacerti di cartoncino che sono diventati col tempo una fondamentale e rispettabile fonte storica.

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Meeting


Università di Catanzaro

Vitaliano Alfì di Catanzaro
e la scuola di Monteleone

UN SOLIMENESCO
NELLA CALABRIA DEL '700


meeting a cura di

Giuseppe Giglio




4 giugno 2020 ore 17.00 - 19.00
Aula virtuale Google Meet
meet.google.com/rpx-xavh-ngi


 

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Mostra

Novecento a Napoli

a cura di

Saverio Ammendola
Paolo La Motta
Isabella Valente


5 febbraio-10 marzo 2019
PAN | Palazzo delle Arti di Napoli


Il Novecento a Napoli. Capolavori di pittura e scultura è una selezione di opere di Crisconio, Viti, Villani, Brancaccio, Notte, Ciardo, Giarrizzo, Striccoli, Chiancone, Capaldo, Bresciani, Tamburrini, Fabbricatore, Guido Casciaro, Girosi, Verdecchia, Cajati, Lippi, Vittorio, Waschimps. Negli ultimi anni sono tante le mostre dedicate al Novecento italiano, gli studi critici più attenti risalgono alla fine degli anni Settanta, da allora, una riscoperta anche delle arti cosiddette minori ha dato una notevole spinta finanche al mercato. Ahimè però, tutto ciò succedeva da Roma in su, per Napoli e il Meridione, tranne qualche sporadico episodio, abbiamo dovuto aspettare il 2001, con l’interessante mostra Gli anni difficili, curata da Mariantonietta Picone Petrusa. Insieme ai nomi illustri si aggiungeva qualche novità, ripescando qualche artista ancora in ombra. In questi ultimi anni è arrivato più di un segnale positivo, una importante mostra sulla scultura Il Bello o il Vero curata da Isabella Valente, ha dato la possibilità a studiosi e collezionisti di riscoprire autori straordinari della scultura meridionale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Novecento, nomi come Cifariello, Tizzano, Francesco Parente, Uccella, De Martino, De Val, finalmente inquadrati storicamente con opere rappresentative. Ma l’altro evento di vitale importanza per la nostra città, è la nuova sistemazione della sala del Novecento al Museo Civico di Castel Nuovo, tutte opere di proprietà del Comune di Napoli strappate dalle pareti dei sonnolenti e angusti uffici comunali. La collezione si è arricchita di importanti donazioni da parte degli eredi Renda, Gatto e Chiancone, Attesa e significativa la donazione da parte degli eredi di Giovanni Tizzano.Se questa è la situazione museale, diversa negli anni è stata la posizione delle gallerie rimaste aperte nel territorio come Mediterranea di Saverio Ammendola e la Galleria Salvatore Serio non senza difficoltà, occupandosi del migliore novecento napoletano. Dunque oggi con questa mostra, si vuole sottolineare l’impegno e la sua ricerca, dando un particolare spazio alla scultura, con il tentativo di suggerire spunti e creando stimoli per una ricerca più approfondita. Volutamente si analizzano gli anni che vanno dal Trenta alla fine degli anni settanta, mettendo insieme quegli artisti che aderirono idealmente e formalmente ai modi di “Novecento”, come Girosi, Striccoli, Brancaccio e Notte e a quelli che in qualche modo vi reagirono superandolo, come Crisconio, fino alle ricerche informali di un Cajati o al limite verso l’astrazione Waschimps, per arrivare alle anticipazioni della Transavanguardia di un Lippi o di un Perez.La mostra dunque non vuole essere esaustiva nella scelta degli artisti, ma particolarmente pertinente per la scelta delle opere. Un esempio è Elisa al balcone di Luigi Crisconio, esposta nella mostra del ’64 alla Promotrice Salvator Rosa ed anche pubblicata nel volume storico di Paolo Ricci Arte e Artisti a Napoli, la ringhiera che vediamo nel dipinto riecheggia da Goya a Manet e la straordinaria invenzione dell’inquadratura dal basso ci riporta a Mantegna o Masaccio, mentre il volto tormentato frutto della pennellata nervosa e drammatica, ci ricorda il miglior Pirandello, Dopo il bagno di Giovanni Brancaccio presente oltre che alla Biennale di Venezia anche al Mostra Carnegie Institute, PittsburghUna vera anticipazione del lavoro che verrà di un Lippi, un Cajati o un Waschimps. Di Viti è presente Il libro bianco e il Beoneche fu esposto anche in Anni difficili. Altra opera significativa è Bagnanti di Giovanni Brancaccio, esposta alla IV Quadriennale di Roma: la eccezionale sapienza compositiva e tonale, è sottolineata dal raffinato impasto di grigi argentei, memori del grande El Greco. Della VII Quadriennale di Roma, invece è Paesaggio dopo la pioggia di Capaldo; ancora in esposizione presente è Colloqui di Carlo Striccoli,opera del mentre di Verdecchia il dipinto al Balcone opera esposta alla Biennale di Venezia del 1936, di Chiancone è presente con il dipinto Figure, pubblicato nella monografia del pittore, curata da Carlo Munari nel ’79. In mostra vedremo Lippi l’Uomo e l’uccello esposta nella celebre mostra al Castel dell’Ovo del 2004, curata da Vitaliano Corbi.
Una mostra che idealmente chiude con il finire della metà del secolo, con opere degli anni novanta, consapevole che il nuovo millennio che stiamo vivendo è ancora memore di un linguaggio che sa essere attuale ma che ancora ci riserva sorprese, soprattutto per quegli artisti che troppo presto in questa città vengono dimenticati, questo è il caso di Enrico Cajati, artista recentemente scomparso, sul quale si invita il pubblico e gli studiosi a meditare e a rivalutare la sua singolare e attraente figura d’artista. La mostra è a cura di Saverio Ammendola, Paolo La Motta e Isabella Valente, con la collaborazione di Luciano Molino, promossa dalla Mediterranea e dalla La Fenicecon il Patrocinio del Comune di Napoli – Assessorato alla Cultura, Napoli con il patrocinio dell’Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna e dell’Unione Europea Esperti d’Arte.

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Mostra

MODERN | POST-MODERN
‘Designing a new world’

[hellheaven] art gallery
dal 9 marzo al 9 aprile 2019


via Giulia 103a. ROMA



La mostra propone una piccola ma curatissima selezione di opere che illustrano la condizione dell’uomo contemporaneo attraverso una panoramica storica che abbraccia l’intero Novecento tra modernismo e post-modernità, tra provocazione e tradizione.
Dalle avanguardie storiche più radicali alla crisi della forma nel secondo dopoguerra, fino alla defigurazione espressionista come paradigma della crisi nella società odierna, un viaggio alla scoperta della nostra identità, risalendo la corrente fino al momento in cui – come scrisse nel 1910 Virginia Woolf a proposito dell’effetto sconvolgente delle mostre postimpressioniste - «la natura umana cambiò».

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Pubblicazione

Capolavori d'Arte
nei Conventi
dei Frati Minori
di Calabria

di

Giuseppe Giglio





Nel corso dell’udienza generale del 6 marzo
il volume è stato consegnato al Santo Padre.
(Si ringrazia Vatican Media)

Stato degli studi, temi e obiettivi della ricerca

Questo volume si propone di fornire un contributo alla conoscenza della produzione artistica realizzata per i Conventi dei Minori di Calabria tra il 1300 e il 1800.
La Calabria e sempre stata tragicamente segnata da rovinosi sismi, di cui gli ultimi quello del 1783 e del 1908 e dai disastrosi bombardamenti alleati del 1943, e in seguito ancora mortificata dall’incuria e dall’indifferenza umana.
Il volume tratta lo studio dei capolavori custoditi nei conventi dei Frati Minori di Calabria.
Al fine di assicurare un panorama il più esaustivo possibile, si è scelto di prendere in esame manufatti databili tra la fine del trecento e gli ultimi anni Dell’ottocento: si è pertanto proceduto all’analisi e allo studio delle opere ritenute più importanti, mantenendo il territorio cosentino quale punto di partenza e nel contempo attuando, di volta in volta, una comparazione con il coevo scenario artistico del resto della regione.
L’esame dei linguaggi di queste opere ha permesso di individuare alcuni tratti comuni nel gusto dei committenti e una linea di sviluppo nelle testimonianze figurative pervenute, questo, ci ha permesso, di esaminare, i contesti storico-figurativi dei conventi dei Minori di Calabria, e di istituire attraverso questi, confronti diretti con l’ambiente Calabrese, i Conventi studiati sono: Cosenza, Rende,Bisignano,Terranova di Sibari, San Marco Argentano, Pietrafitta, Catanzaro, Mesoraca, Cutro, Petilia Policastro, Badolato, Stalletti, Reggio Calabria.
Le laboriose botteghe impiantate nella regione e il suoi più limitrofi distretti dove i Frati Minori si sono lungamente e proficuamente approvvigionati, a partire dal XIV secolo, hanno restituito splendidi capolavori d’arte, che hanno evidenziato la singolare, e per certi aspetti, unica, prossimità storica, sociale ed economica di tutto il territorio calabrese, in particolare dell’attuale provincia di Cosenza, territorio, che ha reso inevitabile, (al fine di rendere il più possibile organica l’indagine),la perlustrazione e lo studio di questo contesto, legato profondamentea immemorabilivicende dell’’antica “Calabria
Ulteriore” e che conservaancora oggi, a dispetto dei ripetuti eventi tellurici abbattutisi corso dei secoli, e gli effetti, forse più dannosi, della negligenza e della miopia umana, uno straordinario corpus artistico intimamente connesso alle dinamiche del mercato e della committenza locale.
Come ’è emerso (grazie anche agli studi degli ultimi anni, nel contesto della cultura figurativa dell’età moderna), la riconosciuta peculiarità che è quella di aver trovato nelle prolifiche officine regionali la risposta ad una storica, e cronica, mancanza di risorse endogene.

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Mostra

Olympia e le Muse

a cura di

Stefano Liberati
Stefania Minutaglio


3-24 novembre 2018
[HellHeaven] ART GALLERY
ROMA - via dei Coronari 111
inaugurazione ore 19.00



Potrebbe sembrare un controsenso parlare di impressionisti e incisione. L’inconciliabilità precostituita tra l’ideale pittorico impressionista e i processi di stampa è però stata smentita dai fatti.
Il colore, la luce, l’eliminazione della linea, punti di partenza dell’Impressionismo, trovano una nuova vita della sperimentazione delle tecniche incisorie.
Gli impressionisti, a cominciare da Manet e Pissarro, si appassionarono alle tecniche e ai procedimenti di stampa, come anche alla fotografia che in quel periodo aveva come personaggio trainante Nadar, grande amico e benefattore dei pittori impressionisti. Ma anche il dottor Gachet, pittore e incisore dilettante, medico di fiducia di molti artisti, ha avuto una parte determinante nella produzione delle incisioni impressioniste. Nella sua casa ad Auvers-sur-Oise aveva allestito un moderno laboratorio dove accoglieva chiunque volesse sperimentare le tecniche incisorie.
Furono soprattutto Daubigny, Bracquemond, Jongkind e Delatre che spronarono gli altri artisti ad entrare nel mondo “sconosciuto” della stampa d’arte. Imponente è stata l’opera grafica di Pissarro con oltre 200 incisioni e stupenda quella di Manet, maestro dell’acquaforte. Per loro l’incisione non rappresentava la parente povera della pittura, ma solo un mezzo tecnico per fare nuove esperienze artistiche, sconvolgendo le tradizionali tecniche, inventando e interpretando con il genio che li contraddistinse: un nuovo modo di fare arte.
Convenzionalmente l’inizio dell’Arte Moderna nasce da qui. Da quando, nel 1853, Camille Corot realizzò le prime opere d’arte utilizzando i procedimenti fotografici, attraverso la tecnica incisoria chiamata Cliché Verre. I vetri di Corot furono ritrovati solo nel 1920 e rappresentano un’eccezionale testimonianza di come l’arte possa raggiungere alti livelli anche attraverso mezzi tecnici.
Nella mostra sono state raccolte una trentina di rare opere grafiche impressioniste e post-impressioniste di Manet, Renoir, Sisley, Bracquemond, Morisot, Pissarro e molti altri artisti che utilizzarono l’incisione e la litografia come espressione artistica autonoma e originale.

SCARICA IL COMUNICATO STAMPA IN PDF

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Presentazione del volume

IL GIORNALISMO
MUSICALE NELL'ITALIA
DEL XIX SECOLO

di Loretta Eller




Il tema proposto in questo volume vuole colmare una lacuna nel campo della storia del giornalismo musicale in Italia.
Mentre vi sono testi che approfondiscono la critica musicale, tema che non viene trattato in questo saggio, sono rari e abbastanza superficiali i pochi testi ad oggi pubblicati sulla nascita e l’evoluzione del giornalismo musicale in Italia.
La storia di quale sia la genesi di un “genere” giornalistico che fino all’inizio dell’Ottocento era praticamente sconosciuto, non era mai stata ancora affrontata.
Soprattutto non era mai stato pubblicato un volume monografico sulle testate giornalistiche ottocentesche italiane.
Per questo motivo la ricerca di Loretta Eller ha seguito un lungo iter per il reperimento di testate giornalistiche musicali estremamente rare, poiché presenti solo in poche biblioteche ed emeroteche in Italia.
Di molti giornali illustrati nel volume si era persa la memoria.
Sono stati fortunosamente recuperati, soprattutto da collezionisti privati, molti esemplari ottocenteschi di giornali musicali, dei quali non vi è menzione in alcuna bibliografia e che vengono pubblicati per la prima volta nella ricca iconografia del volume.

SCARICA L'INVITO IN PDF

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SHUNGA-E

Immagini di primavera


L’eros del mondo fluttuante

Le stampe chiamate shunga sono xilografie giapponesi dal contenuto esplicitamente erotico, concepite secondo lo stile della scuola ukiyo-e, prodotte principalmente durante il periodo Edo (antico nome dell’odierna Tôkyô, 1603-1868), entrate a far parte della vita e della cultura giapponese in maniera sorprendente.
In Giappone, le prime raffigurazioni shunga risalgono al periodo Heian (794 - 1185). A quei tempi erano per lo più riservate agli ambienti di corte. Dipinte su rotoli di carta, si ipotizza fossero ispirate a modelli cinesi, soprattutto alle opere di Zhou Fang (730 - 800), il grande pittore erotico attivo durante il regno della dinastia Tang.
Nella prima metà del diciannovesimo secolo, ad opera di Harunobu, si giunse alle opere pienamente policrome (nisiki-e) con l’impiego, per le edizioni più lussuose, di quindici e fino a diciassette colori attraverso l’incisione di altrettante matrici in legno.
La complessa esecuzione delle matrici era affidata ad abili artigiani, guidati dagli artisti che avevano realizzato i soggetti. Harunobu, Hokusai, Hirosige, Utamaro sono solo alcuni nomi degli artisti più acclamati in quest’arte. Un’arte che gioca su tutta una gamma di espressioni, forme e colori che vanno dalla varietà delle passioni umane alla grazia delle figure femminili, dall’esaltazione delle emozioni amorose all’esplorazione di tutte le inclinazioni della sessualità, anche le più promiscue, non disdegnando atti omosessuali e scene di gruppo. Le ambientazioni erano realistiche: lussuose dimore, bagni pubblici, case da tè, alcove, in barca o all’aperto.
All’inizio del XVII secolo la scuola di pittura Kano stilò un’insieme di regole sull’estetica dell’arte shunga. Vennero codificate le gradazioni di colore con cui dovevano essere stampati i genitali, sia maschili che femminili e i colori da utilizzare nel resto dell’opera. Si stabilì anche la convenzione della rappresentazione in dodici scene amorose, simboleggiando i mesi dell’anno, secondo l’esperienza artistica già teorizzata dal pittore Tosa Mitsunobo (1434-1525). L’arte shunga assunse così la definizione di “genere”, al pari del paesaggio e del ritratto.
Queste stampe si affermarono negli ambienti artistici europei, intorno alla metà del XIX secolo.
A Parigi circolavano tra i pittori realisti ed impressionisti: Theodore Duret, Degas, Renoir, Pisarro e Monet. Degas ne fu fortemente influenzato, in alcuni tagli prospettici delle sue opere si possono riscontrare significative analogie con l’arte giapponese. Ma anche Van Gogh non rimase estraneo al fascino di queste opere; i ponti e gli ombrellini delle donne di Claude Monet rimandano alle immagini di Hokusai. A Londra le prime xilografie ukiyo-e comparvero all’Esposizione Universale del 1862. Aubrey Beardsley (1872-1898) possedeva una vasta collezione di arte shunga,da cui trasse ispirazione per le illustrazioni della Lysistrata di Aristofane. Le linee fluttuanti delle stampe giapponesi furono fonte di ispirazione anche per gli artisti Art Nouveau.
Nell’ultimo decennio di questo secolo le xilografie shunga hanno incontrato un interesse particolare nella critica e nel pubblico occidentale. Molti musei hanno introdotto nelle loro collezioni di grafica queste incisioni. Sono state anche presentate in importanti mostre retrospettive come quella alla Kunsthal di Rotterdam nel 2005, a Palazzo Reale di Milano nel 2009 e al British Museum di Londra nel 2013.

Saranno esposte oltre cinquanta incisioni originali di grandi Maestri giapponesi che vanno dalla fine del XVIII secolo agli inizi del XX secolo, oltre ad una quarantina di opere minori, fuori catalogo.
La rassegna è curata da Gianni VURCHIO e Stefano LIBERATI che, con Pietro GOBBI firma il catalogo stampato in policromia, edito dall'ACCADEMIA NAZIONALE D'ARTE ANTICA E MODERNA che accompagna la mostra ed è in vendita presso l'IREL.

 

Organizzazione: ACCADEMIA NAZIONALE D'ARTE ANTICA E MODERNA
In collaborazione UNIONE EUROPEA ESPERTI D’ARTE

Coordinamento Artistico: Gianni VURCHIO
Testi catalogo: Pietro GOBBI - Stefano LIBERATI
Schede tecniche catalogo: Pietro GOBBI
Allestimento mostra: IREL Torino

SEDE: ISTITUTO PER LA TUTELA DEI BENI CARTACEI
Via San Dalmazzo 6/C
10122 TORINO

Comunicazione e Ufficio Stampa TORINO
IREL TORINO - cell.. 333 6624434
Contatti e informazioni: irel.torino@libero.it - gian.vurchio@gmail.com

 

Comunicazione e Ufficio Stampa ROMA
LORETTA ELLER - cell.. 339 6169616
Contatti e informazioni: loretta.eller@espertiarte.it

 

Inaugurazione: GIOVEDI' 24 novembre ore 18
Orari: dal martedì al sabato: dalle ore 16 alle ore 19 - Domenica e lunedì chiuso
Chiusura: sabato 28 gennaio 2017

 

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ORLANDO FURIOSO
500


CELEBRAZIONI PER IL V CENTENARIO DALLA PRIMA PUBBLICAZIONE

Mostra antologica
delle xilografie originali delle edizioni
del 1556 su disegni di Dosso Dossi e
del 1881 su disegni di Gustave Doré.

1 – 27 novembre 2016
Palazzo Orsini – Bomarzo

In occasione dell’inaugurazione della mostra a Bomarzo, il giorno 1 novembre 2016 alle ore 11, verrà presentato il volume:
“ORLANDO FURIOSO – La fortuna del poema ariostesco nelle edizioni illustrate”.
Pubblicazione realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Saranno presenti l’autore Stefano Liberati e l’editore Francesco Palombi.

L’evento espositivo e il volume di Stefano Liberati sull’Orlando furioso circuiteranno, in collaborazione con il Ministero per gli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nei seguenti Paesi:
ALBANIA     
ARGENTINA           
AUSTRALIA
BIELORUSSIA
BRASILE
BULGARIA
CANADA
REPUBBLICA POPOLARE CNESE
CUBA
ECUADOR
EGITTO
FINLANDIA
GERMANIA
IRLANDA
ISRAELE
LETTONIA
MESSICO
OMAN
PERU’
PORTOGALLO
SLOVENIA
SPAGNA
SUDAFRICA
SVIZZERA
TANZANIA
TUNISIA
UCRAINA
U.S.A.
VENEZUELA

PRESENTAZIONE
La mostra che l’Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna presenta in collaborazione con l’Unipne Europea Esperti d’Arte, si pregia di essere un omaggio culturale in occasione dei Cinquecento anni dalla prima pubblicazione dell’Orlando Furioso. Una delle opere epiche della letteratura italiana più acclamate al mondo.
Nell’ottobre del 1515 a Ferrara l’editore Giovanni Mazzocco da Bondeno iniziava la stampa dell’Orlando Furioso, la cui stesura era stata iniziata da Ludovico Ariosto già dal 1506. Il Poeta impiegò dieci anni per completare l’opera poiché non poteva dedicare molto tempo alla sua passione letteraria a causa dei numerosi impegni diplomatici come funzionario della corte estense ed ecclesiastici come chierico della Chiesa cattolica. Nell’aprile del 1516 le poche copie stampate (circa un migliaio) vennero distribuite prima a Ferrara e poi a Mantova.
Successivamente a questa prima edizione ne vennero stampate solo nel Cinquecento circa 150 di cui molte illustrate con xilografie. Tra tutte spicca quella più bella e importante del 1556 illustrata da Dosso Dossi, pubblicata a Venezia da Vincenzo Valgrisi.
Saranno inoltre esposte 46 xilografie di Gustave Doré del 1881, ultima opera epica illustrata dall’artista francese, contestualmente a due rarissime incisioni di Antonio Tempesta da disegni di Michelangelo i cui disegni preparatori sono conservati al British Museum di Londra. Queste due splendide incisioni, a tema ariostesco, presenti solo in due musei al mondo, non sono mai state esposte in Italia e sconosciute a tutta la bibliografia ariostesca.
Per la mostra saranno predisposti pannelli didattici sull’evoluzione grafica dell’Orlando Furioso e sugli artisti che hanno illustrato il poema ariostesco, con uno sguardo verso la vita e l’opera dell’Ariosto e alla fortuna del poema nell’ambito delle arti figurative.
Analizzando le diverse interpretazioni grafiche della narrazione del poema, si andranno ad indagare i complessi rapporti tra poesia, pittura e incisione, contribuendo così alla conoscenza e valorizzazione del vasto patrimonio artistico italiano. Infine il progetto si propone la rivalutazione della stampa di illustrazione e di interpretazione, troppo spesso considerata una mera ancilla della parola poetica, invece tassello significativo che permette una più completa ricostruzione e comprensione dell’insieme dei beni librari italiani. Questa vuole essere una operazione culturale di salvaguardia del patrimonio artistico italiano, poiché le incisioni realizzate per illustrare il poema ariostesco, sono quasi tutte di artisti italiani.

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IL PIAVE MORMORO’…

I canti della Patria dal Risorgimento alla Grande Guerra.

In mostra gli spartiti originali degli inni patriottici in occasione delle Commemorazioni della Prima Guerra Mondiale.

RIVOLI (TO)
dal 30 ottobre 29 novembre
Museo Civico “Casa del Conte Verde” di Rivoli
Mostra a cura di Stefano Liberati, Dario F. Marletto, Carlo Pagliucci, Gianni Vurchio.

La musica ha da sempre commentato la storia. In ogni campo di battaglia i soldati accompagnavano le loro gesta con inni e marce, ogni momento storico è stato fissato con note musicali, sia per l’insediamento di un nuovo sovrano, sia per la vittoria in una battaglia, per una rievocazione o commemorazione. Le musiche sono di solito accompagnate da versi solenni, densi di amor patrio, facilmente orecchiabili per essere cantati dai soldati nelle marce o nelle trincee.
La collezione che verrà esposta comprende circa 250 spartiti di musiche patriottiche italiane pubblicati tra il 1840 e il 1920. Il corpus della mostra riguarda gli inni e le marce militari composte durante la Prima Guerra Mondiale, con uno sguardo a ciò che era accaduto musicalmente durante il Risorgimento.
Tra le rarità vi è L’Italia risorta del maestro Mabellini che può considerarsi il precursore di Fratelli d’Italia e il primo Inno dedicato a Vittorio Emanuele II, prima ancora di essere nominato Re dell’Italia Unita, oltre a una serie di curiosi spartiti, tra cui una Cavour-Polka, musicata da Paolo Giorza.
Di particolare interesse sono alcuni spartiti di canti patriottici popolari spesso stampati clandestinamente in pochi esemplari e rimasti per lo più sconosciuti.

 

L’Italia ha avuto sommi artisti che hanno dedicato il loro genio musicale al servizio della Patria. Primo fra tutti Giuseppe Verdi a cui Mazzini volle, nel 1848, commissionare un
Inno d’Italia. Gli sfortunati eventi bellici successivi non permisero che l’Inno scritto da Verdi potesse poi diventare quello che oggi noi conosciamo come nostro Inno ufficiale.
Sarà esposto nella mostra per la prima volta l’unico esemplare ancora esistente dello spartito di questo Inno.

Tra i personaggi storici che hanno combattuto per fare l’Italia, tra i più acclamati musicalmente è stato Giuseppe Garibaldi, al quale molti musicisti hanno dedicato inni e marce. Nell’ambito della mostra è compreso lo spartito del primo Inno ai Cacciatori delle Alpi, con un giovane Garibaldi ritratto, in copertina, da Roberto Focosi.
Non manca lo spartito di una delle più celebri canzoni patriottiche italiane: La leggenda del Piave, con una drammatica illustrazione in copertina di Amos Scorzon. Il brano fu scritto dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario). La leggenda del Piave fu composta nel giugno del 1918, subito dopo la battaglia sul Piave, conosciuta anche come battaglia del Solstizio, così come la rinominò Gabriele D’Annunzio. Ben presto venne fatta conoscere ai soldati dal cantante Enrico Demma (pseudonimo di Raffaele Gattordo). L'inno contribuì a ridare morale alle truppe italiane. Il generale Armando Diaz dichiarò che aveva giovato alla riscossa nazionale e scrisse all’autore: «La vostra leggenda del Piave al fronte è più di un generale!». Questo brano divenne l’Inno ufficiale italiano dal 1943 al 1946.
In uno spirito di visione internazionale sono presentate due rare edizioni dell’Inno delle Nazioni di Verdi del 1862 e dell’Inno americano Il vessillo stellato, mentre la visione patriottica nazionale è variamente ed ampiamente rappresentata da intramontabili motivi ormai entrati nella nostra tradizione popolare come i numerosi canti di montagna e degli alpini, creati o rielaborati durante la Grande Guerra e le celebri canzoni napoletane composte e cantate nel periodo bellico tra cui l’intramontabile ’O surdato nnamurato.

Sono rappresentate inoltre alcune marce di corpi speciali, quali La marcia d’ordinanza della Regia Marina italiana, la celeberrima Fanfara dei bersaglieri e L’Inno del Reggimento San Marco.

Numerosi e commuoventi i canti irredentisti per Trento, Trieste e Fiume, mentre gioiose ed ottimistiche sono le canzoni che accompagnarono la breve illusione colonialista italiana in Africa.
Gran parte degli spartiti in mostra sono illustrati da artisti del calibro di Roberto Focosi, Aleardo Villa, Leopoldo Metlicovitz, Adolf Hohenstein, Giovanni Manca, Arturo Bonfanti.

Collateralmente alla mostra verranno presentate opere di giovani artisti emergenti che hanno affrontato il tema della Grande Guerra. Un’occasione per portare il pubblico ad una visione del drammatico evento bellico attraverso un percorso artistico di sicuro impatto emozionale.

È prevista la stampa di un volume monografico che approfondirà per la prima volta l’argomento musica e guerra, arricchito da un vasto repertorio iconografico.
La mostra si fregia del logo ufficiale per le Commemorazioni della Prima Guerra Mondiale e del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il progetto espositivo è stato pianificato dall’Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna in collaborazione con l’Unione Europea Esperti d’Arte e l’Istituto di Restauro di Torino.

Referente operativo:
Gianni Vurchio
Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna onlus
Via San Dalmazzo, 6/c - 10122 Torino
Tel./Fax 011.2072510- Cel. 333.6624434
gian.vurchio@gmail.com

Ufficio stampa:
Loretta Eller
Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna onlus
Via Antonio Gallonio, 8
00161 Roma
Tel. 06.44258448
Cel. 339.6169616

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COLLANA EDITORIALE
DI ARTE DEL XXI SECOLO

di Stefano Liberati

Il nome ERRORE.404 segnala, nel codice server della navigazione in internet, una “pagina non trovata” in un sito; L'UEEA, attraverso questa collana, intende divulgare l’opera di artisti poco noti nell’universo dell’arte del XXI secolo, offrendo al pubblico la possibilità di conoscerli attraverso scritti di critici, galleristi, giornalisti e addetti ai lavori, così da supplire a quelle “pagine mancanti”.

SUBCONSCIO.
Conversando con Herman Normoid.

Questo libro a firma Roberto Luciani, con una introduzione di Philippe Daverio, inaugura la collana sull’arte del XXI secolo edita dalla nostra associazione.

 


Herman Normoid. Maggie. 2013

 

Attraverso questo saggio l'autore approfondisce nella forma dell'intervista, con un ampio preludio e un'introduzione del critico d'arte Philippe Daverio, l'opera del pittore italiano HERMAN NORMOID; in particolare vengono affrontate le tematiche relative all'espressione del subconscio attraverso i suoi dipinti, alla riduzione dell'effetto della parte cosciente sulla mano dell'artefice nell'atto della creazione di un'opera e nel dialogo tra il subconscio del pittore e quello degli osservatori.

 


Herman Normoid. Pillars of Hercules. 2012

 

Il volume comprende un testo dello psichiatra Carlos Bares sul rapporto tra il subconscio e l'arte.
La tiratura è di 500 copie numerate e firmate da Herman Normoid.
Il ricavato della vendita di questo volume sarà utilizzato per finanziare le attività culturali previste dallo statuto dell'Unione Europea Esperti d'Arte onlus.
IBAN 978.889401.8899
€ 100,00 (Sconto del 50% per gli associati).

 


Herman Normoid. Mrs Davidson. 2013

 

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APERTURA DI UNA NUOVA SEDE DELL’ASSOCIAZIONE.
BERGAMO, PIAZZALE DEI LOVERINI, 3b
PRESSO LA INARTE GALLERY

L’11 aprile 2015 a Bergamo è stata inaugurata la Galleria INARTE che diventerà la sede lombarda dell’Unione Europea Esperti d’Arte.
Per l’occasione è stata presentata una mostra di artisti contemporanei scelti e selezionati dalla commissione scientifica dell’Associazione.

Fra i partecipanti emergono i nomi di Antonello Diodato Guardigli, Giovanni de Michele e Ciro Palumbo.

Il maestro A. D. Guardigli è un artista a tutto tondo che, nel suo percorso pittorico e scultorio trentennale, si mostra sempre alla ricerca di nuove, interessanti espressioni e sperimentazioni, rivolgendo la sua anima più intima alla materia esistenziale. Il suo sguardo è rivolto ad una dimensione profonda, raccolta, ma insieme spontanea; i colori dei suoi quadri son vivaci, luminosi, scaturiscono dalla sua interiorità, dal suo slancio vitale. A. D. Guardigli ritaglia per sé, nell’immenso panorama dell’arte contemporanea, un ambito spaziale personalissimo, molto interessante, stimolante. I suoi quadri, le sue sculture, realizzati con tecniche miste, rimandano ad un linguaggio artistico dominato integralmente dal loro creatore.


A.D. Guardigli

Giovanni de Michele è un giovane, promettente artista salernitano, da sempre appassionato ad ogni forma d’arte: cinema, letteratura, musica e soprattutto pittura. Prima autodidatta, e in seguito, severi corsi di studi pittorici lo avvicinano agli artisti delle avanguardie del Novecento.  Inizialmente le opere di de Michele sono materiche, figurative, per poi allontanarsene, utilizzando tecniche varie come il collage e l’acrilico su legno, per giungere all’astratto. Negli ultimi quindici anni l’artista modifica ulteriormente la sua ricerca pittorica e sperimenta lavorando sulla tecnica di sottrazione del colore. Nei suoi quadri tracce, segni, ombre, appaiono dove il bianco e nero viene in parte rimosso. Sono lavori suggestivi che rimandano ad emozioni forti, ad interpretazioni di graffiante impatto empatico. De Michele esprime se stesso e la sua visione di un mondo rabbuiato, ferito, dolorante in queste opere della serie “Cities” e “Landscapes”.


Giovanni de Michele

Ciro Palumbo, artista piemontese, inizia il suo percorso artistico nel mondo della pubblicità, per approdare nel 1994 alla pittura. Dotato di fervida immaginazione e grande dimestichezza con i pennelli, Palumbo rivisita in chiave personalissima le esperienze della scuola Metafisica di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Le sue opere, enigmatiche ed evocative, sono modellate su fantasmagorici palcoscenici onirici. La complessità delle sue composizioni si arricchisce di colti riferimenti storici e metaforici, arrivando a citazioni rinascimentali, senza mai cadere nel banale. Il sogno sembra essere una delle componenti fondamentali delle opere del maestro, dove l’irreale diventa riconoscibile, dove l’inesplorato diventa quotidiano, dove i cieli bui e i nembi frastagliati sono presagio di antichi segreti.


Ciro Palumbo

Articolo a cura di Loretta Eller

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MONDO PAPERINO

Storia e gloria della dinastia dei Paperi

Sede mostra Milano: WOW Spazio fumetto - Viale Campania 12, 20133 Milano
Date: dal 18 al 27 settembre 2014
Ingresso libero

SCARICA COMUNICATO STAMPA

Mostra a cura di Sergio Pignatone con la collaborazione di Stefano Liberati e Federico Fiecconi.

Sedi mostra Torino:
Little Nemo Art Gallery - Spazio Art&Co.Mix (Mondo Paperino),
Museo del Risparmio (L’economia secondo Zio Paperone)

L’esposizione raccoglie oltre 300 memorabilia paperiniani: libri e fumetti d’epoca; disegni e dipinti originali;
merchandising e giocattoli d’epoca; cels e layout originali; manifesti…
Un excursus che, a partire dal 1934, illustra la storia e gloria della dinastia dei Paperi attraverso le opere di ingegno dei creativi Disney.
Sono presenti le principali testate Disney e le tavole originali dei maestri Disney americani ( Barks, Taliaferro,…)
ed italiani ( Bottaro, Bruna, Carpi, Cavazzano, Molinari, Rota, Scala, Scarpa,…).
Catalogo illustrato disponibile da meta ottobre

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I PITTORI DELLA MUSICA
100 anni di stampa musicale
negli spartiti illustrati (1840-1940)

a cura di Stefano Liberati

Palombi Editori
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Con l'adesione del
PRESIDENTE della REPUBBLICA




Gli Adornatori
del Libro in Italia

a cura di Stefano Liberati
Edizioni Campo Grafico
Ristampa anastatica

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I SEGRETI DELL'OPERA D'ARTE

EX-CHIESA DEI CAVALIERI DI MALTA
SIRACUSA
29 novembre 2014

L'incontro di sabato 29 novembre a ospitato dal Comune di Siracusa presso l'Ex-chiesa dei Cavalieri di Malta per l’edizione Unesco 2014 di Educazione allo Sviluppo Sostenibile, nell’ambito del ciclo “Conversazioni a Regola d’Arte”, la FILDIS Siracusa in collaborazione con l’Unione Europea Esperti d’Arte, ha presentato "I segreti dell'opera d'arte: un viaggio nell'intrigante mondo delle perizie d'arte. Vero o falso? Come si stima il valore e come si autentica un'opera d'arte?".
Il perito consulente tecnico d'ufficio del Tribunale Ordinario di Roma e segretario nazionale dell'Unione Europea Esperti d'Arte Dario F. Marletto, ha presentato un ventaglio di casi emblematici di expertise da lui realizzate che dimostrano l’importanza delle nuove tecniche di indagine sulle opere d'arte. Sono state inoltre proposte alcune brevi scene dal film "La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore utilizzate quale spunto per mostrare le molteplici sfaccettature della professione del perito d'arte.
L'incontro ha visto tra il folto pubblico la presenza di appassionati del mondo dell’arte, associazioni culturali del territorio, professionisti, e studenti.
Sono intervenuti, la presidentessa dell'associazione che ha organizzato l'incontro, Maria Vittoria Fagotto Berlinghieri, Elena Flavia Castagnino vice presidente europea dalla University Women of Europe, la presidentessa dell'ordine degli architetti di Siracusa Lilia Cannarell, Nino Sicari docente responsabile del laboratorio di restauro dell'Istituto d'Arte A. Gagini di Siracusa e Emma Schembari in rappresentanza del Comune di Siracusa.




VISTI PER VOI

a cura di
Loretta Eller


PARIGI 1881/1901

HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC

Rovigo. Palazzo Rovella
23 febbraio / 30 giugno 2024




Protagonista della grande retrospettiva ospitata a Palazzo Rovella, Rovigo, è il pittore, disegnatore e litografo francese Henri de Toulouse-Lautrec. Artista unico nel suo genere, nacque ad Albi nel 1864, fu influenzato dall’impressionismo di Edgar Degas, per assumere poi una sua originale vena artistica, complessa e anticonvenzionale. Vissuto nell’ambiente parigino di fine secolo, nell’animato scenario bohémien e artistico che vivacizzava lo stile di vita della Ville Lumière, Lautrec seppe non solo creare le celebri affiches litografiche ma dipinti, pastelli e disegni preparatori.
La mostra mette a confronto 60 sue opere, provenienti da importanti musei americani, europei e naturalmente francesi, con i lavori di numerosi artisti impressionisti e simbolisti, suoi sodali dell’epoca per esperienze e momenti di vita, ricreando l’atmosfera parigina della Belle Époque ed esponendo più di 200 opere complessivamente.
Per Lautrec il paesaggio era solo un accessorio, più importante era il carattere della figura, ritraeva soprattutto le persone conosciute nella sua quotidianità: ballerine di teatro e cabaret, circensi, prostitute, squattrinati, alcolisti. Fu testimone di un mondo in trasformazione della Parigi di fine Ottocento e protagonista bohémien dell’anticonformista quartiere notturno di Montmartre.
Nel decennio tra il 1890 e il 1900  la Ville Lumière divenne uno dei principali centri culturali europei. Nacquero scuole di pittura, saloni e gallerie d’arte, opportunità di esporre e vendere opere innovative. L’Esposizione Universale del 1889, con il simbolo più evidente della vitalità e della genialità dell’industria francese: la Tour Eiffel, richiamò artisti provenienti da varie nazioni, generando un interessante scambio culturale. Diversi stili artistici quali l’Impressionismo, il Simbolismo e l’Art Nouveau nacquero quasi contemporaneamente e si mescolarono. Gli artisti più all’avanguardia si incontravano al celebre cabaret Le Chat Noir a Montmartre, nei bistrot e nei cenacoli intellettuali, cresceva una nuova libertà di opinione insieme alla libertà dei costumi. Anche la nascita del cinema fu un evento fondamentale per la visione di una nuova arte. Lautrec fu uno dei 33 spettatori della prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumière al Salon Indien del Grand Café al Boulevard des Capucines il 28 dicembre 1895.
Nell’opera dell’artista di Albi ebbe grande importanza la grafica. Toulouse-Lautrec si dedicò all’illustrazione, all’incisione e al manifesto. Con le affiches l’artista divenne uno dei più significativi nuovi rappresentanti di questo mezzo di comunicazione di matrice pubblicitaria. Inoltre furono fondamentali nello sviluppo del suo stile le stampe xilografiche giapponesi. Negli ultimi 10 anni l’artista francese produsse ben 368 stampe e manifesti litografici, considerandoli rilevanti alla stessa stregua dei suoi dipinti e disegni.
La mostra è curata da Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard, con la collaborazione di Nicholas-Henri Zmelty.


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JACOVITTI
SSIMEVOLMENTE
L’incontenibile arte
dell’umorismo

Roma. MAXXI
dal 25 ottobre 2023 al
18 febbraio 2024




A cento anni dalla nascita, il MAXXI (Museo Nazionale delle arti del XXI secolo) propone in mostra il mondo fantastico, giocoso e irriverente di Benito Jacovitti (1923-1997). L’esposizione è curata da Dino Aloi e Silvia Jacovitti, con il coordinamento di Giulia Ferracci.
La rassegna al MAXXI è collegata con “Jacovittissimevolmente. Tutte le follie di Jac!” al MACTE di Termoli (città natale di Jacovitti), visibile dal 7 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024).

Il percorso espositivo del MAXXI è un viaggio pittoresco che parte dall’inizio degli anni Quaranta, quando Jacovitti inizia a pubblicare vignette sul settimanale satirico “Il Brivido” di Firenze ironizzando, con alcune tavole intitolate “I tre re”, sui massimi poteri del tempo: il Papa, Il Re e il Duce. Seguiranno le prime avventure stampate sul Vittorioso, periodico dedicato ai fumetti, fino al 1970, in cui storie avvincenti, surreali e irriverenti sono accompagnate da disegni sagaci e originali.
Le pareti delle spazi espositivi centrali sono tappezzate con i suoi personaggi più iconici, personaggi che hanno conquistato più di una generazione. Ritroviamo: Cocco Bill, Tom ficcanaso, Zorry Kid, Giacinto corsaro dipinto e molti altri character divertenti e scanzonati. Un vero oggetto di culto sono le tavole del Diario Vitt, gli studenti per oltre un trentennio hanno usato questo diario come punto di riferimento. Non mancano in mostra una sezione dedicata alle illustrazioni per campagne pubblicitarie, alle gustose animazioni di Carosello e alle illustrazioni originali  del 1964 per Pinocchio, una delle sue opere più significative pensata per i più piccoli.
Il microcosmo di questo grande fumettista italiano è stato affollato da personaggi immaginari, assurdi nei nomi e nelle fattezze, che ancora oggi ci fanno sorridere.
Il suo genio creativo non si è mai piegato alla censura, raccontando, attraverso i fumetti, le due guerre, il boom economico, la contestazione giovanile, fino agli anni Ottanta e Novanta.
In un’ultima intervista rilasciata alla rivista “Fumetto” si è definito solo “un clown”.

AUGURI PER UN NUOVO ANNO A TUTTI GLI ASSOCIATI!!!


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TURNER.
PAESAGGI DELLA MITOLOGIA

Torino Reggia di Venaria Reale. Sale delle Arti.

Dal 13 ottobre 2023 al
28 gennaio 2024




Una vasta collezione delle opere di Joseph Mallord William Turner (1775-1851), artista britannico, Maestro del Romanticismo inglese, attivo durante la prima metà del XIX secolo, famoso per i suoi dipinti paesaggistici e un uso straordinario del colore, è presentata in mostra alla Reggia di Venaria. Le opere dell’artista in prestito dalla Tate Gallery di Londra, comprendono imponenti dipinti a olio (Turner li realizzò per l’esposizione alla Royal Accademy di Londra) e ancora acquerelli e schizzi ad olio, paesaggi ispirati ai temi della mitologia classica Greca e Romana.
Di fondamentale importanza furono per Turner due viaggi in Italia nel 1891 e nel 1828, lo sfondo per i suoi soggetti mitologici si arricchì di paesaggi italiani densi di colore e atmosfera.
William Turner è considerato uno dei paesaggisti più affermati della storia dell’arte e fra i migliori interpreti del “sublime” (Edmund Burke). La qualità delle sue opere paesaggistiche, di notevole pregio cromatico e luministico, furono di ispirazione per le successive generazioni di pittori, in particolare per gli impressionisti. L’abilità dell’artista londinese è preponderante nei suoi paesaggi, anche a tema mitologico o storico, quando deflagrano in spettacoli violenti della Natura, in eventi tragici come tempeste, naufragi, incendi. Prorompente è la modulazione della luce e l’esasperazione del colore.
Il percorso espositivo (curato da Anne Lyles) alla Venaria Reale accompagna il visitatore attraverso il fascino dei grandi dipinti ad olio, dove la pittura mitologica si fonde nel paesaggio. Nelle sue opere Turner, emozionandoci profondamente, sublima i dettagli fisici dei luoghi, rappresentando le trasformazioni generate dagli elementi atmosferici e dall’esplosione della luce attraverso l’oscurità.


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BRERAVIGLIE
Meraviglie di Brera dipinte in rima




Il 10 maggio alla Pinacoteca di Brera una nuova serie di nove didascalie illustrate e un’audioguida gratuita ad esse collegata ci raccontano in rima i segreti di alcuni capolavori del museo: da Crivelli a Lotto, da Modigliani a Carrà.
L’aspirazione del titolo “BRERAVIGLIE – Meraviglie di Brera dipinte in rima” è quello di raccontare, con tono lieve e ironico, attraverso illustrazioni accompagnate da filastrocche in rima, i segreti, le tipicità e le stranezze di alcune opere esposte.
L’idea è di Ilaria Negri, restauratrice del museo di Brera, che desiderava trasmettere con immediatezza il patrimonio di conoscenze acquisito nel tempo dalla Pinacoteca e, contemporaneamente, conquistare i visitatori rivelando nella narrazione il legame affettuoso che si instaura fra il restauratore e le opere d’arte.
I testi creati da Ilaria Negri e rivolti ad un ampio pubblico, sono stati anche tradotti e interpretati dal direttore James M. Bradburne in lingua inglese e valorizzati dalla lettura della doppiatrice Annalisa Longo. Sette delle nuove filastrocche sono state utilizzate per creare un nuovo percorso didascalico: i testi in rima sono accompagnati, con ironia, da un’illustrazione.
Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Nazionale Braidense, conclude la presentazione di questa innovativa esperienza commentandola: «Breraviglie aggiunge un nuovo linguaggio poetico al coro di voci già presenti a Brera: mostra la ricchezza della squadra di Brera presentando il lavoro di un collaboratore – chi può chiedere di più ? Breraviglie è al cuore di Brera».


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L'ARTE DELLA MODA
L'Età dei sogni e delle rivoluzioni 1789/1968

Museo Civico San Domenico di Forlì
18 marzo - 2 luglio 2023




Un percorso espositivo, quello de “L’arte della moda”, che raccoglie ben oltre 300 opere tra quadri, sculture, accessori, abiti d’epoca e contemporanei, che attraversa tre secoli, dall’Ancien Régime al secondo Novecento.
L’affascinante rapporto tra arte e moda è identificativo, è sempre stato intimamente legato alla storia e alle società, dove reale e immaginario si completano a vicenda. Sia l’arte che la moda possono essere utilizzate per trasmettere insegnamenti politici o sociali, tendenze ed eventi culturali. Inoltre hanno il potere di ispirarci, ci permettono di esprimere la nostra personalità e creatività. Il significato profondo di questa mostra è espresso efficacemente dalle parole del direttore Gianfranco Brunelli: «È un lungo viaggio nel tempo in cui noi scopriamo noi stessi. Se torniamo alla parola latina “abitus”,questa si riferisce all’etica del nostro comportamento, alla nostra spiritualità, non è solo quello che mettiamo nell’apparire, ma ha a che fare con la profondità di noi stessi».
Il percorso espositivo, cronologico e tematico, si apre con l’allegoria dell’arte della tessitura del grande dipinto di Tintoretto “Atena e Aracne” (1543), prosegue con abiti femminili e maschili, realizzati nel Settecento, con manifatture italiane e francesi. E ancora dipinti di grandi artisti: Klimt, Boldini, Matisse, De Chirico, Picasso, Hirst, Fontana e Mondrian. Tra gli stilisti contemporanei si avvicendano Coco Chanel, Armani, Ferragamo, Dior, Prada, Balenciaga, Gucci e Versace.
Lungo tutto il percorso della mostra, i ritratti degli artisti più celebri sono affiancati dagli abiti dell’epoca, ricostruiti attraverso un’attenta documentazione e in alcuni casi prestati, come per i quadri, provenienti dalle più importanti collezioni del mondo.


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MEMORIALE DELLA SHOAH



Il Memoriale della Shoah è un’area museale di Milano, sorta in ricordo delle vittime dell’Olocausto in Italia e situata sotto la Stazione Centrale, su piano strada. È stato inaugurato il 27 gennaio 2013 dal presidente Ferruccio de Bortoli della Fondazione Memoriale della Shoah, con l’intento di «realizzare un luogo di memoria e un luogo di dialogo e incontro tra religioni, etnie e culture diverse».
Dal “Binario 21”, prima in uso solo per i treni postali, venivano, negli anni tra il 1943 e il 1945, caricati, in vagoni bestiame, migliaia di ebrei, partigiani e deportati politici. La destinazione era ignota e spaventosa: i campi di Auschwitz–Birkenau, Mauthausen, Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flossenburg. Sullo stesso binario sono stati collocati quattro carri merci dell’epoca, uguali a quelli che si avviarono alla volta dell’inferno.
Per mantenere vivo il ricordo di un periodo del passato così orribile e trasmetterlo alle nuove generazioni, a giugno 2022, è stata inaugurata nel Memoriale milanese una biblioteca di 32.000 volumi di storia delle deportazioni della Shoah, luogo di studio e di approfondimento.
Nascerà, nei prossimi anni, un centro multimediale che collegherà tra loro diverse realtà museali e luoghi della memoria nel mondo.
In occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio 2023 è stata presentata al pubblico, sulla facciata del Memoriale della Stazione Centrale di Milano, un’istallazione al neon, permanente, dell’artista Marcello Maloberti. È una frase luminosa di grande speranza: INVITAMI NOTTE A IMMAGINARE LE STELLE. L’opera è stata realizzata con il coinvolgimento della senatrice a vita Liliana Segre, superstite e portavoce di tutte le vittime della Shoah.
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MARIO TITI
a cento anni dalla nascita



Scuderie Aldobrandini

Frascati (RM)
30-aprile/8 maggio 2022

In occasione del centenario della nascita del pittore Mario Titi è stata presentata nelle sale espositive delle Scuderie Aldobrandini di Frascati una sua sorprendente mostra monotematica: la selezione di 54 dipinti, corrispondenti a 18 rappresentazioni pittoriche per ogni cantica dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso della Divina Commedia dantesca. Queste opere, realizzate dal pittore frascatano negli anni Settanta, 120 in tutto, hanno caratteristiche geniali, realizzate con una tecnica pittorica e coloristica unica: “la colata”, di cui divenne il caposcuola. Un filo di colore brillante, smagliante, colato dal barattolo direttamente sulla tela posata a terra, da non confondere con l’Action painting di Jackson Pollock.
Le prime colate di Mario Titi sono del 1945, due anni dopo ci sarà il suo primo vernissage. Una tecnica, quella di Titi, delicatissima nella stesura dei colori, raffinata e personalissima, nella pur complessa organizzazione delle sue composizioni.
Mario Titi, negli anni Trenta, aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma, divenendo giovanissimo allievo di Tato (Guglielmo Sansoni), poi di Pippo Rizzo e Filippo Marinetti. Aveva aderito al movimento internazionale futurista.
Le sue opere sono presenti in chiese e musei del Lazio e in collezioni private in numerose città in tutto il mondo.
La mostra è stata organizzata dal Centro Studi e Documentazioni Storiche di Frascati.

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L’IDEA DELLA BIBLIOTECA
La collezione di libri antichi
di Umberto Eco



Biblioteca Nazionale Braidense

Milano, 5 maggio-2 luglio 2022

La Biblioteca Nazionale Braidense di Milano ha aperto il 5 maggio una mostra di grande rilevanza culturale. Viene esposta al pubblico l’acquisizione di un patrimonio di ben 1.300 libri antichi e rari appartenuti alla collezione di Umberto Eco (1932-2016): antichi, preziosissimi incunaboli, libri di Giordano Bruno (1582), opere stampate dai primi Rosacroce (1681) e molte altre meraviglie librarie.
Il direttore, curatore della Biblioteca e Pinacoteca di Brera, James M. Bradburne ha precisato che in una “biblioteca d’autore”, in cui i libri sono scelti per motivi di studio, la loro prossimità fisica deve evidenziare i richiami e le affinità secondo il “principio del buon vicino” dello studioso e bibliofilo tedesco Aby Varburg. Tale impegno è stato preso da lui stesso e dagli specialisti del Centro internazionale di studi umanistici “Umberto Eco” di Bologna.
Lo Studiolo che Umberto Eco, oltre trent’anni fa aveva ricavato nella sua casa di famiglia a Milano, detta anche “La stanza degli antichi”, dove si rifugiava indisturbato e dove amava suonare musica barocca con il flauto dolce, è stato ricreato nelle sale della Biblioteca Braidense. Un omaggio ad una straordinaria icona culturale del Novecento, afferma Marzia Pontone, direttrice della Biblioteca Braidense, ma anche il luogo in cui le generazioni future troveranno uno spazio nella città aperto allo studio e alla ricerca, promotore di cultura, che non dimentica il passato, ma guarda al futuro.

Per poter accedere e conoscere lo Studiolo, aperto solo per finalità di studio e ricerca, entro la fine di maggio sarà disponibile il canale digitale di Brera: BRERA PLUS, dove si alterneranno immagini dello Studiolo e della mostra, con le voci delle persone più vicine alla figura di Umberto Eco, semiologo, filosofo, scrittore, accademico, bibliofilo e medievalista.

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BIMBA LANDMANN.
L’arte per far uscire i sogni che abbiamo dentro.



Collodi  – Parco di Pinocchio

fino al 5 giugno 2022

Collodi è uno splendido borgo medievale in provincia di Pistoia dove, al Parco di Pinocchio, è stata allestita una mostra molto particolare. In questi mesi primaverili il parco è impreziosito dalla mostra evento intitolata all’artista Bimba Landmann, autrice e illustratrice di libri per l’infanzia, pubblicati in più di venti paesi. La sua visita, che abbiate bambini o no, è molto interessante.
I disegni della Landmann sono esposti alla National Gallery di Londra,al Museo Hitabashi di Tokyo, in diverse città degli Stati Uniti ed europee. Le sue opere sono state utilizzate per documentari televisivi e spettacoli teatrali. Nel 2017 il Museo Carlo Bilotti, all’Aranciera di Villa Borghese a Roma, le ha dedicato una mostra retrospettiva.
Bimba Landmann è nata a Milano il 22 agosto 1968, i suoi nonni paterni si erano trasferiti a Milano dalla Lettonia in seguito alla Rivoluzione Russa. Affascinata da sempre dai colori, soprattutto dagli ori e dai blu oltremare degli antichi libri miniati, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera e si è formata alla scuola dell’artista boemo Stepan Zaurel, maestro d’illustrazione di libri per l’infanzia.
L’evento dedica una sala espositiva ai venti anni di carriera della illustratrice e ai suoi laboratori e teatrini tridimensionali realizzati per il suo ultimo volume di Pinocchio, con testi di Chiara Lossani per la casa editrice Jaca Book.
Bimba Landmann, con ricercata abilità, raffigura i suoi sogni e li trasmette nei laboratori che conduce con bambini e adulti, nella certezza che l’arte e la creatività siano accessibili ad ognuno di noi e che ci rendano esseri umani migliori.

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CRAZY
La follia nell’arte contemporanea



Roma, Chiostro del Bramante

19-02-2022 | 08-01-2023

Il curatore Danilo Eccher ha presentato così la mostra: «Nella più ampia accezione di “follia”, non di rado sinonimo di “creatività fantastica”, l’arte si è sempre ritrovata a proprio agio…».
Il progetto espositivo è dedicato a 21 artisti di rilievo internazionale. Le opere d’arte, tra cui 11 installazioni site-specific inedite, invadono sia gli spazi esterni che quelli interni del Chiostro del Bramante. Non ci sono percorsi preordinati, prevedibili, schemi stabiliti, ma l’esplosione di un’arte che non conosce restrizioni.
Colate di pigmenti multicolori dell’artista Jan Davenport si espandono, allegre e invitanti, sulla scalinata esterna del Chiostro; gli ambienti di Lucio Fontana e Gianni Colombo modificano la percezione che abbiamo dello spazio; i neon, visibili anche all’esterno, del cileno Alfredo Jaar, riverberano versi letterari; il pavimento di specchi rotti, opera di Alfredo Pirri, illude il pubblico dando l’impressione di camminare tra le nuvole, ma le crepe degli specchi creano anche una sensazione di estrema fragilità; le 15.000 farfalle nere, allestite da Carlos Amorales lungo la scala interna del Chiostro, avvolgono nel loro volo l’osservatore.
Il precorso espositivo è impreziosito dai racconti letterari dell’audioguida: da Lewis Carroll a Jorge Luis Borges, da William Shakespeare a Tim Burton. Mentre la musica originale di Carl Brave “Organica”, composta appositamente per questa mostra, si diffonde nelle sale espositive.

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COMPLESSO DELLA SERRA
E TORRE MORESCA

VILLA TORLONIA - ROMA

Dall’8 dicembre 2021, dopo anni di articolati e complicati interventi di restauro, è possibile visitare una meraviglia architettonica, ispirata all’Alhambra di Granada.
Dopo due fasi di restauro: la prima tra il 2007 e il 2013 in cui è stato recuperato l’edificio originario in estremo stato di degrado sia nella parte strutturale che in quella decorativa, la seconda conclusasi da poco ha permesso l’allestimento e la realizzazione dell’intero complesso come spazio museale. Tale spazio è stato attuato sotto la direzione tecnico-scientifica della Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con la messa in opera da parte di Zetema Progetto Cultura.
La Serra Moresca, la Grotta e la Torre Moresca sono state costruite tra il 1839 e il 1840, su progetto dell’architetto Giuseppe Jappelli come un unicum, in relazione l’una con l’altra, ispirate agli elementi propri del giardino all’inglese, tanto ammirati dal principe Alessandro Torlonia.
La Serra Moresca è tornata ad ospitare piante esotiche e mediterranee: fragranze e colori esaltati dai giochi di luce delle magnifiche vetrate policrome dai colori smaglianti. È stato anche ricostruita l’altissima copertura in vetro con capriate in legno e una parete con finti tendaggi “trompe l’oeil”.
La Grotta artificiale, un tempo con laghetti, cascatelle e percorsi sospesi, solo in parte conservati, collega per mezzo di una scala la Serra alla Torre. Quest’ultima si snoda su tre piani con altrettanti piccoli vani collegati da una scala elicoidale. L’ultimo piano della Torre, con ampie finestre dai vetri colorati e pareti con stucchi policromi, aveva al centro un divano (non più esistente) che all’occorrenza veniva sollevato verso il soffitto lasciando il posto ad una tavola imbandita proveniente dalla cucina del piano sottostante, con grande meraviglia degli ospiti del principe.
Il complesso della Serra e della Torre Moresca diventerà anche uno spazio per eventi, laboratori didattici e mostre, dedicati alla natura e al verde.

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KLIMT
LA SECESSIONE E L’ITALIA


Roma. Palazzo Braschi, 27 ottobre 2021 – 27 marzo 2022

L’esposizione klimtiana a Palazzo Braschi indaga, per la prima volta, il rapporto tra il maestro austriaco e l’Italia, attraverso i suoi viaggi e i suoi successi artistici.
L’evento eccezionale vuole celebrare la vita e l’arte di Gustav Klimt (Baumgarten 1862 – Vienna 1918), uno dei più grandi maestri e cofondatore della Secessione viennese (1896). Organo ufficiale del gruppo secessionista fu la rivista “Ver Sacrum”, pubblicata per la prima volta nel 1898, la cui finalità si prefiggeva di rielaborare un’opera d’arte totale che unisse architettura, scultura, design, pittura e si affrancasse dalla tradizione. Klimt e gli artisti secessionisti sono rappresentati nella mostra romana in oltre 200 opere: dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture. Opere giunte in Italia dai più famosi musei del mondo, custodi dell’eredità artistica klimtiana, quali il Museo Belvedere di Vienna, la  Klimt Foundation e da collezioni pubbliche e private come la Neue Galerie Graz.
A Palazzo Braschi sono esposte le opere più iconiche di Klimt: Giuditta I, Signora in bianco, Amiche (Le sorelle), La sposa e Ritratto di signora. Quest’ultima opera fu trafugata dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperata in maniera casuale nel 2019.
Klimt amò molto l’Italia e l’esposizione di sue cartoline autografe documenta i suoi viaggi. Visitò Trieste, Venezia, Firenze, Pisa e soprattutto a Ravenna si appassionò  ai mosaici bizantini. Roma e il Lago di Garda ispirarono alcuni suoi paesaggi. La sua vena creativa fu motivo di stimolo per le opere di alcuni artisti italiani, messi a confronto nell’evento con il maestro austriaco: Felice Casorati, Galileo Chini, Camillo Innocenti, coloro che daranno inizio alla Secessione Romana (1912).
Attraverso la collaborazione di Google Arts e Culture Labteam e il Belvedere di Vienna sono stati digitalizzati tre celebri dipinti andati perduti nel 1945 durante un incendio al castello di Immendorf (Austria). Google Arts e Culture, per mezzo di alcune foto in bianco e nero e vecchi articoli di giornale, ne ha ricostituiti digitalmente i pannelli a colori. Franz Smola, curatore della mostra e tra i maggiori esperti al mondo di Klimt ha dato il suo parere tecnico. Si tratta di tre dipinti allegorici conosciuti come “Quadri delle Facoltà”: La Medicina, La Giurisprudenza e La Filosofia, realizzati da Klimt tra il 1899 e il 1907 per il soffitto dell’Aula Magna dell’Università di Vienna e rifiutati dalla stessa perché giudicati scandalosi.
L’opera più interessante, di maggiore forza artistica e spirituale di questo artista è senza dubbio il Fregio di Beethoven. Costituito da sette pannelli per sette composizioni, misura 2,20 x 24, 4 metri, custodito a Vienna presso il Palazzo della Secessione, se ne trova in questi giorni a Palazzo Braschi una copia a grandezza naturale. Il Fregio di Beethoven è stato realizzato in una sequenza ritmica di episodi. Ispirandosi alla filosofia di Schopenhauer, Klimt vi rappresenta il lungo viaggio dell’individuo alla ricerca della felicità, attraverso le forze del bene e del male. L’opera fu realizzata dal maestro austriaco nel 1902, in occasione della XIV mostra secessionista viennese intitolata “Beethoven” e ideata dall’architetto Josef Franz Maria Hoffmann.
Gustav Klimt affermava di sé e della sua arte: «Chi vuole sapere qualcosa di me come artista, che è l’unica cosa che valga la pena di conoscere, deve guardare direttamente i miei quadri. Solo così potrà capire chi sono e cosa voglio».

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LETTERATURE
Festival Internazionale di Roma
21/25 luglio 2021

La ventesima edizione del Festival Internazionale delle Letterature prevede quest’anno cinque serate nella splendida cornice dello Stadio Palatino di Roma, con un filo conduttore affascinante: “Leggere il Mondo”. Per questa edizione della storica manifestazione capitolina è stato creato un nuovo format, in cui le diverse forme di arti espressive e arti visive si intrecciano tra loro.
Il duo artistico dei MASBEDO (Nicolò Masazza e Jacopo Bedogni), importanti video artisti e innovatori nel campo dell’arte contemporanea, hanno creato “Una finestra sul Mondo” che, attraverso uno schermo monolite, ogni sera proietta un tema diverso: l’attesa, la paura, la leggerezza, la salvezza, la fuga. Lo spazio sonoro composto da Marino Formenti accompagna il dialogo fra gli artisti ed il pubblico, dando vita ad esperienze innovative.
In questo periodo in cui un virus ha scoperto e messo a nudo le nostre fragilità possiamo chiedere aiuto, avere conforto dalla letteratura e dalla poesia. È la parola dei poeti, degli scrittori che ci può aiutare a “leggere il mondo”. Sono tante voci che, in questo evento, portano la loro esperienza e la loro interpretazione della lettura del mondo.
Gli autori protagonisti sono venticinque, cinque per ogni serata. Tra questi, solo per citarne alcuni, Jonathan Coe, Cristina Morales, il vincitore dello Strega 2021 Emanuele Trevi, Gianrico Carofiglio, Jhumpa Lahiri. Le poesie di Milo De Angelis saranno lette in apertura del Festival.
La manifestazione andrà oltre alle cinque serate allo Stadio Palatino, prevedendo, grazie al coinvolgimento dell’intera rete delle Biblioteche di Roma, appuntamenti pomeridiani con alcuni autori presenti durante il Festival.
L’ingresso alle serate è gratuito, ma previa prenotazione e sono visibili in diretta streaming sul canale Facebook di Letterature.

L’evento dell’estate romana è a cura dell’Istituzione Sistema Biblioteche Centri Culturali di Roma Capitale, organizzato da Zetema Progetto Cultura e con il patrocinio della SIAE.

 

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GIACOMO BALLA

Per celebrate i 150 anni dalla nascita delpittore futurista, il MAXXI apre la sua casa-museo in via Oslavia a Roma.


Nel quartiere romano di Prati una targa di metallo sulla porta di un appartamento con su scritto “FuturBalla” ci introduce in una dimensione stupefacente: Casa Balla. Qui Giacomo Balla (1871-1958) visse e lavorò fino alla sua morte per quasi trent’anni, condividendo l’abitazione con la moglie Elisa e dove vissero fino agli anni Novanta le figlie Elica e Luce.



Il pittore e teorico futurista aveva trasformato la sua dimora in un’opera d’arte sperimentale: pareti e numerosi arredi dipinti, utensili e stoviglie da lui decorati, quadri e sculture, arazzi, abiti da lui disegnati, in una esplosione di luce, di vitalità e di colore. Opera d’arte totale.



Dopo un lungo e complesso restauro ad opera dei tecnici della Soprintendenza romana e per un accordo stabilito con gli eredi e curato dal Museo MAXXI, Casa Balla è stata aperta, ma solo per qualche mese, a visite guidate di piccoli gruppi nei fine settimana.



Contestualmente nella Galleria 5 del MAXXI la mostra “Casaballa. Dalla casa all’universo e ritorno” presenta disegni, oggetti, bozzetti, arredamenti di Casa Balla messi a confronto con oggetti di design opportunamente realizzati da artisti italiani e stranieri contemporanei.
“Vivere in un’opera d’arte” è ciò che Giacomo Balla ha realizzato nel suo appartamento famigliare ed è ciò che lui stesso scrive nel 1916, insieme a Depero, nella “Ricostruzione futurista dell’universo”, nell’intento di realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente.
Nel visitare la casa del Maestro futurista si percepisce una sensazione di prestigio, l’onore di poter essere alla presenza di una parte del nostro sorprendente patrimonio artistico.

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MONET E GLI IMPRESSIONISTI. Capolavori del Musée Marmottan Monet, Parigi
Palazzo Albergati, Bologna

Il 21 febbraio 2021 si è conclusa a Bologna una mostra eccezionale ospitata a Palazzo Albergati con 57 capolavori di Monet e dei maggiori esponenti dell’impressionismo francese, che lasciano, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1934, il Musée Marmottan Monet di Parigi, conosciuto nel mondo come “La casa dei grandi Impressionisti”.
L’evento bolognese ha voluto rendere omaggio a coloro che, collezionisti, benefattori, discendenti e amici degli stessi artisti, hanno permesso l’arricchimento e la memoria conservativa di questa prestigiosa collezione del museo parigino. Palazzo Albergati ha esposto le opere di Monet in primis e ancora Manet, Renoir, Degas, Corot, Sisley, Caillebotte, Morisot, Boudin, Pissarro e Signac.



L’Impressionismo, corrente artistica nata a Parigi tra il 1860 e il 1870, si contrappone all’arte accademica dell’epoca. Giovani artisti indigenti abbandonano il chiuso degli atelier per dipingere la realtà dal vivo, en plein air. A Fontainebleau nasce la scuola di Barbizon (1865) con Renoir, Monet, Sisley, Bazille, Millet e Rousseau. Grazie al cavalletto da campagna (portatile) e ai nuovi colori in tubetto, i pittori si spostano più velocemente e non devono miscelare i pigmenti per formare i colori. La realtà non è più rappresentata così com’è, ma come la percepisce l’artista nell’istante in cui dipinge. Le tonalità non vengono più fissate sulla tavolozza, ma i colori sono accostati direttamente sulla tela, con effetti cromatici sorprendentemente contrapposti ed immagini non del tutto definite, attraverso intense pennellate.
Poteva accadere che alcuni artisti, in particolare Monet e Renoir, ponevano i loro cavalletti uno di fianco all’altro per dipingere lo stesso soggetto e confrontare le loro opere.
La prima mostra di questo gruppo si tenne a Parigi il 15 aprile 1874 presso lo studio del fotografo Nadar con la partecipazione, fra gli altri, di Monet, Degas, Sisley, Cezanne, Renoir, Pissarro e l’italiano De Nittis. L’evento non incontrò il favore della critica. Il critico d’arte Louis Leroy, prendendo spunto dall’opera di Claude Monet “Impression, soleil levant”, ironizzò sul modo di dipingere di quel giovane gruppo di artisti, giudicando le loro opere incomplete, poco più di “impressioni”.
Era nata una corrente artistica rivoluzionaria: l’Impressionismo.
La mostra nella sua straordinaria unicità, è stata prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia, in collaborazione con il Musée Marmottan di Parigi e curata da Marianne Mathieu, direttore scientifico del museo parigino. Il catalogo è edito da Skira.

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JEFF KOONS. SHINE
Palazzo Strozzi. Firenze (23 settembre 2021- 23 gennaio 2022)

Si intitola “Shine” (lucentezza) come l’effetto e il concetto di splendore, bagliore, preziosità, che ispirano le opere dell’artista Jeff Koons, al quale la Fondazione Palazzo Strozzi dedicherà una grande mostra.
Una mostra che raccoglie le creazioni più significative di Jeff Koons, a partire dagli anni Settanta, curata personalmente dall’artista, dal direttore della Fondazione Palazzo Strozzi Arturo Galansino e dal teorico dell’arte Joachim Pissarro.

Il grande artista statunitense (nato il 21 gennaio 1955 a York) è noto per le sue opere di gusto kitsch, tendenti al consumismo e alla banalità della vita moderna, considerato un’icona dello stile Neo-Pop e riconosciuto universalmente come uno dei più quotati del mondo artistico contemporaneo. Nel maggio 2019 la sua opera “Rabbit” è stata battuta all’asta da Christie’s a New York per 91,1 milioni di dollari diventando così, ad oggi, l’opera più costosa della storia tra gli artisti viventi.

Koons utilizza un’ampia gamma di tecniche: scultura, pittura, installazioni e fotografia, adoperando diversi materiali tra cui plastica, gonfiabili, pigmenti, marmo, metalli e porcellana.
Tra le sue opere più famose posso citare il “Puppy”, un terrier west highland fatto di terra e fiori, alto dodici metri che domina l’entrata del Museo Guggenheim di Bilbao; “Rabbit”, l’iconico coniglio gonfiabile esposto per la prima volta nel 1986 alla Sonnebend Gallery di New York; “Bouquet of Tulips”, installata nel 2006 a Parigi come memoriale alle vittime degli attacchi terroristici del Bataclan; “Banality” del 1986, una serie di sculture che ritraggono personaggi famosi (Michael Jackson con il suo scimpanzé), orientate verso il linguaggio pubblicitario; infine la serie “Easyfun-Ethereal” dipinti ad olio su tela, ispirati al surrealismo e che sembrano collage.
Decisamente l’arte di Jeff Koons è legata alla cultura di massa e alla società dei consumi, società a cui si rivolge ma nello stesso tempo critica con grande intelligente ironia.
L’artista ha completamente stravolto e rideterminato il mercato dell’arte contemporanea, divenendo uno degli artisti pop più influenti dopo Andy Warhol.

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A RIVEDER LE STELLE
La Divina Commedia illustrata dai disegni di Federico Zuccari

Mostra virtuale.
Galleria degli Uffizi, Firenze.

 

A partire dal 1° gennaio 2021, settecento anni dalla morte di Danti Alighieri, gli Uffizi hanno presentato tutti i disegni della Commedia realizzati, alla fine del Cinquecento, dal pittore Federico Zuccari.
Federico Zuccari, famoso soprattutto per aver affrescato la Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, aveva realizzato questi stupendi fogli “danteschi” (in tutto 88) tra i 1586 e il 1588, durante un suo soggiorno in Spagna; nel 1738 l’intera raccolta era stata donata agli Uffizi da Anna Maria Luisa de’ Medici.
Vista da pochi studiosi ed esposta al pubblico due volte e solo in parte, la raccolta integrale è stata digitalizzata in alta definizione, con un commento didattico-scientifico sul sito web della Galleria degli Uffizi.
Zuccari aveva illustrato la Divina Commedia dalla “selva oscura” dove Dante smarrisce “la diritta via”, fino alle alte sfere del Paradiso, con rinvio tra immagini e parole, essendo in primis i fogli rilegati in un volume: a destra l’immagine corrispondeva a sinistra con i versi del sommo poeta e un breve commento dell’artista.
Questi magnifici disegni dello Zuccari, esponente di spicco del tardo Manierismo italiano, data la loro fragilità su carta, sono stati normalmente custoditi nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe in ambienti protetti, termoregolati e senza luce. Oggi sono finalmente visibili a tutti e liberamente consultabili.
Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, si è dichiarato orgoglioso di far conoscere, nel settecentenario di Dante, questa straordinaria raccolta di arte grafica, non solo a chi fa ricerca, ma anche a chi è appassionato dell’opera dantesca.

Per le celebrazioni dell’anno dantesco, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021, sul sito internet dell’ Accademia della Crusca, per ciascuno dei 365 giorni, comparirà una diversa parola o espressione di Dante Alighieri: locuzioni, motti, latinismi, neologismi, arricchiti da un breve commento e che fanno ancora parte del nostro patrimonio linguistico.


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LA FONTANA DEI LIBRI
Un piccolo tesoro di Roma

Quante volte siamo passati nel centro storico romano e non l’abbiamo notata? Eppure la Fontana dei Libri, in via degli Staderari, è una curiosa, preziosa opera architettonica.
Questa particolare fontana è l’ultima, in ordine di tempo, delle dieci fontane rionali realizzate, su commissione dell’Ufficio Antichità e Belle Arti del comune di Roma, dallo scultore e architetto Pietro Lombardi, tra gli anni 1925/1927. Essendo situata a ridosso del muro dell’edificio che ospitava, fino agli anni Trenta, l’università La Sapienza di Roma, Lombardi volle celebrare con lei lo studio attraverso i libri.
Ciascuna delle dieci fontane rionali doveva infatti rappresentare le caratteristiche del rione di appartenenza.
Al centro della Fontana dei Libri, come elemento principale, l’architetto ha posto una maestosa testa di cervo, simbolo dell’VIII rione di Roma, quello di Sant’Eustachio. Una singolarità: al centro della costruzione si legge S. EUSTACCHIO RIONE IV, sicuramente un errore dello scalpellino, di ignoranza o distrazione, nella numerazione del rione e nella doppia C.
Ma il mio interesse (come appassionata di libri) lo hanno suscitato soprattutto i grandi volumi posizionati sui due lati della fontana, dai quali fuoriescono due cannelle che gettano acqua nella sottostante vaschetta centrale. Altre due cannelle si trovano sui due segnalibri situati sulle pagine dei due volumi inferiori. Sui segnalibri e sul dorso dei libri appaiono scritte e simboli illeggibili, erosi dal tempo.
All’interno della nicchia, in alto, cinque sfere ricordano papa Leone X Medici, che diede forte impulso e prestigio all’Ateneo della Sapienza.
L’ultimo restauro di questa fontana risale al 2018. Realizzata nella pietra romana per eccellenza: il travertino, la fontana necessitava di questo intervento poiché danneggiata dalle incrostazioni di calcare sulle parti lambite dall’acqua.
Le originali dieci fontane rionali realizzate dall’architetto romano Pietro Lombardi (1894-1984) sono ormai nove,  una è andata distrutta durante i bombardamenti del quartiere San Lorenzo.
Passeggiando per la Capitale si possono incontrare le altre otto. Magnifica troneggia in piazza Testaccio la Fontana delle Anfore, che ritrae le anfore romane e l’origine del monte creatosi per l’accumulo di detriti di anfore. Le altre si possono scoprire nei vari rioni: tutte splendide e sorprendenti.


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ALBERTO SORDI
1920-2020


Dal 16 settembre 2020 fino al 31 gennaio 2021 è aperta al pubblico la mostra romana per celebrare il grande artista a 100 anni dalla sua nascita.

Il sito della mostra si trova nella villa romana dell’attore in Piazza Numa Pompilio (Terme di Caracalla).
All’interno della casa di Alberto Sordi si può scoprire, attraverso oggetti, ambienti e memorie, la realtà del suo essere uomo oltre che artista.
Con i suoi numerosissimi film e personaggi, dalla fine della Seconda guerra mondiale fino al boom economico e agli anni Sessanta, Sordi ha realizzato il ritratto di un’epoca, la storia del nostro paese.
La maestosa Villa Sordi era stata progettata dall’architetto Clemente Busiri Vici tra il 1928 e il 1929 e acquistata dall’attore nel 1954. Concepita per essere conforme al terreno in declivio e lasciare  spazio al vasto panorama circostante, la casa è arricchita internamente da opere di Giorgio de Chirico, numerosi dipinti dell’arte italiana del Novecento, alcune opere di antichi maestri (Claude Joseph Vernet, Giovanni Paolo Pannini), sculture, ceramiche e i cimeli dei suoi tanti film.
All’inizio del percorso i visitatori scoprono il meraviglioso teatro che Sordi aveva fatto costruire per rappresentazioni private e proiezioni con pochi amici, ci sono i camerini per gli attori, una serie di sculture ad opera di Armando Spadini ed un fondale realizzato da Gino Severini. All’interno del teatro viene presentato il piccolo e poi il giovane Alberto tra le sue amate sorelle Aurelia e Savina e il fratello Giuseppe, la madre maestra e il padre musicista. Di seguito la palestra con il toro meccanico con cui Sordi faceva a gara con gli amici, i saloni con innumerevoli opere d’arte. Al piano superiore lo studio dell’attore e la sua camera da letto, dove è morto il 24 febbraio 2003. Un luogo singolare e particolarmente amato dall’attore romano è la sua “barberia” personale: grande specchio, luci e antica poltrona da barbiere. Qui ogni mattina un barbiere gli faceva barba e capelli, mentre Sordi ripassava un copione. La sua lunga carriera, ricordata in foto, locandine di film, gli abiti del “Vigile”, del “Marchese del Grillo” e la Harley Davidson di “Un americano a Roma”,  viene omaggiata in una delle stanze della villa.
La casa editrice Skira ha pubblicato, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita del famoso attore, due volumi: il primo è il catalogo della mostra “Villa Sordi”, il secondo è un volume fotografico “Alberto Sordi 1920-2020”. Quest’ultimo curato, tra gli altri, da Vincenzo Mollica e Goffredo Fofi, è suddiviso in cinque sezioni che permettono di (ri)scoprire l’uomo Sordi e soprattutto l’artista che ha rappresentato al cinema personaggi reali in cui potersi riconoscere, sempre con sottile ironia e un attento sguardo all’evoluzione e alla storia della nostra cultura.

Quando l’esposizione di Villa Sordi chiuderà (il 31 gennaio 2021) verrà trasformata in museo permanente.


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SCUDERIE DEL QUIRINALE:
MAXI MOSTRA SU
RAFFAELLO SANZIO

2 giugno – 30 agosto 2020

Dopo il lockdown riapre, in occasione della Festa della Repubblica, alle Scuderie del Quirinale di Roma la grande mostra dedicata a Raffaello.
La visita agli spazi espositivi avviene in modalità di idonea sicurezza, in ottemperanza delle regole previste nel DPCM del 18 maggio 2020. In questi ultimi mesi la mostra “Raffaello 1520-1483”, sospesa per l’emergenza sanitaria, ha avuto un grande successo on line.
L’evento riunisce oltre 200 opere, tra le quali 120 dello stesso Raffaello, con capolavori provenienti dalle più importanti collezioni museali italiane e internazionali.
Il più grande pittore del Rinascimento muore a Roma il 6 aprile 1520, a soli 37 anni. Sepolto, secondo le sue ultime volontà, nel Pantheon, luogo emblematico dell’architettura classica, Raffaello è ancora oggi simbolo di eccellenza nell’arte.
Il maestro urbinate  visse a Roma gli ultimi undici anni della sua vita, chiamato in città per lavorare agli scavi, alla ricostruzione delle piante di Roma antica e al grandioso cantiere della basilica di San Pietro.
La mostra alle Scuderie del Quirinale rende omaggio, per i 500 anni dalla sua morte, ad un pittore straordinario, ad un artista completo, attraverso un percorso a ritroso nel tempo, dalla morte alla giovinezza in Urbino, presentando i suoi capolavori. Le Gallerie degli Uffizi, dove si concentra la maggior parte dei disegni e dei dipinti di Raffaello, hanno dato il loro contributo alle Scuderie del Quirinale attraverso prestiti di opere e collaborazione scientifica. Al centro del progetto scientifico troviamo il rapporto di Raffaello con Roma, quadri, disegni e lettere raccontano il clima intellettuale in cui si muove l’artista e il suo interesse nella conservazione dei beni culturali. Investito da papa Leone X Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, della carica di “Ispettore Generale delle Belle Arti”, il maestro urbinate pone, ed è tra i primi a farlo, il problema pubblico della tutela dei beni storici e delle opere d’arte.
Il percorso espositivo permette una visione completa del giovane genio e delle sue mille sfaccettature: pittore, urbanista, architetto e archeologo, modello rinascimentale di perfezione.
La curatrice della mostra Marzia Faietti, insieme a Matteo Lafranconi, direttore delle Scuderie del Quirinale e Vincenzo Farinella, co-curatore della mostra, hanno collaborato con un vasto comitato scientifico presieduto da Sylvia Ferino, insieme alle Gallerie degli Uffizi e ai Musei Vaticani per la realizzazione di questo progetto unico al mondo.

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L’OASI DI NINFA
Riapre il 23 maggio 2020 il Giardino di Ninfa

In provincia di Latina, ai piedi dei monti Lepini, esiste un luogo di eccezionale bellezza: il Giardino di Ninfa, un’incantevole oasi naturale, sorta sulle rovine di un piccolo insediamento medioevale, oggi di proprietà della Fondazione Caetani. Un luogo antico, di grande fascino romantico, che ha ispirato famosi scrittori come Virginia Woolf, Truman Capote, Giuseppe Ungaretti e Alberto Moravia.
L’Oasi si estende per ben otto ettari di superficie e prende il nome dal tempietto di epoca romana, dedicato alle Ninfe Naiadi, che sorge al centro di un isolotto, situato in un piccolo lago.

Il Giardino di Ninfa, tipico giardino all’inglese, era stato realizzato nel 1921 da Gelasio Caetani contemporaneamente al restauro di alcuni ruderi dell’antica città di Ninfa: la torre e il municipio, nell’intento di farne una residenza estiva. Nel Novecento l’Oasi ospitò personaggi illustri quali Gabriele D’Annunzio e Boris Pasternak. Mentre a partire dal 1976 intorno al giardino è stata istituita un’oasi del WWF, per sostenere la flora e la fauna del luogo e nel 2000 tutta l’area di Ninfa è stata dichiarata Monumento Naturale della Regione Lazio.      
In primavera le fioriture hanno colori e profumi incredibili, le rose si arrampicano sulle rovine rendendole ancora più suggestive e sulle le tante varietà di alberi fanno tappa numerose specie di uccelli migratori.  L’habitat è formato dal fiume Ninfa  e da un lago, mentre appaiono sorprendenti, dietro le siepi, le rovine di numerose chiese.
The New York Times ha dichiarato il Giardino di Ninfa  il “giardino più bello e romantico del mondo”.

L’Oasi di Ninfa è aperta al pubblico solo alcuni giorni dell’anno, per preservarne gli equilibri naturali di flora e fauna.

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FELLINIANA
FERRETTI sogna FELLINI

Roma, Cinecittà

Per i 100 anni dalla nascita di Federico Fellini (1920-1993) è stata inaugurata il 1° febbraio 2020, a Roma Cinecittà, una mostra installazione permanente all’interno della storica Palazzina Fellini.
I premi Oscar Dante Ferretti e la sua sodale Francesca Lo Schiavo, entrambi scenografi di fama internazionale, hanno voluto così celebrare l’universo felliniano.
La collaborazione, sfociata poi in una grande amicizia, tra Fellini e Ferretti è iniziata nel 1969 sul set di “Satyricon”  ed è continuata con i film “Prova d’orchestra” (1978); “La città delle donne “ (1980); “La nave va” (1983); “Ginger e Fred” (1986); “La voce della Luna” (1990).
Fellini sosteneva che: «i sogni sono l’unica realtà», per questa ragione trasferiva il mondo dell’immaginazione onirica all’interno del set cinematografico.
Gli amici e collaboratori del regista, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, hanno realizzato, in questa mostra a lui dedicata, un progetto che è una vera immersione nell’immaginario felliniano, con rimandi alle sue più celebri pellicole e a episodi della sua vita.
Il percorso espositivo della Felliniana si snoda attraverso tre sale. Nella sala centrale si rappresenta il rito dell’automobile: una consuetudine tra Fellini e Ferretti quella del tragitto sulla Fiat 125 blu (esposta in sala) dalle loro abitazioni a Cinecittà. Durante il percorso tra il regista e lo scenografo avvenivano conversazioni, scambio di idee e racconti di sogni. Le pareti dell’ambiente espositivo sono completamente tappezzate dalle locandine dei film del grande regista riminese. La mostra prosegue con  la “Casa di Piacere”, nella quale è rappresentato l’immaginario felliniano di “La città delle donne”, con lo scivolo toboga è le soubrettes che circondano Marcello Mastroianni. Infine un omaggio al Cinema Fulgor, una ricostruzione della storica sala di Rimini, dove fin da bambino Fellini sviluppò la sua passione per la settima arte.
Nelle tre sale Ferretti ricostruisce, con grande maestria, una nuova casa ideale, onirica, per Fellini. La mostra si avvale di eccellenti costumisti, scultori e scenografi, ma soprattutto del lavoro di artigiani, falegnami e maestranze che lavorano a Cinecittà e che hanno fatto e ancora faranno grande il cinema italiano e internazionale.

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SANTUARIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA

Ho scoperto il magnifico santuario della Fortuna Primigenia, sito nell’antica città di Praeneste (oggi Palestrina), attraverso il recente film di Ferzan Ozpetek intitolato “La dea Fortuna”.
Il santuario, costruito nel II secolo avanti Cristo, era conosciuto da tutto il popolo Romano per il culto della Fortuna Primigenia, cioè della “prima nata” dei figli di Giove, ma anche primordiale perché contemporaneamente madre e figlia di Giove. Insieme al culto esisteva il vaticinio della divinità. I devoti chiedevano responsi alla dea sulle loro sorti. I responsi, incisi su tavolette di legno, erano estratti da un bambino, simboleggiante Jupiter Puer (Giove bambino) e in seguito detto Jupiter Arcanus, perché custode dell’Arca sacra che conteneva “le sorti”.
Il maestoso complesso monumentale, dedicato alla dea romana del caso e del destino, ricorda architettonicamente i santuari ellenistici. La sua struttura infatti è composta da sei terrazze artificiali edificate sul fianco del monte Ginestro, che offrono alla vista panorami straordinari, collegate tra loro attraverso rampe e scale, abbellite da colonnati, porticati e ninfei. L’ultima terrazza ha l’aspetto di una vera cavea teatrale con un portico e al centro un piccolo tempio (purtroppo oggi sono visibili solo le fondamenta). I volumi e la struttura a terrazzamenti del santuario hanno ispirato un impulso creativo nella realizzazione di numerosi edifici. Alcuni tra questi: il Belvedere Vaticano progettato da Bramante (1504), Villa Sacchetti del Pigneto di Pietro da Cortona (1635), Il Vittoriano di Giuseppe Sacconi (1884-1911), il progetto per il palazzo imperiale di Schönbrunn di Fischer von Erlach (1690).
Sulla sommità delle rovine dell’antico santuario sorge il rinascimentale (XIV sec.) Palazzo Colonna Barberini, dalle particolari forme curvilinee, per assecondare la parte più alta del tempio e il suo andamento. Dal 1956 il Palazzo ospita il Museo Archeologico Nazionale Prenestino, dove sono esposte centinaia di opere provenienti dagli scavi del santuario della Fortuna Primigenia e, ancora, reperti delle necropoli, delle ville e dei santuari di Praeneste.

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UN MOAI A VITORCHIANO

Vitorchiano è un incantevole borgo in provincia di Viterbo, poco lontano da Roma, che conserva ancora il suo tipico aspetto medioevale. Le mura, le torri, le case costruite a strapiombo sulle rupi di peperino, i pittoreschi viali e le belle piazze danno l’impressione che il tempo si sia fermato. Ma ciò che stupisce di questo paese della Tuscia è la presenza di una statua molto particolare: un moai dell’Isola di Pasqua.
Il monolite è stato scolpito nel 1990, completamente a mano, con asce e pietre taglienti, da un gruppo di maori provenienti dall’isola di Rapa Nui (Cile), come scambio culturale.
Gli originali moai dell’isola di Pasqua si stavano deteriorando e la roccia di peperino della cava viterbese era molto simile a quella con cui sono scolpite queste statue sacre. La trasmissione televisiva “Alla ricerca dell’Arca”, condotta dal giornalista Mino Damato, favorì il gemellaggio culturale tra Vitorchiano e Rapa Nui. L’eco mediatico si riverberò in tutto il mondo e gli scultori indigeni donarono la copia perfetta di questo monolite al borgo viterbese.
Il moai di Vitorchiano è alto 6 metri e pesante 30 tonnellate, ha lo stesso sorriso enigmatico, lo stesso sguardo lontano, la posizione di eterna attesa, il pukao (copricapo tribale) scolpito in peperino rosa, il grande viso allungato, le orecchie lunghe ben definite, l’ombelico marcato ad indicare il centro simbolico dell’essere, le mani con dita lunghissime aderenti al ventre molto prominente.
I monoliti dell’isola di Pasqua sono gigantesche, misteriose statue antropomorfe che simboleggiano la prosperità ed il benessere per le popolazioni indigene. Alcuni esemplari sono interrati fino al collo, altri si innalzano verso il cielo con la loro possente figura intera. Tutti sono rivolti verso l’interno dell’isola come giganteschi guardiani della loro terra.

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PRERAFFAELLITI:
AMORE E DESIDERIO

Milano – Palazzo Reale
Fino al 6 ottobre 2019

Milano, a Palazzo Reale sono esposte per la prima volta le opere dei Preraffaelliti. La mostra è curata da Carol Jacobi (Tate Britain, sezione British Art), con la collaborazione della Tate Gallery di Londra.

È il 1848 quando in Inghilterra sette studenti si riuniscono per sperimentare un nuovo modo di vedere e rappresentare l’arte: John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti, William Hunt, Ford Madox Brown, William Trost Richards, William Morris, Edward Burne-Jones. I sette, mossi da sentimenti rivoluzionari, si opponevano alla Royal Academy for Arts, fondata da sir Joshua Reynolds a Londra, che rappresentava la cultura ufficiale dell’Inghilterra vittoriana.
L’arte della Confraternita ricercava un nuovo realismo, ispirato all’arte italiana prima di Raffaello, dunque al Medioevo. Le loro fonti letterarie si rifacevano a Shakespeare, Dante Alighieri, Boccaccio e alla Bibbia. Erano una piccola setta che firmava tutte le opere con la sigla PRB (Pre-Raphaelite Brotherhood), il loro nome si ispirava ai cosiddetti “primitivi”, artisti italiani del tardo Medioevo e primo Rinascimento, antecedenti a Raffaello.
La Confraternita dei Preraffaelliti si prefiggeva di recuperare un’arte spontanea ispirata alla natura, all’amore, al desiderio, al mito e alla bellezza in ogni sua forma.
Le Muse preraffaellite sono raffigurate come dame del Rinascimento, alte, slanciate, con fluenti capelli rossi: immagini di fascino e passione, ma lontane e remote nello sguardo. Capolavori senza tempo che definirono un nuovo stile di bellezza.
Sono in mostra a Palazzo Reale circa 80 splenditi dipinti Preraffaelliti, tra cui alcune opere iconiche quali la “Lady of Shalott” di John William Waterhouse, ”Ofelia” di John Everett Millaisla “Beata Beatrix” e il “Sogno di Dante alla morte di Beatrice” di Dante Gabriel Rossetti.


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ECLIPSE OF THE SUN:
ART OF THE
WEIMAR REPUBLIC

Museum
for German and Austrian Art

New York 23-5-2019/2-9-2019

In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Otto Dix molti musei stanno organizzando mostre sull’artista tedesco.
Pittore e incisore, Otto Dix nasce a Gera in Germania il 2 dicembre 1891, nel 1909 entra alla Scuola d’Arti Decorative di Dresda e in seguito all’Accademia di Belle Arti.
Allo scoppio della prima Guerra Mondiale Dix si arruola volontario nell’esercito tedesco. Dopo aver combattuto ed essere stato ferito, torna in patria disgustato per l’inaudita violenza bellica. Su questo tema realizza a Dresda, nel 1932, un polittico su legno intitolato La Guerra, di forte intensità e impatto visivo. Del 1936 è invece la sua ultima opera sulla Grande Guerra Le Fiandre, drammatica visione della vita dei soldati in trincea.
Dopo aver aderito nel 1919, per breve tempo, al gruppo espressionista della Secessione di Dresda (Dresdner Sezession), Otto Dix fonda, insieme ad altri artisti, il gruppo dadaista tedesco. In questo periodo, intrecciando tecniche figurative diverse, realizza tele raffiguranti ex combattenti tremendamente mutilati.
La Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) è una corrente pittorica neorealista, nata nella Germania dei primi anni Venti, che si oppone sia all’espressionismo che all’astrattismo. Prende il nome da una mostra d’arte del 1925 a Mannheim dove vennero esposte opere che documentavano le varie tendenze dell’arte tedesca del primo dopoguerra. Otto Dix aderisce a questa corrente pittorica rappresentando la società tedesca del tempo con opere estremamente oggettive; i suoi soggetti arrivano a sfiorare situazioni e immagini grottesche, caricaturali. In queste opere mette a nudo la realtà più cupa del tempo: sfruttatori, profittatori, prostitute, mutilati di guerra tra rovine e distruzione, tuguri, salotti, caserme. Queste tele, crudeli e impietose, esposte nei musei o nelle gallerie d’arte causavano così forti turbamenti da essere immediatamente rimosse.
Nel 1937 alcuni dipinti di Otto Dix, tra cui La trincea, furono esposti dai nazisti a Berlino nella mostra Entartete Kunst (Arte degenerata) e successivamente bruciati. Da allora gli viene proibito di esporre le sue opere e anche revocato l’incarico di docente all’Accademia di Dresda. Nel 1939, dopo un breve periodo di carcere, si trasferisce nel sud della Germania. Richiamato sotto le armi durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 viene fatto prigioniero dall'esercito francese. Alla fine del conflitto nel 1946 si stabilisce sul lago di Costanza, dedicandosi esclusivamente alla pittura di paesaggio, evitando i temi sociali.
Nel 1955 la sua opera pittorica è rivalutata dalla comunità scientifica internazionale ed è nominato membro ufficiale dell’Akademie der Künste di Berlino Est.
Muore a Singen nel 1969.
Nella mostra newyorkese oltre alle opere di Otto Dix si possono ammirare lavori di George Grosz, Max Beckmann, Otto Griebel, Christian Schad, Rudolf Schlichter e Georg Scholz.


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ART NOUVEAU
IL TRIONFO DELLA BELLEZZA

Torino – Reggia di Venaria Reale
Fino al 26 gennaio 2020

Le Sale dei Paggi della Reggia di Venaria (Torino) ospitano una straordinaria mostra dedicata all’Art Nouveau, corrente artistica nata tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Nei paesi anglofoni venne chiamata Modern Style, in Germania Jugendstil, in Spagna Modernismo. Solo in Italia assunse la definizione di Stile Liberty dal nome del celebre negozio londinese di Arthur Liberty, per poi essere identificata anche come Stile Floreale.
L’Art Nouveau deriva il suo nome da un negozio parigino “L’Art Nouveau Bing”, aperto nel 1895 da Siegfrid Bing, che commerciava vari articoli dal design innovativo: mobili, tessuti, carte da parati, tappeti e oggetti d’arte.
Il movimento artistico si ispirava all’Arts and Crafts di William Morris, che opponeva alla meccanizzazione e alla produzione in serie la libera creazione dell’artigiano, come premessa indispensabile alla progettazione.
L’Art Nouveau si diffuse in Europa attraverso la sua affermazione all’Esposizione Universale del 1900 a Parigi, raggiungendo il suo culmine all’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna nel 1902 a Torino.
Una delle caratteristiche più importanti di questo stile è l’ispirazione alla natura, con forme sinuose, in movimento, vegetali o floreali e l’uso di materiali quali il vetro e il ferro battuto, impiegati in scultura e architettura.
La mostra alla Reggia di Venaria presenta in nuce un allestimento particolare poiché sono stati ricreati gli ambienti parigini di inizio Novecento. Lungo il percorso espositivo duecento opere, divise in cinque sezioni, affrontano gli sconvolgimenti avvenuti a cavallo del secolo nello scenario delle arti figurative. Architettura, pittura, arredamento, scultura e musica sono conquistati dal mondo della natura, dove immancabile è la presenza della figura femminile sensualmente idealizzata.
Alla Reggia di Venaria ritroviamo le produzioni dei più grandi artisti e designer dell’epoca, da Alfons Mucha a Éugene Grasset, da Emile Gallé a Jacques Majorelle, da Victor Horta a William Nicholson.
Nell’ultima sezione della mostra si possono riconoscere le differenze fra l’Art Nouveau francese e il Liberty italiano, stile, quest’ultimo, che ha influenzato decisamente l’architettura urbana di Torino.


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SIBILLA ALERAMO
UNA DONNA

Sibilla Aleramo (14 agosto 1876 – 13 gennaio 1960), pseudonimo di Marta Felicina Faccio, è stata una celebre scrittrice e poetessa italiana. Un matrimonio infelice la spinse ad abbandonare la casa coniugale e soprattutto il figlio tanto amato. La sua vita e soprattutto i suoi scritti sono ancora oggi attuali, ci ricordano la forza d’animo e la fermezza necessari per costruire liberamente il proprio destino. Sibilla Aleramo non voleva, in un’Italia in cui gli uomini, la famiglia e la società chiedevano alle donne un vita di sacrifici e sottomissione, rinunciare a se stessa e alla sua libertà.
A trent’anni, nel 1906, anche se il frontespizio riportava la data del 1907, viene pubblicato a Torino il libro che la rese famosa, la prima, scandalosa opera narrativa che metteva in dubbio la necessità della dedizione materna: “Una Donna”. In Norvegia Eric Ibsen (1828-1906) aveva già scritto nel 1879 “Casa di bambola”, in Europa si iniziava a discutere sulla difficile situazione delle donne lavoratrici e sull’emancipazione femminile.
Aleramo, con il suo romanzo, rivendicava decisamente la parità dei sessi. “Una donna” fu definito il primo libro femminista italiano. Il romanzo è chiaramente autobiografico, la protagonista racconta la sua vita in prima persona, dagli anni dell’infanzia fino a quelli della maturità.
Sibilla Aleramo in seguito ha scritto numerosi altri romanzi e libri di poesie, ma “Una Donna” è la sua opera più significativa e, a più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, è ancora attualissima e tradotta in decine di lingue.
Scrive l’Aleramo: «Ed ero più che mai persuasa che spetta alla donna di rivendicare se stessa, ch’ella sola può rivelar l’essenza vera della sua psiche, composta, si, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche di dignità umana».


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Mostra: RISO AMARO
Festival del Cinema di Roma 2018


Il titolo di questa mostra è una parafrasi dell’omonimo film del 1949 diretto da Giuseppe De Angelis, dedicato alle durissime condizioni di vita delle mondine.
Le opere selezionate, realizzate da illustratori, grafici, disegnatori e umoristi di tutto il mondo, sono l’espressione della solidarietà alle donne vittime di sopraffazione e il bisogno di non abbassare la guardia nella lotta contro la violenza di genere.
La satira, presentata in forma grafica, con eleganza e contenuti forti, svolge qui una funzione importante, permettendo agli autori una reale finalità di denuncia e inducendo il fruitore ad una profonda riflessione.
Una donna intrappolata all’interno di un cuore di filo spinato, nell’illustrazione di Marco De Angelis, rappresenta un cuore malato, un amore fatto di violenza. L’amore malato degli uomini che considerano le donne un oggetto di proprietà e l’amore malato delle donne che accettano di essere umiliate, picchiate ed a volte uccise per troppa paura o illusione.
Nonostante l’uso della satira, soltanto apparentemente in contrasto con il drammatico tema affrontato, dalla mostra “Riso amaro” è giunto forte e chiaro un messaggio di assoluta condanna.
Il progetto di questa esposizione è stato promosso dal Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è stato realizzato dall’Associazione Culturale Festival Grafico, con la direzione artistica di Julio Lubetkin e la consulenza di Marilena Nardi.


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SOUNDFRAMES
Cinema e musica in mostra
Museo Nazionale del Cinema
di Torino
dal 26 gennaio 2018
al 7 gennaio 2019





“Soundframes- Cinema e Musica in mostra”, accolta nella suggestiva cornice della Mole Antonelliana, sede del Museo Nazionale del Cinema di Torino, ha un taglio sicuramente innovativo. La mostra racconta infatti lo stimolante rapporto tra la settima arte e la musica, attraverso un allestimento scenografico interattivo. Scopriamo in questo modo qual è stato e qual è il ruolo della musica nella storia del cinema, attraverso i suoi protagonisti, attraverso i suoi più grandi interpreti.
Le contaminazioni dei due linguaggi, musicale e cinematografico, consentono, attraverso un percorso espositivo di audio e video, che si snoda lungo la rampa elicoidale dell’Aula del Tempio, di sperimentare un viaggio unico ed emozionale. L’osservatore segue un itinerario a carattere cronologico e tematico che presenta 130 sequenze di film proiettati su 60 schermi per un totale di 90 metri di proiezione lineare. La prima sezione è dedicata al cinema muto: qui si fondono per la prima volta cinema e musica, attraverso le melodie che venivano suonate dal vivo durante le proiezioni. Con l’avvento del sonoro nasce il musical: canzoni e danze tratteggiano la narrazione. Nella sezione dedicata ai grandi compositori la musica esprime le emozioni: nascono le prime colonne sonore. Con il cinema d’autore si sviluppa un felice rapporto tra Nouvelle Vague e New Hollywood. Si prosegue con il documentario musicale che, negli anni Sessanta, diviene un genere narrativo impostosi con il rock e i registi indipendenti. Infine il biopic, film biografici sulla vita e le opere degli artisti, i film musicali, l’horror e i video clip.
Un viaggio ideale in cui si raccontano i molteplici, numerosissimi incontri del mondo della musica con quello del cinema, attraverso un secolo di storia.
Questo percorso sensoriale si conclude con sei installazioni interattive e con una pedana mobile, progettata da Alfredo Di Gino Puccetti, che trasforma il suono in vibrazioni grazie alle superfici in legno.


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HERACLEION
Scoperta in Egitto
una Atlantide sprofondata
in mare 1200 anni fa.




I primi resti di una città sommersa in Egitto sono stati recuperati nel Duemila a 30 metri di profondità, al largo di Abukir, nei pressi di Alessandria d’Egitto.
Heracleion (per i greci) o Thonis (per gli antichi egizi), considerata un centro nevralgico del commercio internazionale fra il Mediterraneo e il Nilo durante il VI secolo avanti Cristo, oggi può essere esplorata con una mappa interattiva creata dall’Euopean Institute for Underwater Archeology, attraverso i dati archeologici raccolti in questi anni di scavi sottomarini.
È possibile visitare tramite foto e video i templi, i pontili, i relitti delle navi, gli edifici, i gioielli, le stele coperte di geroglifici e le statue, tra le quali una colossale scultura in pietra di Hapi, il dio egizio personificazione delle inondazioni del Nilo.
Una scoperta archeologica di importanza mondiale: i reperti distesi sul fondo del mare e protetti da limo e sabbia si sono perfettamente conservati durante i secoli.
L’archeologo francese Franck Goddio, il primo a scandagliare i fondali marini, ha ipotizzato che la città di Heracleion sia sprofondata nel mare a causa del peso dei suoi grandi edifici, costruiti su terreno argilloso, durante un terremoto.

Nel 2016 si è svolta al British Museum di Londra una importante mostra dal titolo “Sunken Cities: Egypt’s Lost Worlds” che racconta la storia di Heracleion-Thonis e la vicina Canopo (centro religioso noto per il culto di numerose divinità egiziane).
I copiosi ritrovamenti, recuperati dagli archeologi, permettono di fare nuova luce sui rapporti economici ed artistici intercorsi fra due grandi, antiche civiltà: l’egiziana e la greca.
I bellissimi, importanti oggetti in mostra al British Museum sono solo una piccola parte dei reperti archeologici recuperati nella città sommersa, il lavoro di restituzione ai posteri continuerà ancora per molti anni.
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PICASSO
Tra Cubismo e Neoclassicismo: 1915-1925

Roma, Scuderie del Quirinale
22 settembre 2017
27 gennaio 2018




La grande mostra (100 opere) inaugurata a Roma, alle Scuderie del Quirinale il 21 settembre, rende omaggio a Pablo Picasso. A distanza di cento anni, l’esposizione, curata da Olivier Berggruen, intende celebrare il viaggio che l’artista spagnolo intraprese nel 1917 a Roma e a Napoli, insieme al poeta Jean Cocteau e al compositore russo Igor Stravinskij, al seguito della compagnia dei Balletti Russi di Sergej Pavlovič Djagilev. Occasione in cui incontrò e si innamorò di Olga Chochlova, prima ballerina della compagnia, che divenne la sua prima moglie.
Il viaggio di Picasso in Italia fu fondamentale per il divenire della sua arte, sperimentare stili diversi, avvicinarsi al classicismo. Al romano Caffè Greco incontrò Balla, Depero, Prampolini e Socrate.
La mostra alle Scuderie del Quirinale propone dipinti su tela, gouache e disegni di eccezionale qualità, mentre al secondo piano sono visibili documenti in gran parte inediti e pregevoli lavori su carta.
Inoltre a Palazzo Barberini, nel grandioso salone, sotto la volta affrescata da Pietro da Cortona (Trionfo della Divina Provvidenza, 1632 – 1639), viene esposto, per la prima volta a Roma, il gigantesco sipario (mt. 11x17) dipinto da Picasso per il balletto “Parade” nel 1917. Questa è una delle sue opere tra le più monumentali e segna quello che viene chiamato “Le rappel à l’ordre” picassiano. Un ritorno al figurativo, dopo il lungo periodo cubista, che poi esploderà in seguito alla Grande Guerra. Il sipario fu realizzato a Parigi in collaborazione con alcuni artisti italiani, tra cui Carlo Socrate, con la tecnica della tempera su tela: il tema è quello circense, sullo sfondo il golfo di Napoli. Nel sipario compaiono anche le figure di Pulcinella e Arlecchino, rivelando la magia che Napoli e il teatro popolare italiano suscitarono in Picasso.
“Parade” è conservata al Centre Georges Pompidou di Parigi ed è stata esposta, a causa delle sue enormi dimensioni, solo in rare occasioni: al Brooklyn Museum (New York 1984), al Palazzo della Gran Guardia (Verona 1990), a Palazzo Grassi (Venezia 1998), al Centre Pompidou (Metz 2012-2013) e al Museo di Capodimonte (Napoli 2017).
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MANET E LA PARIGI MODERNA
Milano – Palazzo Reale
Fino al 2 luglio 2017



La mostra “Manet e la Parigi moderna”, inaugurata l’8 marzo a Milano, a Palazzo Reale, ripercorre la storia artistica di Édouard Manet (1832-1883), la produzione dei suoi numerosi dipinti, schizzi e opere giovanili. La sua attività, che si è concentrata in poco più di due decenni, è stata in grado di rivoluzionare il concetto di “arte moderna”. Monet, Renoir, Degas e Pissarro lo hanno considerato un vero capostipite della pittura impressionista.
Sono presenti in mostra, provenienti dalla prestigiosa collezione del Musée D’Orsay di Parigi, un centinaio di opere: 54 dipinti di cui 16 capolavori di Manet e 11 suoi tra disegni e acquarelli, 40 opere di grandi maestri coevi tra cui Boldini, Cézanne, Degas, Gauguin, Monet, Morisot, Renoir, Signac, Tissot, Fantin-Latour.
L’esposizione è tesa a celebrare il valore, l’importanza centrale di Édouard Manet nella pittura moderna, attraverso i vari generi a cui l’artista si dedicò: le donne, la natura morta, il paesaggio, il ritratto.
L’opera di Manet è pedissequa ad una rivoluzione che si compie a Parigi tra la metà e la fine dell’Ottocento, attraverso il nuovo assetto urbanistico voluto da Napoleone III e progettato dal barone Haussman: boulevard, piazze e monumenti che cambiano il volto alla Ville Lumiére. Manet intende dipingere la vita reale, quello che è il quotidiano, i caffè, i teatri, tutto ciò che lo attrae e lo incuriosisce. Ma la sua pittura ha radici profonde che affondano nella cultura passata. Nei suoi viaggi egli ha conosciuto la pittura spagnola di Goya e di Velasquez e quella veneziana di Giorgione. Tutto questo ispirerà molti suoi lavori. La sua è una importante anticipazione sui temi cari all’impressionismo, allontanandosi decisamente da una visione classica e accademica della pittura, rivisitando temi, prospettive e colori. Pierre Auguste Renoir ha detto di lui: “È importante per noi quanto Cimabue e Giotto per gli italiani del Rinascimento”. Mentre Camille Pissarro ha affermato: “È molto più abile di tutti noi, ha trasformato il nero in luce”.
Manet rimarrà sempre legato alla città di Parigi dove vivrà e lavorerà, testimoniando con le sue opere la meravigliosa modernità, la grandezza e la metamorfosi di questa nuova metropoli.
Il maestro francese è stato un innovatore, in anticipo sui tempi e per questo incompreso e dileggiato dai Salon accademici e borghesi. Soltanto alla fine della sua breve vita è stato riabilitato. Le ingiurie dei critici e il sarcasmo del pubblico si mutarono in apprezzamento generale, fu nominato Cavaliere della Légion d’Honneur, l’amico e rivale Degas dichiarò: “Era più grande di quanto pensassimo”.
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AMEDEO FUSCO E ROSARIO SPROVIERI PROPONGONO UN "OMAGGIO A FRIDA" CON LA PARTECIPAZIONE DI NUMEROSI ARTISTI INTERNAZIONALI



I prossimi 8 e 9 aprile si terrà a Roma la mostra "Omaggio a Frida", in occasione della quale saranno esposte opere di pittura, scultura, fotografia e pirografia dedicate a Frida Kahlo, la rivoluzionaria artista messicana nata a Coyoacàn nel 1907 e divenuta ormai una vera e propria icona del nostro tempo.
La mostra di carattere internazionale, a cura di Amedeo Fusco e Rosario Sprovieri con relazioni istituzionali curate da Isabella Moro, sarà ospitata presso le prestigiose sale monumentali della Cancelleria Vaticana, fra Corso Vittorio Emanuele II e Campo de' Fiori, nella città eterna. Sarà un appuntamento da non perdere: in mostra le opere dei numerosi artisti che hanno fatto propria la sfida e che insieme condividono la passione di Frida e per la prima volta si uniscono in un omaggio a lei.
"Riproporre Frida, - scrive Rosario Sprovieri - l’eredità umana ed artistica di una delle pittrici più grandi della storia. Usare la sua arte quale linguaggio che tutti gli uomini di tutte le etnie e di tutti i popoli della terra, riconoscono e comprendono. L’oggi, alla maniera di Frida, per riproporne temi e forme, per ridare visibilità alla bellezza, per continuare la sua ricerca artistica e riportare alla luce la spiritualità dell’umanità".
"Omaggio a Frida" nasce dalla volontà dei curatori e del Centro di Aggregazione Culturale di proporre un'iniziativa per celebrare una delle figure più straordinarie della storia dell'arte del '900, dopo il grandissimo successo internazionale di "Punti di Vista tour" e "Ritratti". Quello tra Fusco e Sprovieri è un sodalizio che dura da più di 10 anni e che ha visto la realizzazione (oltre alle iniziative appena citate) di eventi importanti in tutta Italia e all'estero, fra cui "Colori dai suoni" a Castel Sant'Angelo con opere di Franco Battiato, Dario Fo, Paolo Conte, Toni Esposito e Gino Paoli, "Visioni dall'arte contemporanea", "Artisti Italiani in Germania" e la partecipazione al XXI Art Fair di Istanbul.
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GLI ARREDI D’ARTE
DI ANGELO DI CIACCIO




Quando meno te lo aspetti, capitano cose impreviste.
Durante un breve soggiorno a Gaeta, ho alloggiato in uno degli hotel di fronte alla spiaggia di Serapo, uno dei luoghi più ameni della costa laziale. Non era la prima volta che visitavo Gaeta. In passato, in questa deliziosa cittadina circondata da mare e monti, ho organizzato alcune mostre con l’Unione Europea Esperti d’Arte.


Nell’hotel, che prende il nome dalla spiaggia, ho subito percepito un’atmosfera diversa rispetto agli altri hotel che avevo frequentato. Pensavo fosse l’ambiente tranquillo, il fare cordiale e premuroso del personale, le deliziose pietanze che venivano servite, oppure il sereno clima che si poteva godere nella spettacolare piscina dell’hotel, in un curato giardino mediterraneo.

Poi, mentre curiosavo nei numerosi e ampi spazi dell’hotel, ho capito che quello che soprattutto mi aveva colpito erano gli arredi: divani, sedie, poltrone, tavoli, specchi, appendi abiti, lampadari, paraventi, vasi da fiori erano di una originalità mai vista prima. Mi sono soffermata ad osservarli attentamente e ne ho potuto apprezzare la qualità artistica e costruttiva. Vagamente mi ricordavano le opere di Carlo Bugatti. La fantasia e la genialità nel creare forme così particolari, armoniose e seducenti mi ha fatto pensare che tutti questi arredi provenissero da un atelier o da una fabbrica di mobili importante. Successivamente mi sono resa conto che erano tutti diversi e tutti rigorosamente costruiti a mano con tronchi e radici di albero, alcuni con intarsi di vetro colorato o con inserti di pittura ad olio.
Incuriosita ho domandato alla reception dell’hotel chi avesse creato tutti questi mobili. Sorpreso dalla mia domanda, come se fosse strano che io non conoscessi l’autore, l’addetto al ricevimento mi ha risposto: “Ma… li costruisce il proprietario dell’albergo! Il signor Di Ciaccio.” Allora ho chiesto se lo potevo incontrare. Il concierge mi ha risposto che l’avrei potuto trovare a cena con gli ospiti dell’albergo.
Rimasi sorpresa. In tutti i miei viaggi, non avevo mai sentito che il proprietario di un hotel dividesse i suoi pasti con i clienti. La sera, a cena, il ristorante dell’hotel era gremito. Cercavo di individuare chi potesse essere il proprietario dell’hotel, aspettandomi un uomo dal classico aspetto di manager. Ho chiesto ad una cameriera di indicarmi dove fosse seduto il signor Di Ciaccio. Finita la cena mi sono recata al tavolo segnalatomi, domandando del signor Di Ciaccio. Mi ha risposto un uomo anziano, dall’aspetto bonario, di bella presenza e fare cordiale: “Sono io Angelo Di Ciaccio”. Mi ha fatto accomodare offrendomi una bevanda. Iniziammo a conversare come se ci conoscessimo da sempre. L’ho informato di essere una giornalista e che mi sarebbe piaciuto sapere di più sugli arredi dell’hotel. Angelo mi confessò di avere 84 anni e mi raccontò la sua incredibile storia. L’hotel fu costruito nel 1922 da suo nonno, poi minato e distrutto nel 1944 dai nazisti. Nel 1950 fu ricostruito e da oltre quaranta anni è lui a dirigerlo. Questa struttura, negli anni Sessanta e Settanta, era frequentata dal bel mondo, soprattutto da artisti e attori. Mi raccontò di quando Vittorio De Sica soggiornava qui tutte le estati e si dilettava a cucinare insieme a lui. Ma anche Alberto Sordi amava villeggiare in questo albergo.
La passione per la costruzione di arredi l’ha sempre avuta. Realizza da solo le complicate strutture lignee, utilizzando esclusivamente materiali di riciclo. D’inverno vaga sulle spiagge deserte raccogliendo rami, vetri, vecchi legni di imbarcazioni e tutto ciò che il mare restituisce alla terra. Con pazienza e sapienza lavora questi materiali e li trasforma secondo le esigenze dell’opera che ha in mente. Tutto senza un progetto, ma sfruttando la fantasia e la genialità che lo contraddistingue.
Angelo ha sempre realizzato mobili solo per diletto e li tiene pressoché tutti all’interno dell’hotel o nella sua dimora privata. Le sue opere non le vende, anche se sono in molti a chiederle, ma spesso le regala.
Alla mia domanda se avesse gradito fare una mostra di queste sue opere mi ha risposto: “Chissa? Forse un giorno…”

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BOMINACO
L’Oratorio di San Pellegrino e la Chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta: tesori d’arte del Medioevo abruzzese.



Nella piccolissima Bominaco (frazione di Caporciano), non troppo lontano da L’Aquila, esiste un minuscolo borgo medioevale che, nel X secolo, apparteneva all’ordine religioso dei benedettini (Momenacus).
Sullo sfondo delle vette più alte d’Abruzzo si svelano due pregevoli chiese romaniche: l’Oratorio di San Pellegrino e l’Abbazia di Santa Maria Assunta.
Si fa risalire la fondazione dell’Oratorio di San Pellegrino a Carlo Magno. L’originaria costruzione fu ripristinata intorno all’anno 1263 ad opera dell’abate Teodino. L’Oratorio si presenta esternamente austero, semplice ed essenziale. Un portichetto a tre arcate frontali e due laterali ci introduce in un edificio rettangolare ad aula unica, le cui pareti e la volta sono interamente ricoperti da quattro differenti cicli di affreschi, risalenti al XIII secolo, con episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Completano la narrazione degli episodi sulla storia del Redentore quelli dedicati a San Pellegrino e ad altri Santi. Stupisce, immediatamente sulla parete a destra del portale, un gigantesco San Cristoforo, abbigliato come un principe bizantino, che sostiene il Bambino Gesù. Pregevole, straordinario il calendario monastico bominacense che fu dipinto per l’uso liturgico della comunità religiosa, come si usa ancora oggi nei monasteri benedettini. Questo calendario rappresenta lo scorrere del tempo e l’alternarsi delle stagioni; ogni mese viene raffigurato con un personaggio e i suoi simboli, con i segni zodiacali e con le fasi lunari ed è in assoluto uno dei più antichi e monumentali calendari esistenti.
Il calendario, per la sua ricchezza e qualità pittorica è stato dichiarato nel 1996 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

Gli affreschi del piccolo Oratorio di San Pellegrino costituiscono uno dei più importanti cicli pittorici religiosi di tutti i tempi. Gli affreschi sono dovuti a tre pittori, che si distinguono convenzionalmente con i nomi di «Maestro della Passione», «Maestro dell’Infanzia» e «Maestro Miniaturista». Da non trascurare l’originale repertorio decorativo che incornicia le scene e ricopre senza soluzione di continuità tutte le superfici disponibili.
A pochi passi dall’Oratorio, nascosta tra gli alberi, appare improvvisa la monumentale Abbazia romanica di Santa Maria Assunta.

Lo stile romanico, con le sue forme chiare e purissime, era lo stile preferito dall’Ordine benedettino, per la sua espressione dell’ordinato procedere del tempo e dello spazio. La facciata di Santa Maria Assunta è semplice, il portale è ornato da rilievi con motivi vegetali, floreali e una figura centrale di leone. L’unica finestra sul frontale è decorata da quattro leoni che stringono una preda tra le zampe. All’interno l’Abbazia presenta una pianta a tre navate, tre absidi ed il presbiterio. Le navate sono separate da dodici colonne marmoree monolitiche, tutte diverse tra loro, di assoluta originalità e bellezza. Ognuna di esse termina con pregevolissimi capitelli in stile corinzio, diversi tra loro, di rara ed elegante fattura. L’ambone, posto sul lato sinistro della navata centrale, realizzato nel 1180, insieme al ciborio, al cero pasquale, all’altare e a ciò che rimane di alcuni preziosi affreschi, costituiscono l’arredo peculiare di questa struttura architettonica di grande pregio artistico.




NEW YORK


ELLIS ISLAND
NATIONAL MUSEUM
OF IMMIGRATION

Il 20 maggio 2015 è stata inaugurata a New York una nuova ala del Memoriale di Ellis Island: si completa così l’intera storia dell’immigrazione in America.
La struttura di Ellis Island fu aperta nel 1892 come punto di ingresso per chi sbarcava negli Stati Uniti e chiusa nel 1954. Il nuovo spazio espositivo è dedicato all’era post chiusura del centro di accoglienza. I migranti, allora soprattutto europei, non arrivano più sulle grandi navi, accolti dalla Statua della Libertà nella Baia di New York, bensì giungono nel terminal di un aeroporto, inquadrati dalle telecamere e sottoposti al prelievo delle impronte digitali. La nuova immigrazione proviene da Cina, India, Filippine, Giappone, Corea del Sud, Centro e Sud America. Gli italiani non sono più così numerosi, ma continuano ancora ad arrivare. Se in passato il motivo principale che incoraggiava ad emigrare negli Stati Uniti era di carattere economico, ai nostri giorni le guerre o l’instabilità dei governi spingono molte persone a lasciare la Patria. L’America è ancora la terra delle nuove possibilità.
Tra il 1892 e il 1954 Ellis Island aveva accolto più di dodici milioni di immigranti. Dopo aver esaminato i documenti di viaggio, i medici del servizio immigrazione visitavano ciascun individuo, contrassegnando con un gesso bianco coloro che dovevano essere trattenuti ulteriormente per problemi di salute. Chi superava questo primo esame era registrato ed aveva il permesso di sbarcare dall’isola, prendendo il traghetto per Manhattan. Venivano respinti i vecchi, i sordomuti, i ciechi, quelli con malattie contagiose, infermità mentali e le donne non accompagnate.
I non idonei erano reimbarcati sulla stessa nave con cui erano arrivati e riportati al porto di provenienza.
Dal 1924 furono limitati i flussi migratori e durante la Seconda Guerra Mondiale Ellis Island divenne una prigione per i soldati italiani, tedeschi e giapponesi. Il 12 novembre 1954 il Servizio Immigrazione chiuse definitivamente la struttura. Ellis Island fu parzialmente ristrutturata negli anni Ottanta e dal 1990 divenne il Museo dell’Immigrazione.
Al primo piano del Museo troviamo la mostra “La popolazione d’America”: quattro secoli di immigrazione americana. L’enorme Registry Room (Sala di Registrazione), al secondo piano, quasi completamente vuota, ci suggerisce le trepidazioni e, a volte, la disperazione di coloro che mettevano piede sul suolo americano confortati dalla speranza. Le sale laterali, rivestite di piastrelle bianche, adibite ai colloqui con gli immigranti e altre stanze con fotografie, testi esplicativi, oggetti domestici, oggetti utilizzati durante il lungo viaggio, ci raccontano esperienze di vita vissuta. Al piano superiore è stata allestita una importante mostra fotografica sull’edificio prima della ristrutturazione e sulla moltitudine di migranti ritratti al loro arrivo e durante la permanenza sull’isola.
L’Ellis Island National Museum of Immigration è il tributo che gli Stati Uniti d’America ha dedicato ai milioni d immigrati che hanno concorso a farne la nazione più potente del mondo.





PAUL DURAND-RUEL
Le pari de l’impressionnisme
Musée di Luxembourg
Parigi
9 ottobre 2014
8 febbraio 2015





Il Museo del Lussemburgo di Parigi presenta la prima mostra sulla collezione d’arte che fu di Paul Durand-Ruel (1831-1922), il più importante mercante d’arte del XIX secolo, scopritore e protettore dei pittori impressionisti.
Durand-Ruel, visionario mercante d’arte e collezionista, incontra per la prima volta Monet e Pissarro nel 1871 a Londra, dove i due artisti si erano rifugiati durante la guerra franco-prussiana. Viene sedotto da alcuni loro dipinti “en plein air” raffiguranti scorci della capitale inglese. Acquisisce le loro opere e le espone nella sua filiale londinese. Al suo ritorno a Parigi si interessa ai lavori di Sisley, Degas e, in seguito, di Morisot e Renoir. Scopre nel 1872 due dipinti di Manet nello studio del pittore belga Alfred Stevens: “Salmone” e “Chiaro di luna sul porto di Boulogne” e li compra subito. Pochi giorni dopo, Durand-Ruel si reca nello studio di Manet e acquista 23 suoi quadri contemporaneamente. Sarà un vero e proprio “coup de foudre”: il mercante francese porterà in mostra le opere dei pittori impressionisti nelle gallerie di Parigi, Londra e Bruxelles. Nel 1874 un violento attacco dell’Accademia, dei critici d’arte e della stampa in generale ai pittori della Scuola di Barbizon, in occasione della prima mostra collettiva degli impressionisti svolta nello studio del fotografo Nadar, colpisce anche Durand-Ruel, accusato di presentare e difendere le opere di questi artisti. La salvezza del mercante e degli stessi impressionisti arriverà dall’America: James Sutton, direttore della American Art Association, li inviterà ad un’esposizione a New York con ben trecento dipinti.
Nella mostra americana del 1886 queste opere sono accolte favorevolmente dal pubblico e dalla critica. Durand-Ruel, incoraggiato dai risultati, organizza l’anno successivo una nuova mostra a New York e qui apre una galleria d’arte nel 1888. Nel 1905 il mercante organizza a Londra, alle Gallerie Grafton, una mostra che è ancora oggi la più grande e importante tra tutti gli eventi di pittura impressionista.
L’esposizione al Museo del Lussemburgo comprende 80 opere, inclusi quadri di Sisley, Monet, Manet, Cézanne e Renoir, che furono tra gli investimenti più riusciti di un mercante francese illuminato.
Paul Durand-Ruel modifica i dettami del commerciante d’arte, presentando nelle sue gallerie mostre personali aperte al pubblico gratuitamente e sostenendo un collezionismo che non è più solo status symbol, ma anche operazione finanziaria.


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LA BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE

MILANO, Via Brera n. 28
www.braidense.it

L’occasione è stata la mostra “Giuseppe Verdi e i Pittori della Musica”. Lo stupore è stato scoprire una fantastica biblioteca, situata nel cuore di Brera a Milano: soffitti a cassettoni, saloni immensi, antiche librerie in legno pregiato straripanti di libri preziosi, magnifici e sfavillanti lampadari in cristallo.
La Biblioteca Nazionale Braidense ha sede in un imponente edificio, costruito dai gesuiti nel XVII secolo. La sua costituzione avvenne nel 1770, quando l’imperatrice Maria Teresa d’Austria decise di donare alla città di Milano la ricca biblioteca del conte Carlo Pertusati (circa 24.000 volumi a carattere storico-letterario). L’iniziale nucleo librario venne integrato dal Fondo del Collegio Gesuitico ed in seguito ampliato dall’acquisto di circa 14.000 volumi di medicina, chirurgia, anatomia e botanica, appartenuti ad Albrecht Von Haller, un famoso medico di Berna.
Alla sua apertura al pubblico, avvenuta nel 1786, la Braidense poteva vantare una raccolta bibliografica molto ampia e differenziata in ogni disciplina. Accanto a corali miniati si affiancavano opere storiche e letterarie, teologiche, giuridiche, di medicina e di consultazione generale. Durante il XIX secolo la Biblioteca si arricchì di numerose, importanti raccolte: la più preziosa è senza dubbio quella manzoniana, donata alla Braidense da Pietro Brambilla, nipote dello scrittore. Giunta a Brera tra il 1885 e il 1886, la collezione comprende 200 manoscritti, 250 volumi con postille del Manzoni e un carteggio di circa 5.000 lettere.
Nel 2004 è stato depositato nell’antica biblioteca milanese l’Archivio Storico Ricordi che è possibile consultare nella Sala Manzoniana, sala adibita alla lettura dei manoscritti.
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LA SETTIMA ARTE
a cura di Loretta Eller



ANATOMIA DI UNA CADUTA
di Justine Triet

Il film “Anatomia di una caduta” della regista francese Justine Triet, già vincitore della Palma d’oro a Cannes 2023, ha ricevuto il riconoscimento dell’Accademy per la Migliore Sceneggiatura Originale ai recenti Oscar 2024.
Il lungometraggio è l’anatomia di una relazione, l’analisi accuratissima e spietata di un matrimonio giunto alla fine. Thriller psicologico, metafora sulle uguaglianze di genere e  sulle ansie del nostro tempo, rivincita del cinema d’autore.

Sandra (l’ottima Sandra Hüller), famosa scrittrice tedesca, vive con il marito Samuel (Samuel Theis) e il figlio di undici anni Daniel (Milo Machado Graner), ipovedente,in un isolato chalet di montagna sulle Alpi francesi.
Nella sequenza iniziale la donna è a colloquio con una studentessa quando l’intervista viene interrotta da una musica assordante ascoltata dal marito al piano di sopra. Sandra, tranquilla, saluta la ragazza e si ritira nella sua camera per fare delle traduzioni. Daniel esce per una passeggiata con il cane-guida e al suo ritorno trova sulla neve il padre morto, precipitato a terra dalla mansarda in cui lavorava. Dopo una raccolta di prove da parte degli inquirenti, Sandra è accusata di omicidio e finisce sotto processo.
L’indagine processuale ricostruisce attraverso flashback, tracce audio, interrogazioni, l’esistenza della protagonista, nella difficile ricerca di una verità sfuggente. Emerge il profilo di una coppia in piena conflittualità. Samuel, il marito, è uno scrittore mancato, geloso del successo della moglie, responsabile della cecità del figlio.
Daniel, testimone al processo, influenzerà il verdetto della giuria svelando un ricordo: una sua interpretazione di un discorso avuto in auto con il padre.
La sceneggiatura precisa, suggerisce e poi smonta e rimonta la storia senza mai arrivare alla verità.
“Anatomia di una caduta” è un film appassionante, attuale, ricco di significati, con uno sguardo indulgente verso l’umanità.

 

NAPOLEON
di Ridley Scott

 

“Napoleon”, il kolossal storico biografico sull’irresistibile ascesa al potere e l’inevitabile declino dell’iconico Imperatore dei Francesi, è diretto dal famoso cineasta britannico Ridley Scott e interpretato da un convincente Joacquin Phoneix (già premio Oscar per “Joker” come miglior attore nel 2020).
Il film ripercorre la vita del grande condottiero corso dalla Rivoluzione Francese del 1789, con la caduta della monarchia, fino al suo esilio all’isola di Sant’Elena nel 1815, dove morirà nel 1821.
Ridley Scott, insieme allo sceneggiatore David Scarpa, ci mostra la psicologia, la personalità di un uomo geniale, ossessionato dal potere, grande condottiero, stratega militare e politico, ma nella sfera privata del tutto soggiogato dall’amore per una donna: Joséphine Beauharnais (Vanessa Kirby), nobildonna libera, intelligentissima, di grande fascino, sua amica, sua amante, sua moglie.
Ridley Scott nel suo film presenta la figura di Napoleone in maniera inconsueta, orientata verso una inglesizzazione del personaggio.
Imponenti sono le scene dell’Incoronazione: Napoleone incorona se stesso. Aveva affermato: “Seguo le orme di Alessandro e di Cesare. Io sono destinato alla grandezza…”
Durante la seconda parte del lungometraggio (il film dura quasi 3 ore) assistiamo ad una sempre più realistica performance di Joacquin Phoneix, immedesimato in un Napoleone ancora più incupito, più folle, più ambizioso. Ed emerge tutta la maestria di un regista come Ridley Scott nella realizzazione delle scene di battaglia imponenti, realistiche, spettacolari, epiche: dalla battaglia di Austerlitz (1805), con i soldati russi e austriaci che precipitano nelle acque ghiacciate, a quelle di Waterloo (1815), con la fanteria inglese ordinata in quadrati difensivi agli ordini del duca di Wellington (Rupert Everett).
Waterloo fu la fine dell’Imperatore Napoleone Bonaparte e delle sue innumerevoli guerre, ma non del suo mito.

 

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Diciottesima edizione - 18/29 ottobre 2023

 Quest’anno la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma avrà un giorno in più di programmazione e il riconoscimento, già dallo scorso anno, del FIAPF come festival competitivo. La manifestazione romana, in questo nuovo corso, hanno affermato la direttrice Paola Malanga e il presidente Gian Luca Farinelli, si allineerà ai più celebri festival del cinema internazionali.
Fulcro della Festa sarà, come ormai da 18 edizioni, l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, ma saranno coinvolti numerosi altri luoghi e realtà culturali della Capitale.
Anna Magnani, indimenticabile icona del nostro cinema nel mondo, è la protagonista dell’immagine ufficiale della Festa. Paola Cortellesi, con la sua opera prima: “C’è ancora domani”, aprirà questa nuova edizione; altre numerose e talentuose registe presenteranno i loro lungometraggi. In questo peculiare momento storico la Festa del Cinema di Roma ha desiderato mettere l’accento sul divario di genere e ha dato alle donne lo spazio e l’attenzione che meritano. Verrà celebrato anche il talento creativo di un’attrice e sceneggiatrice di grande valore. A Isabella Rossellini, figlia di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, sarà consegnato il Premio alla Carriera.
Alla musica saranno dedicati numerosi spazi con la proiezione di documentari su Giorgio Gaber, Maria Callas, Zucchero Fornaciari (il suo recente tour mondiale). Tra i documentari restaurati è prevista la presentazione di “Ciao Nì” di Paolo Poeti del 1979 su e con Renato Zero. Un altro Premio alla Carriera è programmato per il compositore giapponese Shigeru Umebayashi, autore fra le più iconiche colonne sonore del cinema mondiale.
Da segnalare : “Jeff Koons. Un Ritratto Privato” di Pappi Corsicato del 2023. Il regista indaga, in questo documentario, i processi creativi di un artista che è andato oltre Andy Warhol. Koons, dal carattere provocatorio e visionario, affonda le sue radici nell’amore per l’Italia e per l’arte del Rinascimento.

PREMIAZIONI E CONCLUSIONE

Nel pomeriggio di sabato 28 ottobre 2023 si è svolta, nella sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, la cerimonia di premiazione per i vincitori della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Il film “C’è ancora domani”, opera prima di Paola Cortellesi, ha ottenuto un enorme successo. Ha conquistato il Premio del pubblico, il Premio Speciale della giuria e la Menzione Speciale Miglior opera prima. Un debutto molto convincente questo dell’attrice romana che, dopo aver ringraziato la Festa, la giuria e il pubblico, ha dedicato alla figlia Lauretta e alle ragazze della nuova generazione il suo film. Inoltre ha espresso il desiderio che le ragazze, uscite dal cinema, possano essere consapevoli della propria libertà. E di quanto sia importante combattere per rimanere libere.
Il Premio come migliore attrice del Concorso Progressive Cinema – Premio Monica Vitti è stato assegnato ad Alba Rohrwacher per il film “Mi fanno male i capelli” di Roberta Torre. È un omaggio all’attrice Monica Vitti, che, attraverso un’altra donna, torna sugli schermi cinematografici con i suoi indimenticabili personaggi.
Tra gli altri premi, “Jules” di Marc Turtletaub si aggiudica il Premio Ugo Tognazzi come miglior commedia. Un film bizzarro e surreale, girato in Pennsylvania, dove Ben Kingsley, anziano pensionato incontra un piccolo extraterrestre: due “diversi” (l’anziano e l’alieno) si comprendono e si appoggiano.
I miei suggerimenti per i film, visti alla Festa, da non perdere sul grande schermo, oltre a quelli già citati:
“The Zone oh Interest” di Jonathan Glazer, un muro divide una famiglia felice dall’orrore dei campi di concentramento di Auschwitz (premiato a Cannes 2023);
“Nuovo Olimpo” di Ferzan Ozpetek, lo stile inconfondibile del regista turco racconta una storia d’amore che attraversa il tempo e interessa i suoi ricordi personali;
“I limoni d’inverno” di Caterina Carone, l’incontro di due solitudini inespresse viene rivelato con leggerezza, attraverso l’imprevisto. Protagonista un Christian De Sica malinconico, finalmente sulle sue corde;
“IL ragazzo e l’airone”, nella sezione della Festa Alice in città, è un film d’animazione del grande regista giapponese Hayao Miyazaki, già autore del capolavoro “La città incantata”. Il film conferma la poetica del regista in una storia sul mistero della vita, con lo stupore negli occhi come quelli di un ragazzo e di un airone.

 

THE CREATOR
di Gareth Edwards

dal 28 settembre al cinema

“The Creator” è un film epico di fantascienza che affronta il tema dell’intelligenza artificiale (IA), mettendo in scena quali potrebbero essere gli sviluppi, i dilemmi e i contrasti etici che potremmo dover fronteggiare.

L’intelligenza artificiale è una disciplina informatica che studia l’abilità di una macchina a mostrare attitudini umane, quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. È un settore della scienza molto dibattuto tra scienziati e filosofi, poiché presenta elementi contrastanti, teorici e pratici. Le applicazioni di IA, se mal progettate o usate in modo improprio, possono essere pericolose. Stephen Hawking, nel 2014, ci ha messi in guardia sui pericoli dell’intelligenza artificiale, considerandola una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità. Nel 2019 l’Unione Europea ha stilato un “codice etico” che contiene le linee guida sull’utilizzo e lo sviluppo dei sistemi di IA. Questo documento, come altri nei diversi paesi, asserisce che l’intelligenza artificiale deve avere al centro l’uomo, deve essere al servizio del bene comune e, soprattutto, garantire la libertà dell’umanità. Ai nostri giorni l’IA ha già molteplici applicazioni in diversi ambiti: industriali, domestici, sanitari, nell’istruzione e nel lavoro.

Nel film “The Creator”, in una guerra futura tra l’umanità e le forze dell’intelligenza artificiale, Joshua (John David Washington), un ex agente delle forze speciali americane, in lutto per la scomparsa della moglie Maya (Gemma Chan), viene reclutato per dare la caccia e uccidere  il “Creatore”, colui che ha sviluppato una misteriosa intelligenza artificiale, che può mettere fine alla guerra e alla stessa umanità. Joshua e la sua squadra, passate le linee nemiche nel territorio occupato dall’IA (Nuova Asia), scopriranno che l’arma di distruzione artificiale da eliminare ha le sembianze di una bambina (Madeleine Yuna Voyles) … Da quel momento Joshua mette in discussione ciò che di negativo pensava dell’IA e cosa sia reale o meno.
Gareth Edwards ci offre un esempio eccellente di tutto ciò che rappresenta un buon cinema di fantascienza: originalità, passione, idee intelligenti, spettacolarità, sentimenti.

 

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
18/29 ottobre 2023

La diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma sarà inaugurata da un film italiano, diretto da Paola Cortellesi: “C’è ancora domani”.
Lo hanno annunciato la Direttrice Artistica Paola Malanga insieme a Gian Luca Farinelli, Presidente della Fondazione Cinema per Roma.

Paola Cortellesi è una delle artiste più complete del panorama cinematografico italiano: attrice, autrice, sceneggiatrice, cantante e parodista. Vincitrice di un David di Donatello e tre Nastri d’Argento, un Globo d’Oro e un Ciak d’Oro, la Cortellesi esordisce alla regia con un originale dramedy in bianco e nero, ambientato nel Secondo Dopoguerra. In “C’è ancora domani” la protagonista è affiancata da un altro eccellente attore italiano: Valerio Mastandrea.
Delia (Paola Cortellesi), moglie e madre di tre figli, combatte con le difficoltà e la miseria lasciate da una guerra terminata da poco. Ivano (Valerio Mastandrea), suo marito, è il padrone assoluto della famiglia. Siamo in primavera e sono imminenti le nozze della primogenita. Delia ha un solo desiderio: un buon matrimonio per la figlia. Ma l’arrivo di una lettera misteriosa le permetterà di immaginare, non solo per sé, un futuro migliore.
Nel cast del film la Cortellesi e Mastandrea sono affiancati da Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli e Vinicio Marchioni.
Un’opera prima di un’attrice estremamente versatile per un film insolito, da lei scritto insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda.

 

WISH

Walt Disney Animation Studios
Diretto da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn

Il 19 giugno 2023 Jennifer Lee, sceneggiatrice e produttrice esecutiva della Walt Disney Animation Studios, ha presentato alla stampa italiana del materiale inedito di “Wish”, il nuovo Classico Disney, che arriverà nelle sale a Natale.

“Wish” è l’ambizioso e spettacolare lungometraggio che celebra il centenario della produzione disneyana. Chiari elementi, visivi e simbolici, omaggiano cartoni animati immortali quali “Pinocchio”, “Cenerentola”, “La Bella Addormentata”. Ma in “Wish”, afferma Jennifer Lee, agli Studios è arrivata la tecnologia del digitale, dunque si continuano a fare disegni a mano affiancati dalla computer grafica, animazione tradizionale e avanguardie tecnologiche. Una cosa non esclude l’altra.
Osservando i primi fotogrammi di “Wish” prende vita qualcosa di spettacolare e inedito. Congiuntamente a sfondi dai colori tenui, acquarellati, emergono fantastici personaggi animati digitalmente.
La musica, le belle canzoni composte da Julia Michaels, riecheggiano i Classici celebri del passato, ma la nuova colonna sonora è, in particolare, ispirata ai desideri, alla speranza. Un omaggio a Walt Disney che, dalla realizzazione del suo primo lungometraggio del 1937 (Biancaneve e i sette nani), ci ha insegnato a guardare le stelle per esprimere i nostri desideri, ma per realizzarli, affermava, ci vuole un impegno costante.
La storia, ambientata nel Medioevo, nel regno di Rosas, narra le vicende di Asha, fanciulla ambiziosa e determinata, che sogna di diventare apprendista del suo re, Magnifico, uno stregone con prodigiosi poteri. Egli, infatti, è in grado di leggere i desideri delle persone. Invece, mentre Asha crede che il re possa così donare la felicità, in realtà il sovrano sfrutta i suo doni per scopi personali, tenendo prigionieri i desideri dei suoi sudditi e impedendo che vengano esauditi. Ma nel cielo del regno di Rosas c’è Star, una buona stella che accoglierà i desideri delle persone del regno…

 

BIF&ST 2023
Bari International Film e TV Festival

Dal 24 marzo al 1° aprile 2023


Il BIF&ST è, per gli esperti e gli appassionati della Settima arte, un appuntamento da non perdere.
L’importante evento è giunto alla sua 14° edizione con un sostanzioso programma, organizzato quest’anno dal presidente del Festival e regista Volker Schlöndorff, in collaborazione con l’ideatore della kermesse e direttore artistico Felice Laudadio. Per nove giorni l’incantevole città pugliese accoglie in alcuni luoghi storici, dal Teatro Petruzzelli al Salone Margherita al Teatro Piccinini e al Teatro Kursaal Santalucia, film internazionali, masterclass e incontri con protagonisti e professionisti del cinema.
Il regista Gabriele Salvatores (premio Oscar per “Mediterraneo”) ha inaugurato il  BIF&ST con l’anteprima del suo nuovo lungometraggio “Il ritorno di Casanova”, interpretato da Tony Servillo e Fabrizio Bentivoglio.
Per la sezione “Panorama Internazionale” i titoli presentati sono stati valutati da una giuria guidata dal regista iraniano Jafar Panahi (Premio Fellini 2023), presidente onorario, a sostegno dei cineasti iraniani perseguitati dal regime degli ayatollah.
E per il secondo anno consecutivo il comune di Bari ha organizzato il Fuori BIF&ST, con interessanti eventi collaterali: appuntamenti culturali e di intrattenimento a tema cinematografico, coinvolgendo strade, piazze, spazi culturali, attività commerciali e sale cinematografiche di tutta la città.

 

LAGGIU' QUALCUNO MI AMA
di Mario Martone


Uno straordinario documentario del regista Mario Martone è stato presentato, in questi giorni,al 73° Festival Internazionale del Cinema di Berlino,nella sezione “Berlinale Special”.
Il 19 febbraio 1953, a San Gregorio a Cremano, nasceva Massimo Troisi; quest’anno avrebbe compiuto il suo settantesimo compleanno.
Mario Martone ha voluto rendere un emozionante omaggio a questo grande artista napoletano, che è stato attore comico, regista, sceneggiatore, cabarettista e poeta. Negli anni Settanta Troisi, erede del teatro di Eduardo e Totò, arricchì con il suo talento la comicità napoletana di nuovi umori. In quegli anni nacque un trio comico che raggiunse subito la notorietà: La Smorfia (Massimo Troisi, Lello Arena, Enzo De Caro). Nel 1981 il giovane Troisi, ormai affermato, debuttò al cinema come attore e regista del film “Ricomincio da tre”. Il film ebbe uno strepitoso successo di critica e di pubblico. Seguirono altri dodici film da lui interpretati, cinque dei quali anche come regista. Il suo stile era inconfondibile, univa alla vena comica una particolare espressione verbale e gestuale, lenta e colorita, autoironica, con le caratteristiche di un antieroe riflessivo sulla società contemporanea.
Mario Martone ha scelto per il suo documentario come co-autrice Anna Pavignano, storica sceneggiatrice dei film di Troisi, depositaria di ricordi e materiali documentali, per raccontare l’uomo e l’attore. Il regista accosta il cinema di Troisi a quello di Truffaut: «Veniva in mente Truffaut e la Nouvelle Vague. Al centro c’era la vita messa in scena spudoratamente: tutto diventava politico perché vita». Martone racconta, attraverso frammenti di filmati, l’amicizia fraterna fra Troisi e Pino Daniele. Entrambi erano portavoce di una “napoletanità” che apparteneva al mondo. Daniele scrisse per l’amico la canzone “Quando”, che divenne il magnifico tema musicale di “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” (1991) e aveva già composto le colonne sonore per i film di Troisi “Ricomincio da tre” e “Le vie del Signore sono finite” (1987).
“Il postino” di Michael Radford (1994) è l’ultimo film in cui ha recitato Massimo Troisi, morto per infarto alla fine delle riprese, ed è il suo testamento spirituale. Il film è liberamente ispirato al romanzo “Ardiente paciencia” (1986) dell’autore cileno Antonio Skármeta. Mario Ruoppolo (Troisi) è il postino che, in un’isola del Sud Italia, recapita le lettere a Pablo Neruda (Philippe Noiret) poeta cileno, esiliato politico. I due uomini stringeranno un forte rapporto di amicizia, Mario comprenderà la forza dei sentimenti, della poesia e della malinconia, tratti che hanno sempre contraddistinto tutta la carriera teatrale e cinematografica di Massimo Troisi.

 

AVATAR 2 - La via dell’acqua
di James Cameron

È finalmente giunto nelle sale cinematografiche italiane il tanto atteso seguito del film “Avatar”, che aveva ottenuto nel 2009 un enorme successo e ben 3 Premi Oscar.
Il sequel “La via dell’acqua” è un kolossal immersivo, nuove tecnologie permettono allo spettatore di ammirare, attraverso il 3D, una magnificenza visiva ed una estetica eccellente. La durata del film (192 min.) non spaventa, impossibile staccare gli occhi dallo schermo, impossibile non emozionarsi.
Con “Avatar 2” si giunge ad un nuovo livello di esperienza cinematografica in sala. In particolare James Cameron dà vita, nella seconda parte del film, a scene subacquee mai viste prima, esplorazioni degli abissi marini stupefacenti. Il tema dell’ecologia, tanto caro al regista canadese, torna prepotente in “La via dell’acqua”.
Ritroviamo, diversi anni dopo, su Pandora, la Luna di Polyphemus, Jake Sully, capotribù, con la sua famiglia di NA’VI costretti a fuggire dalle foreste pluviali, perseguitati da un gruppo di umani. Il clan viene accolto nelle remote isole pandoriane dei NA’VI acquatici, che si sono adeguati, anche fisicamente, a vivere in armonia con il mondo marino, che sanno cavalcare grandi pesci capaci di volare e nuotare, che conoscono e comunicano con la flora e la fauna locale.
I messaggi del film sono forti e chiari: rispetto per l’ambiente, integrazione delle culture, rispetto per i propri simili, per gli animali e per i vegetali. La famiglia è inclusiva, allargata, ma unita da valori ancestrali. I figli, pur nei loro limiti, ma proprio grazie ad essi, salvano i padri.
La battaglia finale tra NA’VI e umani è travolgente e, svolgendosi sul mare, ricorda un altro capolavoro di James Cameron: “Titanic”, la nave che affonda.
Dopo “Avatar 2” sono previsti altri sequel. Il regista, per garantire la coesione tra i film, ha collaborato con un team di scrittori di talento, utilizzando un metodo simile allo “storyboarding”, gettando le basi per ogni successiva pellicola.

BUONE FESTE A TUTTI GLI ASSOCIATI !

 

L’OMBRA DI CARAVAGGIO
di Michele Placido
(Festa del Cinema di Roma 2022)

 Papa Paolo V nel 1610 dispone di indagare su Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Riccardo Scamarcio). Le indagini saranno condotte da un Inquisitore (Louis Garrel), conosciuto come l’Ombra.

Nel suo film Michele Placido ci racconta il Caravaggio uomo: ribelle, trasgressivo, devoto, scandaloso, ma artista visionario.
Mentre a Roma la Chiesa controriformista commissiona dipinti, sculture e opere ridondanti, Caravaggio interpreta con la sua arte il ritorno ai valori evangelici, ritraendo derelitti, prostitute e diseredati. Lena Antonietti (Micaela Ramazzotti), famosa prostituta romana, è spesso raffigurata da lui come Maria, la madre di Gesù. La morte della cortigiana Annuccia (Lolita Chammah) diviene il suo capolavoro, oggi al Museo del Louvre: “Morte della Vergine”. Immersivo, intensissimo, di forte teatralità l’episodio in cui il regista mette in scena il pittore nell’atto della creazione di questo celebre quadro. Questi e altri suoi dipinti lo condurranno all’anatema ed infine alla morte.
In un’epoca, il Seicento, caratterizzata da violenza e miseria, il Merisi riceve sostegno, protezione e amore dalla marchesa Costanza Colonna (Isabelle Hupert).
Ne “L’Ombra di Caravaggio” c’è una ricerca del vero, dell’autenticità, un’urgenza che lo stesso “pittore maledetto” aveva sempre rincorso, ribellandosi ad ogni potere costituito. Nel film, accattivante e sontuoso, tra realtà e fantasia, si possono riconoscere alcuni immortali dipinti caravaggeschi. Li ritroviamo nella bottega del pittore e ancora nei palazzi dei ricchi committenti, nelle fedeli ricostruzioni rappresentative a simboleggiare un geniale antesignano della fusione pittorica fra arte e realtà.
Il lungometraggio di Michele Placido valorizza l’arte di un genio inviso nella sua epoca, ma che oggi non può che suscitare un’immensa ammirazione.
In un curatissimo cast italo-francese, Riccardo Scamarcio interpreta con assoluta intensità la violenza, il tormento, la perdizione, l’empatia e il genio dell’artista.

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Diciassettesima edizione - 13/23 ottobre 2022

La diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma si svolgerà, come tutti gli anni, all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, ma ci sono molte novità. La nuova direttrice artistica Paola Malanga, affiancata dal presidente della Fondazione Cinema per Roma Gian Luca Farinelli, ha illustrato, in conferenza stampa, l’innovativo programma.
Dal 2022 la Festa del Cinema di Roma è stata riconosciuta ufficialmente dalla FIAPF come Festival competitivo. Avrà, dunque, quest’anno un Concorso Internazionale dal titolo PROGRESSIVE CINEMA – Visioni per il mondo di domani. In concorso 16 titoli tra film di finzione, documentari e film d’animazione, per una giuria composta da professionisti del mondo del cinema, della cultura e delle arti. Verranno assegnati i riconoscimenti come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, “Premio Monica Vitti” alla migliore attrice, “Premio Vittorio Gassmann” al miglior attore, “Gran Premio della giuria” e “Premio speciale della giuria”.
Nelle varie sezioni non competitive, la rassegna sarà aperta da “Il colibrì” di Francesca Archibugi, tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi, vincitore del “Premio Strega”.
Tra i numerosi lungometraggi, peculiare è “La stranezza” di Roberto Andò, dove Pirandello (Toni Servillo), in crisi creativa, incontra due impresari di pompe funebri che lo ispirano per i “Sei personaggi in cerca d’autore”. È sicuramente avvincente “L’ombra di Caravaggio”, dove il regista Michele Placido racconta la vita di Michele Merisi (Riccardo Scamarcio) attraverso un inedito personaggio, quello dell’Ombra (Louis Garrel). Ne “Il principe di Roma” (Marco Giallini) il regista Edoardo Falcone rilegge, nella Roma papalina del 1829, il “Canto di Natale” di Charles Dickens. Questo è un piccolo assaggio dei film che faranno emozionare un vasto pubblico.
Il “Premio alla carriera” verrà consegnato al regista inglese James Ivory, che presenterà alla Festa il suo documentario autobiografico.
Protagonisti dell’immagine ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2022 sono Paul Newman e Joanne Woodward, una celebre coppia nel cinema e nella vita. Per loro un omaggio della Festa: la docu-serie “The Last Movie Stars” di Ethan Hawke e una retrospettiva di 15 titoli.

PREMIAZIONI E CONCLUSIONE

Il Concorso Progressive Cinema, con una giuria composta, tra gli altri, dalla regista e fumettista Marjane Satrapi, ha premiato come miglior film e miglior regia “Janvaris” (January) di Viesturs Kairišs. Gennaio 1991, la Lettonia, già da un anno indipendente, viene invasa dall’esercito russo. Tre giovani aspiranti filmaker abbandonano i loro piani per unirsi alla resistenza non violenta.
Il Premio BNL alla Miglior Opera Prima, scelta fra i titoli delle varie sezioni, è stato assegnato al film “Causeway” di Lila Neugebauer. L’esordio alla regia dell’americana Neugebauer è un dramma psicologico che esplora i traumi dei soldati al ritorno dalla guerra, ma anche le sofferenze che hanno segnato le loro vite al punto da spingerli ad arruolarsi verso i teatri dei conflitti sempre più cruenti. Protagonista e produttrice Jennifer Lawrence, che torna efficacemente al cinema più impegnato.
Interessante il Premio del Pubblico FS, per il Concorso Progressive Cinema, che è stato assegnato al film “SHTTL” di Ady Walter. 1941, il giovane Mendele lavora nel mondo del cinema a Odessa, ma sta tornando al suo paese (Shtetl in yddish) in Ucraina, al confine con la Polonia, per assistere al matrimonio del suo amore di sempre con il figlio del rabbino. Il regista coglie il clima che si respira nella comunità ebraica il giorno prima della invasione nazista.
Questa diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stata presentata in una nuova veste, con l’intento di diffondere la passione per il cinema in tutta la città e coinvolgendo altri luoghi e realtà culturali della capitale, ma non escludendo la dimensione internazionale della settima arte. Il nuovo logo della Festa ha rappresentato la sua innovazione. I segni tondeggianti del marchio caratteristici dell’evento dal 2007 si sono trasformati nel più noto ed evocativo simbolo di Roma nel mondo: la Lupa  Capitolina. La sua immagine ha caratterizzato anche tutti i premi di questa manifestazione.

IL RITRATTO DEL DUCA (THE DUKE)
di Roger Michell

Era il 1961 quando a Londra si tenne il processo a Kempton Bunton. L’uomo era accusato di aver rubato quattro anni prima, e poi restituito, alla National Gallery di Londra il Ritratto del duca di Wellington dipinto da Goya. Il museo lo aveva appena acquistato per ben 140.000 sterline.
Il regista Roger Michell, da poco scomparso, ricostruisce un fatto realmente accaduto in una commedia ironica sui valori della cultura inglese e della sua democrazia. Impareggiabili per simpatia e bravura l’attore britannico Jim Broadbent (Kempton) e Helen Mirren che interpreta Doroty Bunton, moglie di Kempton.
Il sessantenne tassista in pensione Kempton Bunton si era battuto invano, come un novello Robin Hood, affinché le persone anziane potessero ricevere i canali della televisione di stato senza pagare il canone. Ma finì su tutti giornali britannici quando riuscì a mettere in atto il furto del secolo: il Ritratto del duca di Wellington, unico caso di furto nel celebre museo londinese. L’uomo chiedeva un insolito riscatto. Il governo si doveva impegnare a dare più sostegno economico agli anziani e ai veterani di guerra, ribadendolo poi nell’esilarante processo a lui intentato. Lo svelamento di questa storia, divenuta leggenda, si palesò solo cinquanta anni dopo quando si scoprì che Kempton aveva creato una rete di bugie per ottenere una giustizia sociale.
L’evento fece talmente scalpore da meritarsi una citazione nel primo film di James Bond: Agente 007 – Licenza di uccidere del 1962. Bond, nel covo del capo della Spectre, osserva il Ritratto del duca di Wellington esclamando: «Ecco dov’era finito!». Roger Michell ha inserito questa scena nel finale di The Duke.

 

7 DONNE E UN MISTERO
di Alessandro Genovesi

“7 donne e un mistero” è il remake di un famoso film francese del 2002 “8 Femmes” di François Ozon.
Genovesi mantiene l’impianto teatrale del film originale, ma anticipando l’ambientazione dagli anni Cinquanta  agli anni  Trenta. Le donne in questione sono sette talentuose attrici italiane: Margherita Buy, Sabrina Impacciatore, Luisa Ranieri, Micaela Ramazzotti, Diana del Bufalo, Benedetta Porcaroli e Ornella Vanoni.
Italia. In una isolata magnifica villa di famiglia, un variegato gruppo di sette donne,riunite per celebrare la vigilia di Natale, scopre l’inspiegabile omicidio del pater familias. Fuori imperversa una tempesta di neve, i fili del telefono sono stati tagliati, il cancello è stato bloccato. Dunque le sette donne, legate tra loro da vincoli affettivi nei confronti dell’uomo ucciso, devono scoprire chi è fra loro l’assassina. Si realizzerà un gioco al massacro, non privo di risvolti umoristici, che svelerà i segreti che ciascuna nasconde.
Le donne si sospettano tra loro e ognuna cercherà di buttare fango sulle altre. Ma chi è il vero omicida? Chi è l’assassina? Le rivelazioni non sono finite… Si tratta di aprire il vaso di Pandora.
“7 donne e un mistero” è una singolare commedia gialla italiana, tutta al femminile, con uno sguardo alle opere di Agatha Christie, che diverte e mette in risalto la bravura delle protagoniste.
Il film uscirà nelle sale cinematografiche a Natale.

BUONE FESTE A TUTTI GLI ASSOCIATI!

 

Festa del Cinema di Roma
Sedicesima edizione 14-24 ottobre 2021

La protagonista dell’immagine ufficiale della Festa del Cinema di Roma, quest’anno, è quella della splendida Uma Thurman. Un cult, un omaggio all’attrice statunitense e alla sua straordinaria performance in “Kill Bill: volume 2” di Quentin Tarantino. La foto in bianco e nero di Uma Thurman in Beatrix Kiddo al volante della sua decappottabile, il suo sguardo intenso e ipnotico verso l’orizzonte, «esprimono il ritratto di una donna forte, determinata, in cerca di una vera e propria rinascita»  commenta il direttore artistico Antonio Monda.
Apre, il 14 ottobre, la sedicesima edizione della Festa il biopic “The Eyes of Tammy Faye” di Michael Showalter, protagonista Jessica Chastain, per la Selezione Ufficiale di ben 35 titoli. Unico film italiano in concorso per il Premio del Pubblico “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito, tratto dal romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017. La Festa del Cinema di Roma ha sempre un carattere internazionale, ma con una particolare attenzione alla romanità. Nella sezione degli Incontri Ravvicinati accanto ai nomi di Quentin Tarantino e Tim Burton, che ritireranno il Premio alla Carriera, a Jessica Chastain, al maestro del fumetto Frank Miller e alla scrittrice saggista Zadie Smith, ci saranno rendez-vous con Claudio Baglioni, i Manetti Bros e Zerocalcare. Di quest’ultimo è stata allestita una mostra, all’interno dell’Auditorium Parco della Musica, intitolata “Dieci anni della profezia di Zerocalcare”, che raccoglie alcune delle sue tavole più famose.
Ancora romanità: Carlo Verdone presenterà la sua prima serie televisiva “Vita da Carlo” e Gigi Proietti sarà omaggiato due volte con la proiezione dell’ultimo film che lo vede protagonista “Io sono Babbo Natale” di Edoardo Falcone e con il documentario di Edoardo Leo “Luigi Proietti detto Gigi”. Gabriele Muccino presenterà il primo film a episodi della sua serie “A casa tutti bene”. Mentre l’attrice Monica Vitti, ormai lontana da tempo dai riflettori, sarà celebrata nel documentario di Fabrizio Corallo attraverso film e ricordi di amici in “Vitti d’arte, Vitti d’amore”. Altro omaggio è quello di Sergio Rubini con il film “I fratelli De Filippo”, fratelli che hanno dovuto lottare perché non riconosciuti dal padre Eduardo Scarpetta, dal quale hanno ereditato un raro talento scenico.
Quest’anno la kermesse si arricchisce di una nuova location: SCENA, il teatro dell’Opera, per tre serate evento, si trasforma in sala cinematografica. In anteprima saranno proiettati il film-opera “Rigoletto al Circo Massimo” di Damiano Michieletto, “La Traviata” per la regia di Mario Martone e il documentario “Rigoletto 2020”. Pellicole realizzate nel corso del 2020-2021, simbolo di un Teatro che non si è mai arreso alle platee vuote.
Infine, in chiusura della Festa del Cinema e di Alice in Città, collaterale dedicata ai ragazzi, verrà presentata la nuova pellicola Marvel Studios “Eternals” di Cloé Zhao con un grande cast di attori, uno per tutti Angelina Jolie.
La grande manifestazione romana, oltre all’Auditorium Parco della Musica, interesserà il Maxxi, la Casa del Cinema, il circuito delle librerie indipendenti, l’Auditorium del carcere di Rebibbia, alcune sale cinematografiche cittadine e Palazzo Merulana per il programma di “Duel”.

Conlusioni
“Mediterraneo” (OPEN ARMS – La legge del mare) di Marcel Barrena è il vincitore del Premio del Pubblico per questa edizione della Festa del Cinema di Roma, terminata domenica 24 ottobre con grande successo.
Quella dei votanti è stata una scelta oculata,hanno preferito un lungometraggio nato dalla storia vera di Oscar Camps, il fondatore di OPEN ARMS. Nell’autunno del 2015 due bagnini, Oscar e Gerard, sono colpiti dalla straziante fotografia di un bambino annegato nel Mediterraneo. Sull’isola di Lesbo scoprono una realtà sconvolgente: ogni giorno migliaia di persone rischiano la vita solcando il mare su imbarcazioni precarie, per fuggire dalla miseria e dalla guerra dei loro Paesi d’origine. Ma la cosa più sconcertante è che nessuno sta svolgendo attività di salvataggio. Oscar, insieme ad altri membri della sua squadra, porterà a migliaia di persone quell’aiuto di cui hanno estremo bisogno.
Nel prossimi giorni molti film della Festa saranno fruibili al pubblico nei cinema e sulle piattaforme on-line.
Al Maxxi ha suscitato grande interesse “The Lost Leonardo” di Andreas Koefoed, il film-documentario che ripercorre l’incredibile vicenda di un’opera d’arte venduta al più alto prezzo mai pagato nella storia da un privato: il “Salvator Mundi”, attribuito a Leonardo da Vinci. Dipinto  ancora oggi fonte di contrastanti pareri da parte della comunità scientifica internazionale.
Un altro dei segni distintivi della Festa di Roma è la contaminazione tra cinema e musica. Claudio Baglioni ha dialogato con il pubblico in un “Incontro Ravvicinato” commentando i suoi cinquant’anni di musica, emozioni e concerti. Luciano Ligabue e Fabrizio Moro hanno presentato il corto “Sogni di rock’n’roll. Un documentario di Renato De Maria “Caterina Caselli – Una vita cento vite” ha raccontatola storia di una delle star degli anni Sessanta, del suo legame con i protagonisti della musica italiana, dei suoi successi e dei grandi nomi con cui ha collaborato, fino agli artisti che ha reso grandi come talent scout: Andrea Bocelli, Elisa, i Negramaro e tanti altri.
Antonio Monda ha concluso la Festa del Cinema di Roma affermando: «Abbiamo dato un’identità all’evento, è un festival dove si valorizzano i film senza metterli in competizione. Il mio obiettivo non è una Venezia di serie B, ma una Roma di serie A».

 

QUI RIDO IO
 di Mario Martone

Presentato con grande successo alla 78ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 2021,”Qui rido io” è la storia del famoso attore comico napoletano Eduardo Scarpetta.
Sono gli inizi del ‘900, nella Napoli della Belle Époque, un attore della commedia comica è il re del botteghino. Lui, Eduardo Scarpetta, è l’idolo del pubblico napoletano per le sue commedie e per la maschera di Felice Sciosciammocca, divenuto più famoso di Pulcinella. Scarpetta vive per il teatro, contornato da un eterogeneo nucleo famigliare: moglie, compagne, amanti, figli legittimi e illegittimi, questi ultimi erano Titina, Eduardo e Peppino De Filippo. Cavalcando l’onda del successo, Scarpetta tenta un terribile azzardo mettendo in scena una parodia de “La figlia di Iorio”, tragedia di Gabriele D’Annunzio, il più acclamato poeta del tempo. La sera della prima la commedia riceve fischi e improperi e lo stesso D’Annunzio denuncia per plagio il comico Scarpetta. È l’inizio della prima causa sul diritto d’autore italiano, il processo durerà anni e logorerà l’attore napoletano e l’equilibrio della sua famiglia. Ma il grande capocomico riuscirà a vincere l’ultima partita.

Mario Martone, regista di cinema e di teatro, tratteggia la poesia essenziale e schietta dell’opera artistica di Eduardo Scarpetta, sottolineandone l’uomo, le sue famiglie parallele, i suoi insegnamenti sul palcoscenico ai tre figli illegittimi, i fratelli De Filippo che diverranno straordinari teatranti.
Il regista celebra, anche attraverso la colonna sonora del film, Napoli nei suoi splendori e nelle sue miserie, rendendo omaggio alla tradizione del teatro napoletano. Una moltitudine di attori partenopei straordinari in stato di grazia, ricreano l’atmosfera dell’epoca. Una citazione particolare merita la strepitosa interpretazione di Toni Servillo nel ruolo di Eduardo Scarpetta.

 

N - IO E NAPOLEONE
di Paolo Virzì

«Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro…»

Alessandro Manzoni aveva commemorato la morte di Napoleone Bonaparte nelle famosa elegia “5 Maggio”. Il 5 maggio 2021 ricorrono i 200 anni da quel giorno del 1821, quando l’imperatore francese morì in esilio a Sant’Elena.

Dopo la rovinosa battaglia di Lipsia e a seguito del trattato di Fontainbleau del 14 aprile 1814 Napoleone, fino a quel momento imperatore dell’intera Europa, fu costretto ad abdicare dal trono di Francia e ad accettare il piccolissimo regno dell’Isola d’Elba, dove rimase dieci mesi.

Nel 2006 Paolo Virzì dirige un film originale, liberamente ispirato al romanzo di Ernesto Ferrero, “N - Io e Napoleone”.
Isola d’Elba 1814. Napoleone (Daniel Auteil), in esilio sul’isola toscana, viene accolto con grande calore dalle maestranze locali e dal popolo. Tra coloro che nutrono rancore nei confronti del tiranno, che ha tradito la Rivoluzione e ha mandato a morte sui campi di battaglia tanti giovani, c’è il maestro Martino Papucci (Elio Germano). Per questo motivo il maestro elbano desidera uccidere Napoleone; l’occasione si presenta quando viene assunto come bibliotecario e segretario personale al servizio del Grande corso. Martino ci proverà, ma non riuscirà a portare a termine l’assassinio. All’opposto fra i due nascerà un’amicizia singolare. Napoleone è un uomo sconfitto che chiede al giovane intellettuale di raccogliere i suoi pensieri, le sue riflessioni quotidiane, i suoi aforismi, eppure ha sempre un grande carisma… Lo straordinario passato e la paura per il futuro sono rappresentati, nell’aspetto di Bonaparte, dal suo solenne indossare sempre divisa, cappello e pose da padrone del mondo (Auteuil ci mostra l’Imperatore come un vecchio attore che teme di essere superato).
Il film ottocentesco di Paolo Virzì svela tutta la sua verve creativa. Il rapporto tra il Generale e Martino induce ad una riflessione sul potere e le diversità sociali. La storia, raccontata attraverso dialoghi genuini toscaneggianti, risulta una commedia intelligente e piacevole. La caratterizzazione dei personaggi è ben riuscita, aiutata dalla bravura e simpatia degli interpreti, in particolare Sabrina Impacciatore e Valerio Mastandrea. Daniel Auteuil è un Napoleone molto umano, pigro e borioso, inconsueto. L’interpretazione di Elio Germano è vivace, versatile. L’attore romano riesce a rendere molto bene, nello stesso tempo, la spavalderia del giovane rivoluzionario e la semplicità impacciata e anche un po’ infingarda dell’intellettuale provinciale.
Il lungometraggio di Virzì è stato presentato alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma (2006) ed ha vinto un Nastro d’Argento, un Globo d’Oro e due Ciak d’Oro, oltre ad aver ricevuto ben sei nomination ai David di Donatello (2007).

 

LEI MI PARLA ANCORA
di Pupi Avati

Il lungometraggio, del 2021, inizialmente sarebbe dovuto uscire al cinema, ma a causa della pandemia è stato acquistato da Sky Cinema e trasmesso in prima visione assoluta l’8 febbraio 2021.
Il film, diretto da Pupi Avati, è tratto dal romanzo “Lei mi parla ancora – Memorie edite ed inedite di un farmacista”. Scritto nel 2016 a 95 anni da Giuseppe Sgarbi, padre di Elisabetta e Vittorio.

La storia è quella di un amore durato sessantacinque anni tra Giuseppe, detto Nino, e Caterina, detta Rina. Un grande affresco messo in scena da Pupi Avati fra presente e passato, la casa di mattoni rossi di Rho Ferrarese, la farmacia di famiglia e la grande passione per l’arte. Ritroviamo il regista bolognese nella sua vena migliore: il cinema nostalgico con le sue toccanti atmosfere intimiste.
Quando Nino, un inedito ed intenso Renato Pozzetto, perde la sua adorata Rina (Stefania Sandrelli), continua a parlare con lei e lei gli parla ancora. I due coniugi hanno creduto di essere immortali in virtù del “gran bene che si sono sempre voluti”. Sarà la figlia Elisabetta (Chiara Caselli) a far sì che il padre possa ancora parlare con e della sua Rina, incaricando il gosth writer Amicangelo (Fabrizio Gifuni) di raccoglierne le memorie.
Amicangelo, editor e aspirante scrittore, accetta il lavoro per esigenze economiche, scontrandosi ripetutamente con il carattere a lui opposto dell’anziano farmacista. Con il tempo, però, supereranno le loro discordanze, instaurando una forte amicizia, attraverso la condivisione dei ricordi di Nino.
Siamo sulle sponde del delta del Po emiliano-romagnolo, sono gli anni Cinquanta, il giovane Nino (Lino Musella) legge alla giovane Caterina (Isabella Ragonese) un testo di Pavese, morto suicida: «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia».
Il giorno del matrimonio Rina aveva consegnato a Nino una lettera: «Se ci ameremo sempre saremo immortali». Questo è l’amore che dura nel tempo e poi nei ricordi. Amicangelo, giovane, cinico, mal divorziato e padre di una bambina da lui trascurata, ripenserà a lungo alle parole di Nino e avverrà in lui un cambiamento mai immaginato.
L’anziano farmacista aveva rivelato all’insensibile scrittore il vero senso della vita: l’attitudine, l’impegno e la disponibilità ad amare.

 

LA VITA È MERAVIGLIOSA
(It’s A Wonderful Life)

Di Frank Capra

Questo film americano del 1946, in bianco e nero, capolavoro di Frank Capra, è il film di Natale per eccellenza. Il regista, in un’intervista per la presentazione della pellicola, dichiarava che il tema centrale della storia riguarda l’importanza dell’individuo e il concetto secondo cui nessun uomo può essere considerato un fallimento. Il cinema di Capra, e in particolare questo film, non deve essere visto solo nella apparente semplicità degli eventi narrati, ma considerato nei rapporti drammatici che determinano la vita famigliare e sociale di un individuo. Il regista ci racconta in La vita è meravigliosa quello che Jung più tardi avrebbe definito “sincronicità”: «nulla avviene per caso e tutto accade secondo una logica che lega l’uomo alla sua individualità, agli altri e al suo contesto.»

È la notte di Natale a Bedford Falls, nevica, un uomo, George Bailey (James Stewart), onesto e sfortunato, decide di gettarsi nelle turbinose acque di un fiume, disperato a causa di un disastroso rovescio finanziario. Dall’alto arriva in suo soccorso un angelo che deve ricevere ancora le ali, le riceverà solo dopo aver compiuto una buona azione. L’angelo gli appare nelle vesti del simpatico vecchietto Clarence Odbody (Henry Travers) che decide di far ripercorrere all’uomo la sua intera esistenza. George ha avuto una vita costellata di gesti altruistici e di azioni generose fin da bambino. Ha salvato suo fratello Henry tuffandosi in un laghetto ghiacciato, riportando una lesione permanente ad un orecchio. I casi di generosità sono continuati nel tempo, George ha condotto una vita caritatevole, con affettuosità e simpatia nei confronti degli altri. L’uomo dice all’angelo che forse sarebbe stato meglio che non fosse mai nato. L’angelo replica che tante cose non sarebbero successe, la moglie Mary (Donna Reed) sarebbe stata una donna delusa dalla vita e i suoi quattro figli non sarebbero mai nati. A questo punto George implora Clarence di farlo ritornare alla sua vecchia vita. I suoi concittadini e la sua famiglia lo accolgono con solidarietà e affetto.
In uno straordinario finale il film si chiude con il suono di un campanello. È l'angelo custode che, compiuta la missione, ha ottenuto le ali, diventando angelo di prima categoria.

La vita è meravigliosa, oltre ad essere una bella favola che incarna lo spirito natalizio, è anche un messaggio sociale che contiene un pensiero etico. Emblematica è la frase dell’angelo Clarence: «Strano, vero? La vita di un uomo è legata a tante altre vite. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto.»

Buone feste a tutti gli associati!


FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Quindicesima edizione
dal 15 al 25 ottobre 2020

 

L’immagine ufficiale della quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è quella di due grandi icone della settima arte: Sidney Poitier e Paul Newman. La foto è stata scattata sul set di “Paris Blues” di Martin Ritt (1961), film candidato all’Oscar per la migliore colonna sonora firmata da Duke Ellington. Lo scatto rappresenta i due attori in un momento di condivisione di esperienze, di gioia, di complicità, espressione del valore della collaborazione umana e artistica, simbolo della Festa del Cinema 2020.

“Soul”, il nuovo lungometraggio d’animazione Disney e Pixar, sarà il film d’apertura di RomaFF15. Diretto da Pete Docter (due premi Oscar per “Up” e “Inside Out”) racconta la storia di Joe Gardner, un insegnante di musica di scuola media a cui si presenta l'occasione che aspetta da una vita, suonare nel migliore jazz club della città. Mentre “Cosa sarà” di Francesco Bruni verrà programmato come film di chiusura della manifestazione. Il protagonista (Kim Rossi Stuart) è Bruno Salvati che si trova in un momento difficile della sua vita. L’aiuto inaspettato dei suoi familiari insegnerà all’uomo il valore della collaborazione e degli affetti più cari.

Quest’anno i red carpet della Festa saranno accompagnati dalle meravigliose musiche di Ennio Morricone. Un omaggio al Maestro che tanto ha donato al cinema e alla musica leggera, con le sue colonne sonore e gli arrangiamenti di canzoni indimenticabili quali “Se telefonando”, Sapore di mare”, “Il mondo”, “Abbronzatissima”.

Il Direttore Artistico di RomaFF15, Antonio Monda, in conferenza stampa, ha presentato questa edizione della Festa del Cinema come «una Festa diversa da tutte le altre». Ma in un momento così difficile per tutto il mondo ritiene giusto guardare avanti, anche se con molte incertezze. Il programma dell’evento è comunque ottimo, con grande cautela e rispetto per questa grave emergenza sanitaria.

LONTANO LONTANO
di Gianni Di Gregorio

Il titolo inizialmente doveva essere “Cittadini del Mondo”. Il film è stato proiettato in anteprima alla 37ma edizione del Torino Film Festival, con un particolare omaggio all’attore Ennio Fantastichini, scomparso subito dopo la conclusione del film. Girato a Roma nell’estate 2018, è approdato nelle sale cinematografiche italiane solo nel febbraio 2020.
Commedia dolce-amara, questa di Gianni Di Gregorio, che conferma il suo stile delicato, garbato, di grande umanità (Pranzo di Ferragosto del 2008. Gianni e le donne del 2011 e Buoni a nulla del 2014). Lontano Lontano racconta la storia di una categoria di persone, quella degli anziani, spesso trascurata dal cinema italiano.
Attilio (Ennio Fantastichini), il Professore (Gianni Di Gregorio) e Giorgetto (Giorgio Colangeli) sono tre settantenni che faticano a vivere con le loro magre pensioni. Le loro giornate trascorrono, tra indolenza e pigrizia, ma anche sarcastica ironia e grandi slanci vitali, in una Roma trasteverina, afosa ma incantevole, con i suoi vicoli, le sue piazze e i suoi scorci più suggestivi. I tre amici decidono di cambiare la loro esistenza noiosa, senza scopo e di trasferirsi in un Paese in cui la vita costi meno, ci siano da pagare meno tasse ed offra loro un minimo di avventura. La decisione è presa, la località prescelta sono le Azzorre. I tre seguono un corso di portoghese e raccolgono i soldi per il viaggio, vendendo le poche cose che possiedono. Tutto è pronto per la partenza, ma qualcosa di inderogabile, solidale, profondamente generoso, impedisce ai tre pensionati di realizzare il loro progetto.
Il regista ha commentato il suo film affermando che questa storia è un pretesto per raccontare le persone semplici, ma ancora cariche della dignità umana, della tolleranza, del riconoscimento del diverso, di cui ogni tanto ci dimentichiamo.

P.S. Nel film in un piccolo, delizioso cameo ritroviamo il nostro vice presidente Matteo Maglia, che interpreta se stesso nella parte di un esperto di libri antichi.

VOLEVO NASCONDERMI
di Giorgio Diritti

“Volevo nascondermi… ero un uomo emarginato, un bambino solo, un matto da manicomio, ma volevo essere amato”

Giorgio Diritti, attraverso l’intensissima interpretazione di Elio Germano, ci racconta la drammatica vita del pittore naïf Antonio “Toni” Ligabue.
Toni, figlio naturale di un’emigrante italiana, nasce a fine Ottocento a Zurigo. Preso in affido da una famiglia indigente di contadini svizzero-tedeschi, trascorre un’infanzia e un’adolescenza difficile. A causa del suo carattere, a volte aggressivo, viene espulso appena ventenne dalla Svizzera e trasferito in Italia a Gualtieri, località emiliana di cui è originario l’odiato patrigno, Bonfiglio Laccabue. Toni in Italia è uno straniero chiamato “El Tudesc”, che non conosce la lingua, è solo, deriso per il suo aspetto deforme, soffre il freddo, la fame e soprattutto una grande solitudine. I suoi comportamenti, le sue angosce, la sua diversità lo portano ad essere internato più volte in un Ospedale Psichiatrico. Toni è qui che inizia a dipingere. Dipinge se stesso, riaffermando la sua esistenza negata fin dall’infanzia. È del 1928 l’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati che lo stimola a comunicare il suo incredibile talento attraverso la pittura. Negli anni Cinquanta le opere di Ligabue, dipinti e sculture, vengono notate dai critici d’arte e Toni raggiunge presto fama e benessere.
La sua sofferenza, il suo disagio esistenziale si esprimono in scene spesso cruente di predazione, i colori sono accesi, acidi, anch’essi aggressivi. La ricerca di se stesso si rivela nei trecento autoritratti, il suo volto, con piccoli mutamenti di espressione ad ogni opera, i suoi occhi rivolti all’osservatore, interrogano, chiedono ascolto, implorano un segno d’affetto e ribadiscono la sua ossessiva affermazione di se.
In una tra le prime scene del film l’artista partecipa, nel borgo che lo ospita, ad una piccola fiera di paese. Assistiamo alla sua meravigliosa curiosità. Toni Ligabue - Elio Germano parla poco, ma comunica i suoi sentimenti attraverso lo sguardo, la mimica facciale, l’andatura. Germano “è” Ligabue, la sua interpretazione è vera ed emozionante.
I membri della Giuria Internazionale del 70° Festival del Cinema di Berlino (20 febbraio – 1° marzo 2020) hanno conferito a Elio Germano il prestigioso Orso d’Argento come miglior attore con questa motivazione: “Per il suo straordinario lavoro nel catturare sia la follia esteriore che la vita interiore dell’artista Toni Ligabue”.
Giorgio Diritti nelle sue note di regia scrive: “Il percorso della storia di Toni Ligabue offre un’importante riflessione sul valore della diversità. Ogni persona ha una specificità preziosa che, al di là delle apparenze, può essere un dono per l’intera collettività.”

 

SONO SOLO FANTASMI
di Christian De Sica

Un genere completamente nuovo per l’Italia: la “horror comedy”. Sono solo fantasmi di Christian De Sica tenta una strada molto impegnativa, trovare i giusti toni per unire insieme la capacità di mettere paura con quella di far ridere.
Nicola Guaglianone, coautore del soggetto, afferma che sono partiti da un omaggio all’americano Ghostbuster del 1984 di Ivan Reitman per rivisitarlo nell’immaginario italiano e nelle superstizioni tipiche napoletane. Dunque Sono solo fantasmi è una commedia di genere horror in cui ci sono elementi caratteristici della commedia italiana.
Thomas (Christian De Sica) mago romano in bolletta e Carlo (Carlo Buccirosso), napoletano sottomesso a moglie e suocero settentrionali, sono due fratellastri che si incontrano dopo anni a Napoli per la morte del padre Vittorio, giocatore incallito e donnaiolo. Scoprono di avere un terzo fratello, Ugo (Gian Marco Tognazzi) apparentemente un po’ tonto, ma in realtà un piccolo genio. A causa dei debiti paterni, l’eredità da loro agognata non esiste. I tre hanno un’idea: sfruttare la superstizione e la credulità napoletana improvvisandosi acchiappafantasmi...
Il vero nucleo del film è costituito dalla tradizione cinematografica italiana. Non a caso il padre dei protagonisti si chiama Vittorio. Vittorio De Sica e i suoi film, la sua Napoli, sono rievocati con forte empatia e credibilità. Vittorio De Sica, padre di Christian, ma anche padre del Neorealismo, è stato artefice del passaggio dal “Neorealismo rosa” alla vera “Commedia all’italiana”.
Sono solo fantasmi è insieme commedia degli equivoci e dramma napoletano, con guizzi originali nell’horror-thriller.
Nelle scene horror la regia è stata curata da Brando De Sica.

 

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Quattordicesima edizione/17/27 ottobre 2019

La protagonista dell’immagine ufficiale della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è la prima grande diva della storia del cinema: GRETA GARBO. Fu definita “divina” per la perfezione dei lineamenti e il fascino misterioso. Negli anni Venti si impose come icona di bellezza e di carisma in tutto il mondo attraverso la settima arte. Il manifesto che rappresenta l’evento del 2019 è tratto da uno scatto realizzato durante le riprese del film “Il Bacio” (The Kiss) del 1929.
La Selezione Ufficiale della Festa del Cinema ospita 33 film nell’intento, secondo il direttore artistico Antonio Monda, di offrire sia qualità che eccellenza in tutte le espressioni cinematografiche. Cinema indipendente, di genere, autori affermati, registi emergenti, animazione e documentari, Incontri Ravvicinati con autori e attori italiani ed internazionali, Retrospettive ed omaggi comporranno il programma della manifestazione. Sono stati realizzati due nuovi format: Duel e Fedeltà/Tradimenti e naturalmente Alice nella Città organizzerà una rassegna di film per ragazzi.
Il Premio alla Carriera quest’anno andrà a Bill Murray, uno degli attori più anticonvenzionali e amati dal cinema  americano e a Viola Davis, Oscar come miglior attrice non protagonista nel 2017 in “Barriere” di Denzel Washington. Martin Scorsese, premiato alla Carriera lo scorso anno, ha scelto Roma e la Festa del Cinema per presentare il film più atteso dell’anno “The Irishman”. Mentre il magnifico noir “Motherless Brooklyn” (I segreti di una città) di Edward Norton aprirà la kermesse.
Nella Selezione Ufficiale sono proposte opere italiane diversissime tra loro e sarà il film di Cristina Comencini “Tornare” a chiudere la Festa.
Infine tra i numerosi Incontri Ravvicinati ripercorrerà le tappe della sua carriera John Travolta.
La quantità e la qualità della partecipazione di star nazionali e internazionali, ha affermato Antonio Monda, sono l’ennesima prova del fatto che gli attori partecipano alla Festa, non solo per il red carpet o la prima di un film,  ma per condividere con gli spettatori il loro amore per il cinema.

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Quattordicesima edizione/17/27 ottobre 2019
Conclusioni

Tornare” di Cristina Comencini è stato il film di chiusura della Festa del Cinema di Roma 2019. Sul Red Carpet hanno sfilato la cineasta romana e la protagonista del film Giovanna Mezzogiorno. Il lungometraggio è un viaggio nell’inconscio e un viaggio nel tempo, i ricordi si sovrappongono, il passato, il presente e il futuro sono tra loro intrecciati. “Tornare” è decisamente un film coraggioso e di grande fascino.
Sorprendente è stata la votazione degli spettatori sui film in programma nelle Selezione Ufficiale per il “Premio del Pubblico BNL”, la scelta è caduta su “Santa Subito” di Alessandro Piva. Il docufilm racconta la storia di Santa Scorese che la sera del 15 marzo del 1991, al rientro a casa, viene uccisa dal suo persecutore, quando ancora la società dell’epoca non era preparata ad affrontare reati di genere e lo stalking. Il regista sostiene che quello di Santa è «un paradigma di troppe altre storie dallo stesso finale: il mio piccolo, personale appello affinché le donne siano lasciate meno sole, quando si ritrovano in balia di una psicosi travestita da amore».
Durante gli Incontri Ravvicinati il pubblico della Festa ha potuto dialogare con il regista e critico parigino dei “Cahiers du Cinéma” Olivier Assayas, che ha approfondito i temi della Nouvelle Vague e di come quest’ultima ha cambiato il cinema francese. Tra gli altri numerosi Incontri, Bernard Tavernier, cineasta, sceneggiatore e critico cinematografico, profondo conoscitore del cinema americano, ha incantato il pubblico e i giornalisti disquisendo sul cinema di Renoir, Bresson e Clouzot.
È approdato alla 14.ma Festa del Cinema di Roma il nuovo attesissimo film di Martin Scorsese: “The Irishman”. Il grande regista statunitense filma una saga epica sulla criminalità organizzata nell’America del dopoguerra. La storia è raccontata attraverso gli occhi di Frank Sheeran, veterano della Seconda Guerra Mondiale, sicario che ha lavorato per le più importanti figure del XX secolo. “The Irishman” è tratto dall’omonimo libro di Charles Brandt, basato su uno dei più grandi misteri irrisolti della storia americana: la scomparsa del leggendario sindacalista Jimmy Hoffa e i segreti e i meccanismi del crimine organizzato e le connessioni con la politica dell’epoca.
Per i più piccini, ma anche per chi è rimasto un po’ bambino, la sezione Alice nella Città ha presentato, tra gli altri, un lungometraggio animato eccezionale: “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, adattamento cinematografico, realizzato in animazione tradizionale, dell’omonimo e celebre romanzo per ragazzi di Dino Buzzati. Lo scrittore e illustratore lo pubblicò nel 1945, a puntate, sul Corriere dei Piccoli. Il film è diretto da Lorenzo Mattotti, uno degli illustratori e fumettisti italiani più famosi. Il cast vocale è notevolissimo, nella versione animata ci sono le voci di attori come Servillo, Albanese, Corrado Guzzanti e Andrea Camilleri che con la sua inconfondibile voce ha doppiato il personaggio del Vecchio Orso.
Lorenzo Mattotti è stato premiato per la migliore regia ad Alice nella Città 2019.

 

MARTIN EDEN
di Pietro Marcello

Martin Eden è stato presentato alla 76ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia (2019), dove Luca Marinelli ha ricevuto il prestigioso premio Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.

Il film è liberamente tratto dall’omonimo romanzo scritto da Jack London nel 1909. Pietro Marcello si confronta con un noto caposaldo della letteratura del Novecento. Il suo cinema anticonvenzionale ben si attesta sullo spirito del capolavoro di London, il cui punto focale è di denuncia sociale: coloro che hanno creduto nella cultura come strumento di emancipazione ne sono poi rimasti delusi. Ma il cineasta si rifiuta di essere fedele al contesto storico e geografico del romanzo, per raccontare la storia in un’Italia fuori dal tempo, mescolando tutte le epoche del Novecento italiano.

Martin Eden (Luca Marinelli) è un giovane marinaio coraggioso, ma di modeste origini e poco istruito. Dopo aver salvato in una rissa un giovane ragazzo dell’aristocrazia napoletana, viene invitato nella sua casa. Qui conosce la sorella Elena Orsini (Jessica Cressy), giovane colta e ricca, se ne innamora e decide di raggiungerla socialmente iniziando la sua scalata culturale. Martin, grazie alla sua forte volontà, inizia a scrivere, ma viene rifiutato sia dagli editori, sia dalla famiglia di Elena ed infine dalla stessa ragazza. L’incontro con Russ Brissenden (Carlo Cecchi), un vecchio intellettuale, lo porterà a conoscere e frequentare i circoli socialisti e a comprendere ogni questione politico-sociale, entrando in conflitto con il mondo borghese di Elena.

A Venezia il film ha ricevuto nove minuti di applausi. La pellicola di Pietro Marcello non ha altri modelli se non se stessa, mescola sequenze d’archivio con il nuovo girato, rappresenta conflitti sociali e forti passioni personali. Un film originale, emozionante, ambizioso.

Luca Marinelli è un eccellente Martin Eden, riesce a far vibrare il suo personaggio con tutte le sfumature della passione umana.
Le immagini filmiche sono accompagnate da un’eclettica colonna sonora: si alternano “Voglie Turnà” di Teresa De Sio, “Piccerè” di Daniele Pace, con le musiche di Debussy. Un mix sonoro coinvolgente che accompagna immagini del presente e del passato caratterizzanti la pellicola di Pietro Marcello.

Il film è stato selezionato per la candidatura all’Oscar come miglior film straniero.





CAPTIVE STATE
Rupert Wyatt

“Captive State” è un film di fantascienza: più che una storia di invasione aliena è una storia di “occupazione” aliena.
Il regista Rupert Wyatt, per questo soggetto originale, ha preso spunto da ciò che sta accadendo oggi nel mondo dal punto di vista politico, sociale e ambientale, immaginando una situazione in cui le libertà civili sono state negate e la tecnologia è decisamente regredita.
“Temi i greci che portano i doni” è la battuta che si scambiano due personaggi nel film, è un riferimento all’Iliade di Omero, un riferimento sottile che rimanda al Cavallo di Troia, uno stratagemma di Ulisse che permise ai greci di vincere la lunghissima guerra di Troia. Capiremo solo alla fine del film il significato nascosto nella frase premonitrice.
“Captive State” è ambientato nel 2025, nove anni dopo l’invasione aliena. Chicago è ormai una città in rovina, la popolazione è governata da extraterrestri che vivono sottoterra nella “zona chiusa”, un’area immensa simile al muro di Berlino o alla Green Zone irachena. Vige un regime totalitario che controlla le libertà civili fondamentali e l’esistenza stessa delle persone. Gli invasori hanno reso inutilizzabili tutte le apparecchiature elettroniche e digitali, rendendo impossibile all’umanità ogni comunicazione. Gli umani si sono arresi al potere alieno, la polizia e il governo collaborano con loro, permettendo ai conquistatori i saccheggi di risorse naturali della Terra, che sta tornando a un nuovo Medioevo, avviandosi inevitabilmente verso l’estinzione.
Wyatt racconta la storia attraverso gli occhi di due fratelli, il maggiore, scomparso misteriosamente, fa parte di un piccolo gruppo di dissidenti rivoltosi che combattono e tentano di fermare il potere alieno.
Personaggi chiave del film sono il poliziotto William Mulligan (un magnifico John Goodman) che lavora nell’ombra per la dittatura aliena e Jane Doe (Vera Farmiga) prostituta colta e coraggiosa.
Il regista segue ogni singolo personaggio della pellicola realizzando una storia simile ad una grande ragnatela, ogni singolo legame rappresenta un filo, assume un significato.
“Captive State” è un film di fantascienza dove li alieni sono, nelle immagini, solo marginali, costante è invece una sensazione di oppressione che rimanda alla storia di ogni dittatura, di ogni occupazione, di ogni tentativo di repressione della libertà.
La suspance, la tensione e l’epilogo imprevedibile della storia sono magistralmente sottolineati dalla straordinaria colonna sonora di stampo elettronico composta da Rob Simonsen.





A PRIVATE WAR
di Matthew Heineman

Il biopic “A Private War” racconta la vera storia di Marie Colvin (interpretata da una straordinaria Rosamund Pike), reporter di guerra per il britannico Sunday Times, dal 1985 fino alla sua morte nel 2012.
Colvin aveva visto da vicino e documentato la guerra in Cecenia, in Kosovo, gli scontri armati in Sierra Leone e in Sri Lanka e intervistato alcuni leader mondiali. Sua era stata la prima intervista a Gheddafi, dopo l’inizio della Primavera Araba nel 2011.
Colvin ha salvato la vita a migliaia di persone e ha vinto qualsiasi premio giornalistico.
Non descriveva solo gli orrori delle guerre, ma costringeva tutto l’Occidente a rispondere delle sue responsabilità.
Per Marie Colvin il mestiere di giornalista era sacro: «il nostro ruolo è quello di dire sempre la verità, anche in faccia al potere». Diceva ancora: «le persone di cui parlo non sono solo numeri, voglio raccontare le loro storie, tutte quante, una per una». La sua era una “guerra privata”, una missione nei confronti dei “senza voce”.
Mattew Heineman nel suo biopic ci propone di vedere la guerra come la vedeva Marie Colvin: gli effetti devastanti su persone del tutto innocenti. Gli stessi effetti psicologici della guerra subiti dalla reporter, vittima di una sindrome post traumatica, che la costringeva a rivedere continuamente gli orrori della guerra, moltiplicando le immagini ad ogni nuovo conflitto.
Ma per l’inviato di guerra il conflitto bellico è come una droga e la Colvin decideva sempre di tornare in prima linea, pur essendo consapevole di correre rischi mortali. «Ti ritrovi in posti dove sai che puoi essere ucciso, o qualcuno può essere ucciso».
Nello Sri Lanka (2001) Marie Colvin perderà un occhio, colpita dalle schegge di una bomba. Lo coprirà con una benda nera da pirata e diventerà il look di una donna forte, pronta alla battaglia, di una donna che è diventata leggenda.
Marie Colvin è morta all’età di 56 anni il 22 febbraio 2012 a Homs in Siria, insieme al suo fotografo di fiducia Rémi Ochlik, durante un’offensiva dell’esercito locale nei confronti dei civili.
In questo scenario apocalittico Heineman rappresenta sullo schermo, con indubbia maestria, il terrore dei bombardamenti, l’insistere del rumore delle bombe, l’angoscia, la mancanza di cibo, di medicinali, infine l’orrore e la morte.
Il film di Heineman è il fedele adattamento cinematografico dell’articolo “Marie Colvin’s Private War”, uscito nel 2012 su Vanity Fair, scritto da Marie Brenner.
Per la colonna sonora Annie Lennox ha composto e cantato il suo nuovo brano “Requiem for a Private War”, candidato ai Golden Globe 2019.





FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Tredicesima edizione
18/28 ottobre 2018

La Festa del Cinema 2018 si apre nel segno del “noir”. Esplicativo il suo poster ufficiale: Peter Sellers ritratto nei panni del suo personaggio più conosciuto, l’ispettore Jacques Clouseau, protagonista della fortunata serie La Pantera Rosa. Nell’immagine ufficiale della Festa il celebre fotografo Terry O’Neill ha colto tutta l’ironia dell’attore nell’impersonare il famoso ispettore, realizzando una foto di grande impatto visivo. Il poliedrico attore britannico sarà inoltre il protagonista di una retrospettiva a cura di Mario Sesti.
Per la quarta volta il Direttore Artistico Antonio Monda, fuori dagli schemi del concorso, ha organizzato con il suo staff una kermesse cinematografica per un pubblico vario e trasversale.
La selezione dei film è di grande qualità, internazionale. Un’importante major hollywoodiana ha scelto la Festa per lanciare in prima mondiale Millennium: Quello che non uccide. I due Premi alla Carriera andranno a Isabelle Huppert e a Martin Scorsese. L’attrice australiana, due volte Premio Oscar, Cate Blanchett sarà la protagonista di un Incontro Ravvicinato con il pubblico, in cui racconterà la sua vita di artista, ma illustrerà anche la sua attività quotidiana nell’ambito di iniziative sociali e ambientaliste. Altro Incontro Ravvicinato sarà dedicato all’affascinante attrice newyorkese Sigourney Weaver, ricordata nell’immaginario collettivo per il suo ruolo da protagonista in Alien. Ancora due donne di talento, le due sorelle Alba e Alice Rohrwacher, la prima attrice, la seconda regista e sceneggiatrice, per un Incontro Ravvicinato che chiuderà l’evento.
È necessario e imprescindibile che il cinema sia anche testimonianza e soprattutto memoria, dunque alla Festa si proietteranno tre documentari inediti sull’Olocausto e dediche a temi forti come il razzismo e la giustizia.
I Film della Vita e le Sigle che precederanno le pellicole saranno dedicate al “noir”. Bad Times at the El Royale è il lungometraggio, appartenente a questo genere, scelto per l’apertura della Festa del Cinema.
Ancora una volta l’Auditorium Parco della Musica sarà il magnifico scenario della manifestazione, ospitando proiezioni, incontri, eventi, mostre, concerti, convegni e dibattiti. Ma Roma tutta sarà coinvolta in altri luoghi e realtà culturali.

FESTA DEL CINEMA DI ROMA
Tredicesima edizione/18 - 28 ottobre 2018
CONCLUSIONI

Con le dieci giornate della Festa del Cinema di Roma 2018 è stata onorata appieno la Settima Arte, quella che ha il merito di concretizzare un rapporto simbiotico di dialogo e coinvolgimento con il pubblico. I film selezionali sono stati di alta qualità e massimo interesse. Ne citerò soltanto alcuni dei tanti da me visionati.
In apertura, alla Festa, è stata presentata una pellicola per la regia di Drew Goddard: “Bad Times at the El Royale”. Sette estranei, con un passato da nascondere, si incontrano nel fatiscente hotel El Royale a Lake Taoe, al confine tra California e Nevada. Il film è ambientato nel 1969 e il regista lo ha definito «la mia lettera d’amore per il cinema e la letteratura noir di quegli anni.» Lungometraggio molto godibile che mescola elementi di commedia e di thriller, con un cast di alto livello da Dakota Johnson a Chris Hemsworth, dal premio Oscar Jeff Bridges alla talentuosa cantante Cynthia Erivo.
Cate Blanchett, presente alla festa per gli Incontri Ravvicinati, è la coprotagonista de “Il Mistero della Casa del Tempo”, film di Eli Roth che racconta la magica avventura di un ragazzino di dieci anni. La storia è tratta dal famoso mistery per ragazzi “La pendola magica” di John Bellairs.
Il premio del pubblico BNL di Roma FF13 è stato vinto dal lungometraggio struggente “Il vizio della speranza” di Edoardo De Angelis. Castel Volturno, non lontano da Napoli, è un luogo fatiscente e rifugio degli ultimi. Maria (Pina Turco) trascorre, lungo il fiume, la sua esistenza senza sogni, senza desideri; si prende cura della madre (Cristina Donadio) ed è al servizio di una cinica donna ingioiellata (Marina Confalone). La giovane donna traghetta sul fiume donne incinte, donne disperate che vendono i propri figli. Sempre in compagnia del suo fedele pitbull, Maria non ha futuro. Ma quando tutto sembra perduto, la speranza si affaccia nella sua triste vita. “Il vizio della speranza” è un film potente, crudo, feroce, accompagnato dalla meravigliosa musica di Enzo Avitabile: suoni tribali africani si alternano a ballate napoletane. La colonna sonora scava dentro le immagini e conduce lo spettatore verso la miracolosa rinascita della giovane donna.
Con “The Old Man and The Gun” di David Lowery il mitico Robert Redford ha dato l’addio alla carriera di attore. Per il suo ultimo ruolo Redford ha scelto di impersonare Forrest Tucker, criminale americano famoso per aver trascorso la sua vita tra rapine in banca e rocambolesche evasioni: fuggì dal carcere ben diciotto volte. In questo film Redford fa il verso ai suoi personaggi più famosi, interpretando un bandito gentiluomo che non usa armi, non è violento, usa solo il suo indiscutibile fascino.
Ha concluso come Evento Speciale la 13.ma Festa del Cinema di Roma “Notti magiche” di Paolo Virzì. Estate 1990: la notte in cui la nazionale di calcio italiana è stata eliminata ai rigori dall’Argentina. Un noto produttore cinematografico viene ritrovato morto nelle acque del Tevere. I principali sospettati dell’omicidio sono tre giovani aspiranti sceneggiatori. “Notti magiche” è il racconto della loro avventura nell’ultima stagione gloriosa del cinema italiano. Virzì ci racconta, appassionatamente, la storia di un cinema, di un modo di fare cinema, che ormai è molto lontano. Il film è in parte autobiografico, in parte è il racconto di un’Italia e dell’immagine patinata di una Roma che non ci sono più. Il titolo dell’opera di Virzì è chiaramente una citazione della canzone ufficiale della Coppa del Mondo, cantata da Gianni Nannini e Edoardo Bennato, rimasta nel mito come “Notti magiche”.



THE OTHER SIDE OF THE WIND
di Orson Welles

L’ultimo film di Orson Welles, girato tra il 1970 e il 1976, è incompiuto ed è stato presentato, fuori concorso, alla 75ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La tematica affrontata da Welles in The “The Other Side of the Wind” è solo in apparenza antitetica rispetto a quella degli altri suoi film.
È la storia dell’ultima notte di J.J. Jacke Hannaford (John Huston), un vecchio regista intento a girare un film a basso costo, deciso a rilanciarsi, dopo un periodo di esilio in Europa, nella più importante industria cinematografica: Hollywood.

Welles si riflette in un gioco di specchi in Hannaford, in lui si analizza, tracciando un amaro bilancio del proprio percorso artistico e dei suoi fallimenti umani. Hannaford-Welles è il regista che si identifica con Dio, plasmando gli eventi, dirigendo e controllando la realtà per arrivare al finale da lui scelto.
“The Other Side of the Wind”, pur essendo un film incompiuto, è certamente materiale prezioso per cinefili e appassionati di cinema d’autore.

Peter Bogdanovich, giovane attore nel film e amico di Orson Welles, ha lavorato per anni nella sistemazione delle cento e più ore di materiale girato, senza però trovare i fondi per la produzione della pellicola. Solo due anni fa Netflix ha finanziato tale operazione.
Un omaggio a un grandissimo regista americano che aveva esordito a soli venticinque anni, nel 1941, con un’opera prima che rimane ancora oggi un vero capolavoro, pietra miliare dell’arte cinematografica: “Citizen Kane” (Quarto Potere).





THE HAPPY PRINCE
L’ultimo ritratto di Oscar Wilde
di Rupert Everett

“The Happy Prince” è un film biografico, un inedito ritratto degli ultimi disperati mesi di un genio che è stato l’uomo più famoso della Londra vittoriana, il letterato idolatrato da una società che lo ha poi condannato.
Rupert Everett, attore, regista e produttore del lungometraggio, ha dedicato anni alla causa wildiana. Aveva già interpretato Oscar Wilde in una piéce teatrale: “The Giudas Kiss” a Londra, riscuotendo critiche entusiastiche.
Oscar Wilde, autore irlandese, famoso soprattutto per il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Grey”, è rappresentato come un personaggio tragico, inviso alla società perbenista, abbandonato da tutti, tranne da quei pochi amici che gli resteranno fedeli fino alla fine. In lui c’è una ricerca disperata di redenzione e di rimorso nei confronti della moglie Constance (Emily Watson), per aver coinvolto lei e i suoi figli nello scandalo, dopo essere stato condannato alla prigione inglese a causa della sua omosessualità.
Wilde, esiliato a Parigi, povero e malato, ricorda altre epoche, altri luoghi, ricorda quando era l’uomo più famoso di Londra. Riallaccia il rapporto con il suo giovane amante Lord Alfred “Bosie” Douglas, che presto lo abbandona. Lo consola la sua grande passione: la scrittura. Racconta a due ragazzi di strada la fiaba della statua del principe felice (Happy Prince), che progressivamente si spoglia di tutto ciò che ha e che viene abbattuta insieme alla rondine che ha portato l’oro e le pietre preziose che lo rivestivano a coloro che ne avevano bisogno. Dio però chiede ad una angelo di consegnargli le cose più preziose della città: il cuore di piombo del principe e la rondine stessa. È quasi una metafora, un confrontarsi, un prepararsi alla morte imminente.
L’atmosfera ricreata nel film da Everett ha una luce crepuscolare, esterni piovosi, interni cupi e decadenti. Riferimenti pittorici (Henri de Toulouse-Lautrec e Monet) si alternano a inquadrature teatrali, care a Wilde.
La figura di Oscar Wilde è stata rivalutata nel 2017. Lo scorso anno, infatti, la Regina Elisabetta ha firmato un documento nel quale sancisce la fine di ogni forma di discriminazione per i cittadini degli Stati membri del Commowealth.



NOME DI DONNA
di Marco Tullio Giordana

Nina (Cristiana Capotondi), giovane ragazza madre, si trasferisce da Milano in un piccolo paese lombardo, dove ha trovato lavoro in una residenza per ricchi anziani. Questo mondo elegante cela però un segreto ambiguo e pericoloso. Nina lo scoprirà suo malgrado. Dovrà misurarsi con le sue colleghe ed affrontare il dirigente della struttura Marco Maria Torri (Valerio Binasco) per far valere i suoi diritti, la sua dignità.
Marco Tullio Giordana, regista di film come “La meglio gioventu” e “I cento passi”, esamina in “Nome di donna” il mai risolto problema delle molestie sul luogo di lavoro. Giordana indaga sulle conseguenze che una giovane donna affronta nel rivelare e denunciare una prevaricazione che lede la sua integrità fisica e morale. Nina soffre la solitudine, la mancanza di solidarietà delle altre donne che hanno subito la stessa sopraffazione, l’accusa di aver provocato l’occasione. Lei stessa ha paura di non farcela, ma è caparbia e determinata.
Il soggetto e la sceneggiatura sono di Cristiana Mainardi, che ha affermato di voler rappresentare in “Nome di donna” diversi gradi della sensibilità femminile, dunque personaggi con modi differenti di affrontare o rimuovere il problema, ciascuna con una percezione diversa e una personale soglia di tolleranza.



MADE IN ITALY
di Luciano Ligabue

Luciano Ligabue torna alla regia, a distanza di sedici anni dal suo secondo film “Da zero a dieci” del 2001; il suo debutto nel cinema era avvenuto con il lungometraggio “Radio Freccia” nel 1998, grande successo di pubblico e critica, già dal 2006 nell’Archivio cinematografico permanente del MOMA di New York.
Con “Made in Italy” Ligabue dichiara il suo amore frustrato verso il nostro Paese e lo fa anche attraverso la colonna sonora inserendo alcuni suoi brani inediti (“Made in Italy” è anche il titolo del suo più recente album).
Lo sguardo è quello di Riko (Stefano Accorsi), un uomo onesto che sente sfuggire la sua vita, tutto diventa precario: il lavoro, il futuro, i sentimenti. Ma Riko decide di lottare, di prendere in mano il suo destino. Vuole difendere e riconquistare il suo matrimonio, con lui ci sono gli amici sui quali può contare e, dopo tutto, un lavoro si può trovare anche all’estero.
Ligabue commenta: “Siamo tutti consapevoli che il cambiamento fa paura. Ma il cambiamento è un movimento naturale della vita, cambia il nostro modo di guardare le cose, più che gli eventi, è come noi reagiamo ad essi a produrre la nostra realtà”.
L’ispirazione per la storia di Riko è nata in Ligabue dalla sua straordinaria canzone “Non ho che te”:
L’inferno è solamente una questione temporale
A un certo punto arriva punto e basta
A un certo punto anch’io uso l’ingresso principale
E hanno detto avete perso il posto
È vero il mio lavoro è sempre stato infame
Ma l’ho chiamato sempre il mio lavoro…



IL PREMIO
di Alessandro Gassmann

Alessandro Gassmann, regista e attore, ne “Il Premio”, affronta l’essenza della genialità che, molto spesso, porta con sé i problemi della diversità. Il film è un roadmovie, è il viaggio di una famiglia per molti aspetti “diversa”.
Giovanni Passamonte (Gigi Proietti) è un anziano scrittore di fama internazionale, ha avuto molte mogli e molti figli ed è diventato un uomo cinico ed egocentrico. Quando gli comunicano che ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura decide di raggiungere Stoccolma in auto; lo accompagnano Rinaldo (Rocco Papaleo) suo assistente con Oreste (Alessandro Gassmann) e Lucrezia (Anna Foglietta), due dei suoi tanti figli sparsi per il mondo. Il lungo viaggio sarà pieno di incontri e di imprevisti, ma servirà finalmente a conoscersi e a cambiare il percorso delle loro vite.
Il grande Vittorio Gassmann - racconta il figlio – diceva spesso che, se avesse voluto, avrebbe potuto accettare tutti i premi alla carriera che gli offrivano e che avrebbe potuto girare il mondo, dormendo e mangiando gratis per tre anni, ma quei viaggi non li fece mai.
Questo è lo spunto da cui parte il film.
“Il Premio” diverte e commuove, gli attori sono tutti eccellenti, i duetti tra Gigi Proietti e Rocco Papaleo sono arguti e ben ritmati.
Alessandro Gassmann riesce a generare emozioni: questa è, per lui, la funzione primaria del cinema e del teatro.





QUANDO UN PADRE
di Mark Williams

Mark Williams, alla sua prima prova da regista, realizza un lungometraggio apparentemente solo in grado di far provare emozioni, di commuovere. In realtà quello che può sembrare a prima vista banale, un déjà vu, ci racconta qualcosa di più, ci dà motivo di riflessione.
Dane Jensen (Gerard Butler) è uno spregiudicato “cacciatore di teste”, un selezionatore di personale presso un’agenzia di collocamento di Chicago. L’uomo è completamente assorto nel lavoro, convinto in questo modo di dare alla sua famiglia il miglior tenore di vita possibile. In realtà si allontana sempre più dai suoi figli e da sua moglie (Gretchen Moll). Ma quando a suo figlio Ryan viene diagnosticata un’aggressiva forma di leucemia, Dane capisce che la sua famiglia ha bisogno di lui. Una lotta interiore attanaglia l’uomo. Ora deve sacrificare il lavoro per imparare a fare il padre. Le sue priorità sono cambiate. Il confronto con un maturo ingegnere (Alfred Molina) da ricollocare, che ha messo sempre davanti a tutto gli interessi della sua famiglia, lo farà riflettere. Così come le avveniristiche architetture dei palazzi di Chicago, che suo figlio Ryan sogna di progettare da grande, toccheranno profondamente la sua sensibilità.
Il lungometraggio di Mark Williams ricorda i film di una volta: semplice, essenziale, classico, elegante. Racconta un dramma famigliare in cui lo spettatore può identificarsi nel protagonista. Quando un padre non è mai banale, commuove onestamente nel raccontare avvenimenti di vita quotidiana, emoziona nel ricostruire un rapporto padre-figlio e nel rappresentare la forza di una famiglia unita.


BEATA IGNORANZA
di Massimiliano Bruno

È il tema del cambiamento dei rapporti umani nell’era di Internet quello affrontato in “Beata Ignoranza” dal regista Massimiliano Bruno.
Ernesto (Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gasmann) sono due professori di liceo con due personalità agli antipodi. Ernesto è un conservatore, tradizionalista nell’insegnamento, rigorosamente fuori della rete: non possiede un computer, il suo Nokia è del ’95. Filippo è un progressista sempre collegato al web, grande seduttore sui social network, ha creato un app per i suoi studenti al fine di rendere più facili le soluzioni matematiche.
Un tempo erano grandi amici, ma si sono allontanati a causa di un dissidio profondo ed ora si ritrovano ad insegnare nella stessa classe. Inevitabilmente gli scontri fra loro sono numerosi. Ma una ragazza, Nina (Teresa Romagnoli), tornata dal loro passato, li costringerà a sfidarsi: Filippo lascerà la rete, Ernesto proverà ad entrarci dentro. I due professori invaderanno l’uno la vita dell’altro per dimostrare la correttezza del loro pensiero. Arriveranno alla conclusione necessaria per trovare un giusto equilibrio tra la coscienza globale della rete e l’indifferenza di chi oppone resistenza all’epoca digitale.
Massimiliano Bruno afferma che il suo film si chiede, ci chiede: “vi sentite meglio on line oppure off line? Chi siete veramente? Voi stessi o il vostro alter ego? Stimate di più le vostre sconfitte reali o i vostri successi virtuali?”


SULLY
di Clint Eastwood

Clint Eastwood torna alla regia con un film che narra la vera storia di un eroe americano.
Il 15 gennaio 2009 Chesley Sullemberger, detto Sully, alla guida di un Airbus della US AIRWAIS decolla dall’aeroporto di La Guardia (NY) con 155 passeggeri a bordo, più l’equipaggio. Dopo pochi minuti uno stormo di uccelli impatta sui motori dell’aereo, mettendoli fuori uso. Sully deve prendere una decisione immediata. È impossibile raggiungere il più vicino aeroporto, è impossibile tornare indietro. Istintivamente il pilota tenta un rischioso ammaraggio sulle acque gelide del fiume Hudson. La manovra riesce e tutti sono salvi. Sullemberger è acclamato dalla gente e dai media come un eroe.
Sebbene l’operazione sia stata un successo, Sully, pilota di dimostrata esperienza, viene sottoposto ad uno scrupoloso processo da parte delle autorità aeronautiche. Nonostante la pressione delle compagnie assicurative, non riusciranno a dimostrare l’imperizia del pilota, ma verrà confermato che la manovra scelta era l’unica possibile per salvare i passeggeri.
Tom Hanks (Sully) incarna il “fattore umano” di fronte alla commissione d’inchiesta. È l’uomo e dunque l’eroe che, attraverso la sua esperienza, decide, nobile nel suo lavoro, attraverso le conoscenze professionali acquisite.
Eastwood, girando il film con la tecnologia IMAX, immerge lo spettatore nel pieno dell’azione, lo cala nella cabina di pilotaggio e nel silenzio e nelle turbolenze dopo l’esplosione dei motori.
Ma il merito del regista è soprattutto quello di non aver banalizzato l’eroe, seguendolo e narrando l’uomo di fronte al suo atto, alle ripercussioni di quest’ultimo, alla sua dimensione umana: Sully vuole tornare alla normalità, vuole dimenticare, vuole cacciar via i brutti pensieri.
La storia è appassionante, il ritmo incalzante.
Tom Hanks ci offre una grande interpretazione, affiancato da un ottimo Aaron Eckahart nei panni dell’assistente pilota.
Emozionante, alla fine del film, la testimonianza dei veri personaggi della storia.


FLORENCE FOSTER JENKINS (Florence)
di Stephen Frears

L’attrice americana Meryl Streep, già vincitrice di tre premi Oscar e diciannove nomination, ha presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma il nuovo film in cui è assoluta protagonista: FLORENCE FOSTER JENKINS.
La storia di Florence è la vera storia di una cantante d’opera, ereditiera ed esponente dell’alta società newyorkese, vissuta negli anni Quaranta e divenuta famosa per le sue scarse doti canore.
“Quella che Florence considerava una voce meravigliosa era ridicola per chiunque l’ascoltasse”.
Malgrado i suoi limiti realizzò il suo sogno. Con l’aiuto di suo marito, nonché manager, St. Clair Bayfield (Hugh Grant) e del talentuoso pianista Cosmé McMoon (Simon Helberg), riuscì ad esibirsi nel tempio della musica alla Carnagie Hall di New York.
Meryl Streep, nei panni di una Florence convinta delle sue qualità canore, non rende mai caricaturale il suo personaggio, bensì ne coglie il lato umano, la forza e l’ottimismo.
Il film diretto da Stephen Frears è un film raffinato, intelligente, moderatamente sarcastico.
La Streep affiancata da uno straordinario Hugh Grant (marito desideroso di non infrangere il sogno di Florence) offrono la miglior prova della loro arte recitativa.
Il lungometraggio di Frears denuncia il potere della critica e dei media compiacenti che tradiscono il pubblico scrivendo di una realtà illusoria. Ma in opposto ci illumina sul potere dei sogni, sull’amore e sulla volontà protettiva, sentimenti che aiutano a vivere e a sperare.
Indimenticabile una frase di Florence che, forse ignara della sua ridicolaggine canora, ma mossa da una passione sincera, afferma: “La gente può anche dire che non so cantare, ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato”.


MONEY MONSTER – L’ALTRA FACCIA DEL DENARO
Di Jodie Foster

“Il mondo del denaro è ormai fuori controllo. Quando le cose vanno male, non si capisce esattamente cosa sia successo, ma a pagarne le conseguenze è la gente comune”. Così commenta George Clooney, protagonista di “Money Monster”, il film presentato con successo al recente Festival del Cinema di Cannes.
La storia, un thriller adrenalinico, si dipana in tempo reale. Lee Gates (Clooney) è un noto broker e famoso presentatore della trasmissione televisiva “Money Monster”, in cui suggerisce ai telespettatori investimenti finanziari “sicuri”. Lo affianca la produttrice del programma Patty Fenn (Julia Roberts), che tiene in mano le redini del programma e parla nell’auricolare di Lee, suggerendogli cosa dire e fare in ogni attimo della trasmissione. Improvvisamente nello studio televisivo irrompe un uomo, Kyle Budwell (Jack O’Connell), che ha perso i soldi del suo investimento suggerito nel programma da Lee Gates, così come moltissimi altri telespettatori. Kyle sequestra Lee con le armi in pugno, vuole sapere le ragioni del crollo dei titoli da lui comprati in borsa. Lee e Patty, durante la diretta televisiva seguita da milioni di persone, sono costretti a lottare contro il tempo e la paura per trovare risposte ad una cospirazione nel mercato dell’alta tecnologia globale, che si muove alla velocità della luce.
A questo punto lo show televisivo si trasforma in qualcos’altro: melodramma, sofferenza, terrore; mentre intorno allo studio convergono i reparti speciali, i tiratori scelti e gli elicotteri delle forze dell’ordine.
Alla sua quarta esperienza dietro la macchina da presa, la talentuosa Jodie Foster afferma: “Ho messo nel mio Money Monster tutti gli ingredienti del cinema d’intrattenimento. Il cuore del film, però, è un altro: il fallimento dei protagonisti, che si ostinano a misurare in denaro il proprio valore e quello degli altri”.


ZONA D’OMBRA (CONCUSSION)
di Peter Landesman

È una storia vera che ripercorre il difficile cammino del brillante neuropatologo forense Bennet Omalu (Will Smith), immigrato negli Stati Uniti dalla Nigeria, che, dopo aver fatto un’importante scoperta nel campo della medicina, si scontra con una delle più potenti istituzioni americane.

Mike Iron Webster è stato uno dei più grandi giocatori di football dei Pittsburgh Steelers ed a soli cinquanta anni si trova sul tavolo delle autopsie del giovane patologo Omalu. Il medico intende scoprire cosa ha portato alla demenza e dunque alla morte un campione imbattibile. Omalu coraggiosamente, ostinatamente inizia una ricerca che lo porterà ad affermare che la malattia mentale di Webster è stata causata dai ripetuti, innumerevoli colpi subiti alla testa durante il gioco, che hanno provocato numerosissimi traumi cerebrali. La malattia si chiama Encefalopatia Cronica Traumatica e ben presto i suoi sintomi si presentano in altri giocatori. Una delle corporazioni più potenti d’America, la National Football League, quando Omalu, con la pubblicazione della sua scoperta, minaccia non solo i forti interessi ma la struttura stessa del gioco con la sua violenza, attacca ferocemente il medico calunniandolo, diffamandolo.

La storia del dottor Omalu è stata raccontata in un articolo del magazine “GQ” nel 2009 da Jeanne Marie Laskas, fornendo le basi per la sceneggiatura del film di Peter Landesman. Lo stesso Omalu ha commentato l’articolo: “Lei ha scritto di me come di un essere umano. Ricordo infatti che allora tutti i media parlavano di me in modo negativo. Ero l’alieno che lavorava per distruggere lo stile di vita americano. Quell’articolo ha determinato una svolta, improvvisamente la gente ha iniziato ad aprire la mente e il cuore a ciò che dicevo.”

Le corporazioni di football americane hanno tentato in ogni modo di impedire l’uscita del film “Zona d’ombra”.


OMAGGIO A ETTORE SCOLA

Tra tutti gli omaggi tributati al grande regista Ettore Scola, recentemente scomparso, il più significativo è indubbiamente la proiezione del film “Le Bal” (Ballando Ballando) all’Istituto Italiano di Cultura a Parigi. L’Italia insieme alla Francia ha voluto celebrare il rapporto intercorso, attraverso la cinematografia, tra il regista ed il pubblico francese. Il film, girato da Scola nel 1983 in una balera della periferia di Parigi, ripercorre, a passo di danza e senza dialoghi, quasi mezzo secolo di storia francese. Nel trascorrere degli anni mutano gli abiti, gli stili e gli arredi in sala, ma le persone comuni, ciascuna con i propri sentimenti e la propria vita, continuano ad incontrarsi il sabato sera per sognare… ballando.
La colonna sonora ripercorre cinquant’anni di canzoni celebri, non solo francesi, che sono il simbolo dello svolgersi di epoche diverse: dal Fronte Popolare, alla Seconda Guerra Mondiale, all’Occupazione, alla Liberazione di Parigi, al conflitto in Algeria, alle barricate del Sessantotto…
Scola, attraverso i brani musicali del film, raggiunge un vasto pubblico, permettendo loro una riflessione sulla propria vita e i grandi avvicendamenti storici e culturali.
Il desiderio del regista è quello di sperimentazione e innovazione nell’ambito cinematografico. La sua ricerca si concretizza perfettamente con “Le Bal”.

“Le Bal” di Scola nel 1984 è stato nominato all’Oscar come Miglior Film Straniero, nello stesso anno ha vinto i Premi César come Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Colonna Sonora. In Italia gli è stato assegnato il David di Donatello come Miglior Film, mentre al Festival di Berlino è stato insignito del Premio per la Miglior Regia.




TOMORROWLAND
IL MONDO DI DOMANI
Regia di Brad Bird
Produzione Disney

Il film è ispirato a “Tomorrowland”, un’attrazione creata a Disneyland, da Walt Disney nel 1955. Walt Disney era molto interessato ad un’idea di futuro e alle sue possibilità per realizzare un mondo migliore.
Casey Newton (Brittany Robertson), figlia di un ingegnere aerospaziale, è un’adolescente ottimista, avventurosa, con un debole per la NASA, portata per la tecnologia e l’astronomia. Il suo incontro con il maturo e ormai disilluso inventore Frank Walker (George Clooney) cambierà totalmente la vita di entrambi e quella del pianeta Terra. Un tempo Frank aveva avuto accesso ad un incredibile esperimento segreto che poneva le basi di un futuro migliore per tutta l’umanità. Era il 1964, Frank bambino (Thomas Robinson) arriva all’Esposizione Universale di New York, trascinando un’enorme borsa. Vuole presentare una sua invenzione, uno zaino-razzo che proietta il corpo in aria, facendolo volare (il Jet-pack). Ai suoi increduli occhi appare un immenso scenario avveniristico. La Word’s Fair, l’Expo newyorkese, copre una superficie di 2,6 chilometri quadrati di edifici e spazi pubblici, con 150 padiglioni occupati da paesi, città e industrie di tutto il mondo. Futurama delle Generals Motors è il padiglione più frequentato. In esso si potevano ammirare navette e stazioni spaziali, era stata costruita una meravigliosa città del futuro e fantascientifici prototipi di strane automobili. Frank vene respinto, lui e la sua invenzione, al desk degli inventori da un signore misterioso: David Nix (Hug Laurie), ma accolto da una bambina speciale: Athena (Raffey Cassedy) che lo conduce in una dimensione senza tempo: Tomorrowland. Quarantacinque anni dopo sarà Casey ad entrare magicamente in quel mondo fantascientifico, aiutata sempre da Athena (eternamente bambina) e da Frank, espulso molti anni prima dalla città del futuro.
Il lungometraggio di Brad Bird è un film di fantascienza che contiene in sé un messaggio socialmente e spiritualmente ambizioso: i sentimenti negativi quali il pessimismo e l’indifferenza si oppongono all’ottimismo e alla fiducia nel domani, ma solo questi ultimi conducono alla realizzazione di un mondo migliore.
Tomorrowland è anche un film di avventura, dove si alternano epoche diverse e dove convivono universi paralleli, ricco di colpi di scena e di effetti speciali straordinari. Una tra le sequenze migliori, tra le più sbalorditive, è quella della Tour Eiffel che si apre per lasciare uscire un razzo steampunk.
Sebbene sia un lungometraggio con finalità di intrattenimento, Tomorrowland invita a riflettere sulla drammatica situazione attuale del nostro pianeta e su un futuro distopico non troppo lontano, trattando l’argomento con lievità e ottimismo come si addice ad un film targato Disney.






CENERENTOLA
di Kenneth Branagh
Produzione Disney

Il regista irlandese Kenneth Branagh rielabora la favola che, nel 1950, fu il più grande successo di cinema d’animazione della Walt Disney Production.
La “nuova” Cenerentola è, nonostante gli abiti d’epoca, un’eroina dei nostri giorni, sicura di sé, fedele a sé stessa e ai suoi valori. La “vecchia” Cenerentola, bella e buona, ma fedele ad una visione conservatrice e maschilista dell’epoca, aspirava solo all’incontro con il principe e al matrimonio. Pur riportando la figura della protagonista in una dimensione attualizzata, Branagh ha comunque voluto mantenere un filo diretto con il vecchio cartoon, trasmettendo al pubblico di oggi un messaggio ancora valido di gentilezza e compassione.
Cenerentola che oggi ha finalmente un nome: Ella (Lily James), ha una sua vita felice, in una bella casa di campagna con il padre e la madre. Ella crede fortemente nei valori ereditati dalla madre: “Dove c’è gentilezza, c’è bontà e dove c’è bontà, c’è magia”. Non crede nella malvagità delle persone, non si sente vittima degli eventi negativi. La sua vita cambia completamente quando, dopo la morte della madre, il padre si risposa con una donna malvagia che ha due figlie gelose e, dopo la morte del padre, rimane vittima delle tre donne. Ella, soprannominata Cenerentola, diventerà la loro serva. Ma l’incontro nel bosco con un affascinante sconosciuto cambierà il corso della sua vita…
La grandiosità del film di Branagh è frutto anche della collaborazione con il premio Oscar Dante Ferretti che ha realizzato le magnifiche scenografie e con Sandy Powel (tre Oscar) che ha curato i costumi fedeli ai disegni animati del 1950. Per la scarpetta la Powel si è ispirata ad una vera piccola scarpa del 1890 trovata in un museo di Northampton, realizzata interamente in cristallo. Mentre i vestiti indossati dalla straordinaria Cate Blanchett (la matrigna) si rifanno agli abiti di dive come Marlene Dietrich e Joan Crawford.
Nella Cenerentola del 1950 la musica era un elemento fondamentale, indimenticabili “I sogni son desideri”, “Bibbidi-Bobbidi-Bu”, “Canta usignolo”. Nel lungometraggio di Branagh la musica, firmata dal compositore scozzese Patrick Doyle, non è meno importante. La mamma di Cenerentola canta alla sua bambina una ninna nanna folk “Lavender Blue”, che il regista ha scelto per il suo andamento sognante ed evocativo.




MR. TURNER
di Mike Leigh

Mike Leigh ha realizzato un film sugli ultimi venticinque anni di vita di J.M.W. Turner (1775-1851), eccentrico pittore britannico dell’epoca vittoriana, tra i più raffinati paesaggisti della storia dell’arte ottocentesca. Joseph Mallord William Turner, uomo rozzo, antipatico, capace di esprimersi solo attraverso grugniti, con un corpo sgraziato e pesante, legato affettivamente ad un padre ex barbiere che gli faceva da assistente, era viaggiatore instancabile, maestro della luce e dei luoghi. L’attore inglese Timothy Spall, che interpreta in maniera straordinaria la personalità variegata di questo grande artista, ha ricevuto, al Festival di Cannes 2014, la Palma d’Oro per il miglio attore protagonista. Turner frequenta l’aristocrazia terriera, è affascinato dalla natura, ma anche dalla scienza, dalla fotografia e da tutte le nuove scoperte e innovazioni tecnologiche che nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto in Inghilterra, stavano modificando la vita di tutti i giorni. Vuole introiettare a tal punto la bellezza della natura fino a farsi legare all’albero maestro di una nave per poter restituire, attraverso la pittura, tutta la potenza del mare in tempesta. Membro anarchico della Royal Academy of Arts è stimato, ma anche deriso dai suoi colleghi per la sua arte troppo moderna. La sua vita privata, complicata da un’ex amante, due figlie adulte da lui volutamente ignorate, da una devota governante oggetto solo di interesse sessuale, si rasserena finalmente, negli ultimi anni, nel rapporto affettivo che Turner instaura con la vedova Booth, che gestisce una pensione sul mare a Margate nella contea del Kent. Il ritratto psicologico, realizzato da Mike Leigh, di questo artista tanto in anticipo sui tempi (l’impressionismo prima degli impressionisti), ci restituisce un Turner ossessionato, tormentato dalla ricerca della luce: che squarcia il buio, che si fa strada attraverso la nebbia, che appare all’alba e si perde nel tramonto. La luce per Turner rappresenta l’emanazione dello spirito divino. Questo il motivo per cui nei suoi ultimi quadri si concentra sui giochi di luce nell’acqua e sui riflessi del cielo e del fuoco. L’artista cerca un modo per esprimere la spiritualità sulla terra. È significativa l’ultima sua frase in punto di morte: “Il sole è Dio.”




BIG EYES
di Tim Burton

Il regista Tim Burton ci propone la storia vera ed incredibile di Walter Keane (Christoph Waltz) che, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, raggiunse in America un enorme successo come pittore di quadri, decisamente kitsch, che ritraevano bambini con grandi occhi spalancati e malinconici. Per quasi un decennio Keane costruì un’enorme bugia, una frode dell’arte contemporanea. La vera autrice dei quadri era la moglie Margaret (Amy Adams). Il plagio perpetrato da Walter Keane nei confronti della moglie era stato possibile in un’epoca in cui l’arte femminile non era presa in seria considerazione. Margaret acquisirà finalmente coscienza di sé e della passione per le sue opere, rivendicandole pubblicamente come sue.
Che cosa guardano gli occhioni luminosi e tristi di quei bambini? La risposta di Margaret sarà: “gli occhi sono lo specchio dell’anima”.
È un fatto innegabile che quei quadri conquistarono l’America entrando nelle case di attori, celebrità e gente comune. Ebbero pochi riconoscimenti positivi dalla critica dell’epoca, ma furono riprodotti in milioni di copie con ogni tecnica possibile, fino a divenire un esempio di arte di massa, anticipando Andy Warhol e la sua Factory.

Margaret Keane oggi ha 86 anni, vive alla periferia di San Francisco e dirige una galleria d’arte affermata.
Tim Burton le ha commissionato alcuni ritratti ed ha acquistato alcuni suoi quadri. Lo stesso regista, oltre al suo lavoro come cineasta, si dedica alla pittura e all’animazione. Big Eyes è un compendio di queste sue grandi passioni: il cinema e l’arte.




JERSEY BOYS
di Clint Eastwood

Clint Eastwood, al trentacinquesimo film da regista, dirige il suo primo musical: “Jersey Boys”. Tratto dall’omonimo, premiatissimo show di Broadway, racconta la storia di quattro ragazzi sconosciuti del New Jersey che, negli anni Sessanta, diventano “Frankie Valli e The Four Seasons”, un gruppo musicale che ha influenzato a lungo il pop, il rock e persino il jazz.
La storia ha inizio nei primissimi anni Cinquanta nel New Jersey italo-americano dove vive Francesco Castelluccio in arte Frankie Valli, un garzone di barbiere con una voce in falsetto sorprendente. Lo proteggono il boss del quartiere Gyp De Carlo (Christopher Walken) e Tommy De Vito (Vincent Piazza), giovane delinquente al soldo di De Carlo e chitarrista intraprendente, che organizza piccoli furti per finanziare il gruppo nascente. Si aggiungono a Tommy e a Frankie (John Lloyd Young, lo stesso attore-cantante interprete del musical di Broadway da cui il film è tratto), Nick Massi (Michael Lomenda) al basso e Bob Gaudio (Erich Bergen) autore delle canzoni e tastierista. Il successo giunge inaspettato e cresce durante gli anni Sessanta. I “Four Seasons” con la voce incredibile di Frankie Valli scalano le classifiche musicali con canzoni immortali quali “Sherry, Big Girl Don’t Cry”, “Bye, Bye Baby” e molte altre. Sulla scena incombe il Brill Building, il tempio newyorkese della musica pop, il tempio della storia della musica dell’epoca, lì dove nacque il nuovo sound. Il successo travolge i quattro della band e con esso emergono numerosi risentimenti covati nel corso degli anni. Lo scontro inevitabile avviene in una delle memorabili sequenze finali, a casa del boss mafioso De Carlo e mette a nudo le diverse personalità dei quattro artisti, determinando lo scioglimento del gruppo.
Uno stratagemma imprevedibile ci trascina e ci coinvolge durante le sequenze del film. I personaggi parlano direttamente alla macchina da presa rivolgendosi allo spettatore, ogni membro del gruppo racconta la storia dal suo punto di vista.
Eastwood ha realizzato un film che non può essere definito un musical tout court, ma indubbiamente ci ritroviamo immersi nell’atmosfera della musica pop degli anni Sessanta, rapiti da quelle avvincenti canzoni, dai ritmi vivaci, dai dialoghi sempre tersi e lucidi. Il regista, per dare maggiore empatia alla colonna sonora, ha fatto interpretare direttamente agli attori-cantanti dal vivo, davanti alla macchina da presa, gli intramontabili successi dei “Four Seasons”.




MALEFICENT
di Robert Stromberg
produzione Disney

La Disney presenta un fantasy 3D, prequel di “La Bella Addormentata nel Bosco” (classico film d’animazione del 1959): “MALEFICENT”. È la storia mai raccontata di una delle streghe più amate delle favole Disney. Malefica (Angelina Jolie, zigomi accentuati e affilati, corna ritorte, gigantesche, spaventose, potenti ali) è una fata dal cuore puro, che vive nella brughiera di un pacifico regno popolato da bizzarre creature. Il feroce tradimento del giovane Stefano (Sharlto Colpey), amato dalla fata, le indurirà il cuore. Quando Stefano, divenuto re del minaccioso regno confinante grazie al suo tradimento, avrà una figlia: Aurora (Elle Fanning), Malefica lancerà la sua maledizione.
Al compimento del sedicesimo anno la principessina sarà punta dall’ago di un arcolaio e si addormenterà per sempre. Tuttavia quando la piccola Aurora cresce curiosa, ottimista, innocente, ma non sprovveduta, Malefica comprende che soltanto lei potrà riportare la pace fra i due regni in guerra: il suo amore per la fanciulla è diventato profondo e contraccambiato.
Regista del film è lo statunitense Robert Stromberg, già supervisore agli effetti speciali e scenografo di “Avatar” e “Alice in Wonderland” (due volte Premio Oscar). Il neoregista rimane fedele al cartoon disneyano del 1959, realizzando per il suo fantasy un’ambientazione medioevale gotica di grande effetto visivo. Ma l’immagine iconica per eccellenza è quella di Malefica-Angelina Jolie, perfetta incarnazione della cattiva disneyana in ogni sua sfumatura.
La costumista Anna B. Sheppard (“Shindler’s List” e “Il Pianista”) per “Maleficent” ha realizzato con il suo staff più di duemila costumi, mentre la celebre canzone “Once Upon a Dream” è cantata in versione moderna e accattivante da Lana Del Rey.
Nel cinema fantasy gli attori, per mezzo degli effetti speciali, diventano sempre più simili ai cartoni animati. Dunque la Disney si orienta ancora una volta in questa direzione e per il 2015 realizzerà una versione aggiornata del suo capolavoro targato 1950: “Cenerentola”.





WALT DISNEY E L’ITALIA – UNA STORIA D’AMORE
Di Marco Spagnoli
Un prezioso documentario che racconta il legame speciale fra Walt Disney e il nostro Paese.

Tra il 1930 e il 1960 il papà di Topolino effettuò numerosi viaggi in Italia, questi viaggi sono documentati da materiale di repertorio proveniente dagli Archivi dell’Istituto Luce e della Mediateca RAI. Il regista Marco Spagnoli ha voluto offrire un omaggio a colui che con la sua fervida creatività ha insegnato ai bambini di tutte le generazioni la magia dei sogni. Il documentario, nato per accompagnare l'uscita in sala del film Saving Mr. Banks, è la testimonianza di un amore, quello che tutti noi abbiamo avuto, durante l’infanzia e oltre, per quelle storie e quei personaggi nati dalla genialità creativa di Disney, la cui filosofia artistica si riassumeva in una frase: “se puoi sognarlo, puoi farlo”.
Walt Disney e L’Italia - Una storia d’amore è arricchito da interviste ad attori, registi, cantanti, illustratori italiani che sono stati influenzati nella loro vita e si sono ispirati nella loro carriera al genio creativo disneyano.





L’ARTE DELLA FELICITA’
Film d’animazione di Alessandro Rak

Il lungometraggio d’animazione indipendente, italiano, rivolto ad un pubblico adulto, firmato dal fumettista e videomaker Alessandro Rak L’Arte della Felicità, ha aperto con successo la Settimana della critica al Festival di Venezia 2013.
In una Napoli battuta da una pioggia incessante, sotto un cielo plumbeo da apocalisse, fra montagne di immondizia, Sergio guida il suo taxi sconvolto e rabbioso. Pianista per vocazione, ha abbandonato la musica dieci anni prima, quando il fratello maggiore Alfredo, che suonava con lui il violino, è partito per il Tibet diventando monaco buddista. Alfredo aveva trovato nel buddismo il modo migliore per affrontare una malattia che lo avrebbe portato alla morte. Sergio, ignaro della grave malattia del fratello, non riesce ad elaborare il lutto per la sua perdita e chiude fuori dalla sua auto la vita che gli scorre intorno. Ma la vita lo raggiunge attraverso i suoi clienti. Con loro parla animatamente della vita, della morte, della religione, dei sentimenti di colpa, dei rimorsi. Sergio attraverso sogni, ricordi, flashback e memorie musicali riesce finalmente ad accettare e dare un senso alla morte del fratello, riappropriandosi così della propria esistenza.
Alessandro Rak, al suo debutto da regista, rivela un notevole talento nel realizzare un film d’animazione italiano che nulla ha da invidiare a quelli di altre nazioni. L’Arte della Felicità è stato realizzato a Napoli da un gruppo di giovani creativi e accompagnato da una colonna sonora appositamente composta da musicisti napoletani.
Il realismo del film si concretizza attraverso l’animazione in 2D, supportata da una tecnologia di computer grafica.




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